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L’utero in affitto e l’eclisse dell’amore

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di Luciano Sesta

 

In Italia il dibattito recente è stato monopolizzato dal caso Vendola e dal tema dell’utero in affitto. Volato in California con il suo compagno per accogliere il piccolo Tobia, nato da una madre surrogata, il leader di Sel è stato preso di mira soprattutto sui social network, ricevendo, oltre ad aspre critiche, insulti e denigrazioni talmente pesanti, da indurlo a definire “squadristi” coloro che glieli hanno lanciati. La durezza dello scontro a cui abbiamo assistito è istruttiva, perché rivela come ormai, in Italia, quando sono in gioco tematiche eticamente sensibili, l’avversario politico tenda a diventare un nemico personale.

 

 

Altri, più sottilmente, hanno evidenziato la plateale incoerenza di un uomo di sinistra che, invece di battersi contro le ingiustizie sociali e le differenze di reddito, si è comportato secondo una logica borghese e mercantile, pronto a comprare, pur di soddisfare un proprio desiderio individuale, anche ciò che non ha prezzo, ossia la maternita’ di una donna (molto più povera di lui), e la nascita del suo bambino. Un atto veramente “di sinistra”, da questo punto di vista, sarebbe stato battersi per una legge che facilita le adozioni, consentendo ai bambini privi di una famiglia di averne una, anziché aumentare, con il ricorso alla maternità surrogata, il numero di coloro che, nelle nostre società, rimangono privi dei loro veri genitori.

 

 

Vendola ha avuto buon gioco a denunciare la volgare strumentalizzazione politica a cui è stato sottoposto il lieto evento della nascita di un bambino. Ma ha avuto torto a fare di tutta l’erba un fascio: si può infatti disapprovare la maternità surrogata senza necessariamente mancare di rispetto nei riguardi di coloro che vi fanno ricorso. In caso contrario si cade nell’errore di pensare che, se Tizio insulta Caio per aver compiuto l’azione x, allora non esiste una buona ragione contro l’azione x. E possibile invece che l’azione x, che qui e’ il ricorso alla maternità surrogata, sia profondamente sbagliata a prescindere dal grado di educazione di chi ne è convinto. E ciò vale soprattutto per il bambino in questione. È proprio perché ci si preoccupa del bene del bambino, in tal senso, che si critica la pratica dell’utero in affitto. Del resto Vendola è un personaggio pubblico, e per di più un politico: come poteva pretendere, compiendo un’azione che in Italia è vietata dalla legge, di non suscitare polemiche?  

 

Ciò non toglie che i toni di queste polemiche siano stati, in taluni casi, del tutto controproducenti. Invece di insultare Vendola, sarebbe stato più elegante, ed efficace, appellarsi alla sua sensibilità morale, per invitarlo a domandarsi se davvero possiamo chiamare “amore” far nascere un bambino per poi privarlo deliberatamente di sua madre (anzi, delle due madri, visto che la donna che ha messo a disposizione l’ovulo fecondato non è la stessa che ha portato avanti la gestazione e che ha poi partorito il piccolo). Se “amare” un bambino significa desiderare il suo bene, allora è difficile pensare che un tale bene possa essere meglio salvaguardato privando il bambino stesso della madre. Se questa privazione è programmata sin dall’inizio per “contratto”, come avviene nella maternità surrogata, allora sorge il sospetto che a muovere gli aspiranti genitori non sia l’esclusivo interesse del bambino.

 

 

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