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La famiglia riunita attorno alla tavola: educare alla cura del corpo (III)

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di Alfio Briguglia

 

Per tanto tempo l’educazione è consistita nel trasmettere le regole di comportamento, ritenute imprescindibili per appartenere ad una famiglia, ad un clan, ad un gruppo sociale. Di conseguenza i discorsi a tavola spesso si trasformavano e si trasformano in sermoni, messe in guardia, minacce di castighi. Spesso i comportamenti dei figli sono visti con paura dai genitori, considerati devianti, pericolosi, alternativi, ribelli, provocatori …

Oggi sentiamo molto più di prima che occorre educare non solo a comportamenti costruttivi ma anche alla cura del corpo. L’alimentazione sobria e corretta fa parte di questa preoccupazione. Un’alimentazione corretta va insieme ad una psiche equilibrata. Quando le relazioni interfamiliari sono in sofferenza, il cibo diventa veicolo di messaggi a volte anche disperati. Anoressia e bulimia sono i modi in cui i figli comunicano i loro disagi.

Il pasto familiare è allora il momento per accorgerci di avere un corpo, di essere corpo. Il nostro corpo lavorerà con la sua saggezza per far si che quanto assumiamo divenga nostra carne. Ma, ancora una volta, questo corpo sul quale non abbiamo potere, che completerà la biochimica della manducazione, questo corpo da curare che è nostro, che siamo noi, ma che è anche altro da noi, è la presenza biologica della Trascendenza. Facciamo a tavola tanti gesti volontari ma siamo affidati all’involontario che opera nelle nostre fibre. In questo involontario dobbiamo vedere la provvidenza divina.

Abbiamo detto la scorsa volta che attorno alla tavola l’attenzione è divisa tra il nostro corpo che ha fame e gli altri che mangiano con noi.

C’è un corpo che chiama, che parla, che fa sentire le sue esigenze.

E’ un corpo che deve essere compreso, ascoltato. Il corpo ci parla e bisogna imparare a comprenderlo e ad averne cura. Alimentarsi in modo sobrio, equilibrato, igienico è un modo di averne cura.

Oggi noi sappiamo molto di più del nostro corpo. Il nostro cervello comunica attraverso il sistema nervoso centrale e periferico con tutto il corpo. Da tutto il corpo riceve segnali. Nel nostro cervello abbiamo una mappa di tutte le zone del nostro corpo.

Il nostro corpo è veramente un organismo meraviglioso. Organismo, non macchina, perché la macchina è fatta di parti, il nostro corpo è una complessità interconnessa, capace di integrare la fisica, la chimica, la biologia, capacità mentali in un tutto. Noi siamo questo nostro corpo. La consapevolezza, unita alla gratitudine, ci rende corpo spirituale.

Un tempo ci si volgeva al cielo come luogo nel quale abitava la divinità. Si credeva che il cosmo fosse limitato al sistema solare. Oltre la sfera delle stelle fisse era l’Empireo, la sede dei beati, la casa di Dio. Dire che Dio stava in cielo era più che una metafora. Oggi quel cielo si è esteso fino a distanze inimmaginabili. Se vogliamo trovare Dio dobbiamo rivolgerci non più verso il cielo ma verso il luogo più complesso e ricco di proprietà del cosmo. Questo luogo è il nostro corpo. Prendere consapevolezza del dono che ci è stato fatto, del dono che siamo è una forma di preghiera.

Ma questo corpo meraviglioso è anche fragile. Se nasciamo come appartenenti al genere umano, uomini dobbiamo ancora diventarlo. Dobbiamo crescere in tutte le dimensioni corporee e spirituali.

Il corpo può diventare luogo di sofferenza, di malattia, può subire lo scotto di un conflitto intrafamiliare. Può essere utilizzato come arma di ricatto proprio attraverso il cibo: anoressia e bulimia sono solo la punta estrema di patologie che possono manifestarsi a diversi livelli. Il corpo è il modo in cui ci presentiamo agli altri. Allora lo vogliamo bello, attraverso la cosmesi, gli esercizi, ma anche tatuaggi, piercing. Col nostro corpo vogliamo attrarre, ma anche respingere, provocare, manifestare tenerezza o anche aggressività, essere desiderati o temuti.

Il nostro corpo racconta la storia delle violenze subite o della tenerezza con la quale i nostri genitori ci hanno accolti.

Gesù ci ha detto: “i capelli del vostro capo sono contati!”. Voleva con questa immagine farci comprendere come l’amore paterno di Dio si estende al dettaglio della nostra esistenza.

L’immagine usata da Gesù non può non richiamare quella di una madre che osserva il proprio piccolo, che lo lava, che lo unge di olio, che si accorge preoccupata di un piccolo graffio e della screpolature della pelle. La tenerezza è l’atteggiamento di cura e di protezione verso una realtà di valore, ma fragile, che deve essere protetta in un difficile cammino di crescita. I “no!” che i genitori dovranno spesso pronunciare sono necessari perché la strada dell’uomo non è guidata infallibilmente dall’istinto, come per l’animale. Ad ogni svolta della strada una scelta difficile ci può portare verso vicoli ciechi o percorsi rischiosi. Lo stesso vale nei rapporti tra i coniugi. A volte le scelte non sono condivise, i punti di vista sono divergenti.

Mai però la voce decisa si dovrebbe ricoprire di durezza, mai un rimprovero dovrebbe essere avvelenato dall’ira o dal risentimento. La consapevolezza della posta in gioco, della vita “oscuramente forte” (come scrive S.Quasimodo in La terra impareggiabile, dedicata al padre), dell’indicibile valore di chi abbiamo dinanzi, bambino o adulto, dovrebbe sempre accompagnare il tono della nostra voce.

Ritorniamo a tavola! A volte siamo sopraffatti dalla stanchezza, dalla preoccupazione, dalle sconfitte subite durante la giornata. Ci sediamo a tavola con la mente e il cuore ingombro di pensieri spiacevoli o con la preoccupazione di mangiare in fretta per non perdere il serial televisivo di turno.

Sforziamoci, allora, di rientrare in noi stessi, ringraziamo ancora una volta per quello che siamo. Ritorniamo al presente dalle astrazioni del passato o del futuro. Allora la voce diventi di nuovo consapevole del miracolo che stiamo vivendo. Forza e tenerezza possono benissimo andare insieme. Disaccordo e rispetto possono diventare le due facce di una alterità vissuta nel quotidiano, se ci ricordiamo che rispetto significa re-spicio, guardo di fronte, senza desiderio di farti divenire uguale a me, costringerti alle mie opinioni, imporre a te la mia fretta, ma anzi rispettando la tua diversità, i tempi della tua crescita.

Come la crescita del corpo può attraversare il momento del disagio o della malattia, così anche la crescita della psiche ha le sue sofferenze, i suoi momenti di malattia.

Quando un genitore ansioso vuole subito chiudere questioni spinose, allontanare dal figlio ogni possibile pericolo, si ricordi dell’ammonimento di Gesù: il seme ha i suoi tempi per diventare pianta e può improvvisamente spuntare il loglio nel campo. Attenti a non volere subito fare la cernita, si potrebbe fare danno.

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