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I Chiaroscuri – L’albero senza radici e le radici senza albero

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savagnone-3-small-articoloLa contemporaneità degli eventi che, sabato 25 marzo, si sono svolti, rispettivamente a Roma e a Milano – la celebrazione dei sessant’anni dell’Unione Europea e la visita del papa alla diocesi ambrosiana – , ha contribuito a rendere più evidente e drammatico il contrasto. Da una parte una élite di notabili sopravvissuti (mancava, per la prima volta,  la Gran Bretagna), costretti a ostentare fiducia e concordia – in un momento in cui sia l’una che l’altra sono come non mai in forte dubbio -, in un contesto di indifferenza generale, rotto da occasionali manifestazioni di appoggio o di contestazione; dall’altra una grande e spontanea  mobilitazione popolare, con un milione di persone che si sono strette entusiaste intorno a Francesco, senza contare gli ottantamila giovani cresimandi che l’attendevano allo stadio di San Siro, a completare questo bagno di folla.

EU_leaders_Rome_pope_Francis_CREDITEuropean-Union-800x450Il rifiuto di riconoscere le proprie radici cristiane non ha portato fortuna all’Europa. Voleva essere una sfida, orgogliosamente lanciata in nome della laicità,  e si è trasformata in una controprova che l’alternativa all’etica di ispirazione cristiana, in cui era maturata la prospettiva di una solidarietà tra i diversi paesi europei, era in realtà la consacrazione degli egoismi nazionalistici  e  degli interessi neocapitalistici. E rientra nella stessa logica il passaggio da un atteggiamento accogliente nei confronti degli stranieri provenienti da altri continenti, a quello di esclusione,  di cui sono espressione, sul piano politico, la diffusione di un populismo xenofobo e, su quello  materiale, il proliferare dei muri.

Chi riteneva che ammettere le radici cristiane portasse acqua al mulino del clericalismo e temeva l’influsso reazionario dei pontefici romani sulla politica, oggi è costretto a constatare che la sola voce autorevole a levarsi, in questo momento storico, contro le ingiustizie e le chiusure è quella di papa Francesco, e che la sua leadership morale è la sola riconosciuta da molti ambienti e personaggi notoriamente laici.

Resta il fatto che l’Europa in questi anni ha seguito altre vie, che da un lato ne hanno confermato la rottura con la visione cristiana – si pensi, oltre che al rifiuto di aprire le frontiere ai richiedenti asilo, alle prese di posizione in materia bioetica, ispirate alla stessa logica di strenua difesa del diritto degli individui a salvaguardare il proprio benessere, a spese dei più deboli – , dall’altro ne hanno minato la capacità di avere una comune identità, in grado di reggere il confronto  con quella della religione e della cultura islamiche che bussano alle sue porte. I muri, da questo punto di vista, sono segno non solo di un cieco egoismo, ma anche e soprattutto di una grande insicurezza e di una insanabile fragilità. Di fronte a popolazioni inquiete e affamate, ma animate da una fede, gli europei si sono sempre più resi conto di avere la pancia piena ma il cuore vuoto e stanno cercando di impedire che questo vuoto diventi oggetto di conquista.

Con il piccolo inconveniente che, come l’esperienza insegna, i muri prima o poi crollano e che fra due culture, di cui una ha smarrito la propria identità, e un’altra invece la mantiene fortissima, è inevitabile, alla lunga, il prevalere della seconda.

Ma neppure del milione di persone di Milano mi sento di entusiasmarmi troppo. Sono contento, certo, di vedere che in nostro cattolicesimo, di cui il papa è una espressione simbolica importante, è ancora capace di mobilitare masse notevoli. Ma mi chiedo dove sono questi cattolici quando non vanno dal papa. Mi chiedo dove sono nella vita nel nostro paese. Per chi hanno votato in questi anni? Molti, sicuramente, per Formigoni, l’ex presidente della Regione Lombardia, pochi mesi fa condannato a sei anni di carcere, dopo che gli erano stati sequestrati 6,6 milioni euro, frutto di corruzione. E gli altri? In Italia, si sa, durante questa Seconda Repubblica, i cattolici in maggioranza hanno puntato su Berlusconi, un personaggio agli antipodi del modello cristiano di politica. Un numero inferiore ma consistente  si sono ritrovati arruolati nelle file del PD, un altro triste esempio di vuoto intellettuale e politico.

L’albero della politica europea, senza le sue radici, è sfiorito; ma le radici – almeno in Italia, dove si mantengono particolarmente forti – non hanno generato alcuna pianta in cui trovare una espressione adeguata. È ora che qualcosa cambi. Non sono mai stato e non sono tuttora fautore del “partito cattolico”. Ricordiamo tutti gli equivoci a cui ha dato luogo, nel nostro paese, l’egemonia di una Democrazia cristiana che, con tutti i debiti di riconoscenza che abbiamo nei suoi confronti, a volte ha finito per essere il surrogato clericale della vera Chiesa di Cristo. Non è questa, però, l’unica possibilità. Si potrebbe, per esempio, ricordare l’esperienza del Partito popolare di Sturzo, aperto a credenti e non credenti ed esempio di laicità (basti dire che, al suo nascere, nel 1919, non mise tra i punti principali del suo programma la soluzione di quella “Questione romana” che allora tanto stava a cuore al Vaticano), ma certamente ispirato a una prospettiva cristiana centrata sul bene comune.

Si potrebbero inventare altri modelli ancora. Non è possibile, però, continuare in una logica di diaspora che costringe non solo i credenti, ma gli uomini e le donne che sentono la nostalgia di alcuni valori autenticamente politici, a dover scegliere tra gruppi di potere che ormai di politico hanno ben poco e che tengono in ostaggio la nostra democrazia con la nostra volontaria o involontaria complicità. È urgente ritrovare uno spazio di confronto serio sui problemi del bene comune del paese – questo, non un luogo di beghe interne, agguati e complotti, dovrebbe essere un partito degno di questo nome – , dove le voci dal basso siano frutto di una libera riflessione, e non il docile coro di un gregge che segue il dittatore di turno (non faccio nomi…), e che abbia un progetto di fondo sulla crescita non solo economica, ma umana e civile della nostra società. È urgente creare le condizioni per non dover andare a votare, il giorno delle elezioni, turandosi, comunque, il naso.

Per questo, non basta applaudire il papa. Il suo appello a costruire una società più umana ci spinge ad andare ben oltre il generico entusiasmo, e ad entrare là dove solo i credenti laici, non il papa stesso o l’episcopato, possono e devono impegnarsi, vale a dire sul terreno della politica. Cominciando dall’Italia, ma nella prospettiva di fornire all’Europa una nuova prospettiva. Perché l’alternativa a un albero senza radici non siano, come oggi è, delle radici senza albero.

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