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Insegnare nei professionali a Palermo

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di Emanuela Annaloro

 

Insegno in un Istituto professionale di Palermo. Quando entro in classe il mio primo problema è ottenere il silenzio necessario per tenere una lezione. Non pretendo mai che i miei alunni ascoltino solo la mia voce, cerco di intrecciare la mia voce alla loro e di creare un discorso comune. Per me non si tratta solo di trasmettere un contenuto nuovo, si tratta sempre anche di insegnare le forme del confronto civile. Non sempre ottengo questo risultato, specie nelle prime classi, dove i ragazzi arrivano carichi di rabbia e spaesamento, costretti a scuola dall’obbligo scolastico, privi di un qualsiasi progetto di vita. Lavoro di semina, un giorno, forse, raccoglierò.

Dopo un po’ di tempo trascorso in classe, lavorando sodo con tutti i colleghi, riesco a ottenere il “clima d’aula”. A quel punto, intorno a dicembre, si inizia a formare il gruppo classe. La classe non coincide mai con l’elenco ufficiale fornito dall’ufficio alunni. Ne ho in elenco alcuni, quasi una decina, che non ho mai visto. Si vede che da qualche parte li hanno iscritti d’ufficio. Fin da settembre chiamiamo le famiglie e, se queste si negano, la scuola li segnala ai servizi competenti. Intanto quei nomi restano lì, poco più che spettri che appaiano e dispaiono seguendo la ciclicità dei controlli. Io non li conosco. Il mio lavoro non li tocca.

 

Altri ragazzi arrivano e subito dichiarano che nulla intendono fare, che a scuola li hanno costretti a venire. Attendono che si apra a febbraio il corso di formazione che loro desiderano frequentare, di programmatore, di pizzaiolo, di estetista. In effetti dopo un po’ vanno via. Ma non si sa bene che ne è di loro. Il sistema della formazione professionale in Sicilia non fornisce, a differenza della scuola pubblica, un’anagrafe degli studenti. Manca un’anagrafe regionale della popolazione studentesca siciliana. Mi chiedo il perché, anche se questo non è il mio lavoro.

Con 35 nomi e 20 persone il mio lavoro continua per il resto dell’anno, chiedo loro molto, perché molto devo ancora ottenere. Gramsci a proposito di questo tipo di istruzione mi ha insegnato che non tutto quello che è complesso deve essere semplificato. Che un eccesso di semplificazione coincide con una banalizzazione degli insegnamenti. E di insegnamenti banali i miei ragazzi non hanno bisogno. Quindi sono esigente, creo una distanza tra me e loro e li invito a percorrerla tutta con determinazione. L’invito non è mai formale: so che anche se sbagliano congiuntivi ed espressioni possono farcela, che possono dare molto a loro stessi e a noi tutti, che possono avere più opportunità dei loro genitori. E questo lo so non perché abbia letto De Amicis; lo so per averlo visto, il mio lavoro, diventare mestiere e dignità sociale.

 

A giugno si miete. L’anno scorso abbiamo raccolto questo.

 

ESITI DEGLI SCRUTINI FINALI A.S. 2012/13

 

 

NON PROMOSSI

NON SCRUTINATI

PROM. /AMM.

SOSPENSIONE GIUDIZIO

CLASSI PRIME

10,50%

37,50%

36.8%

20,20%

Fonte: Monitoraggio regionale dispersione scolastica a.s. 2012/2013 IIS Medi, Palermo

 

Ad una prima lettura della tabella si potrebbe dire che nel passaggio delle prime alle seconde (sommando respinti e studenti in dispersione) la mia scuola abbia perso circa il 48% degli alunni. Se così fosse dovrei trarne una sola conseguenza: lavoro davvero male. E poiché lavoro male, è bene che le famiglie, come sembra suggerire la Repubblica di Palermo del 5 febbraio che fa un’indagine comparativa tra le percentuali di bocciati delle varie scuole, non me li affidino più. Mi interrogo allora e rifletto. Si imputa oggi alla scuola (non solo alla mia, ma a tutti i professionali della città!) ciò che prima dell’innalzamento dell’obbligo scolastico si imputava con sicurezza alla politica e all’irrisolta questione sociale del meridione, l’esistenza, cioè, di grandi masse di popolazione escluse. Queste persone, svantaggiate economicamente e culturalmente, in passato non si iscrivevano alle superiori, oggi ci sono per legge, ma sono gli stessi di prima, con i problemi e la disperazione di sempre. Finiscono nel rendiconto della scuola sol perché la scuola rendiconta onestamente laddove la politica e i privati scaricano. Siamo la bad company di una società che non cerca di riscattare le ingiustizie e le ineguaglianze. E allora capisco che il mio lavoro serve. In tutto questo scaricarsi i barili addosso il mio lavoro serve a intercettare più barili che posso e a cercare di aprirli.

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