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I Chiaroscuri – La barca di Francesco nella tempesta

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Segnali allarmanti di isolamento

Dopo un esordio folgorante, che ha visto papa Francesco acclamato da tutte le parti – anche se soprattutto dagli ambienti esterni alla Chiesa –, è venuto il tempo delle critiche sempre più aspre, prima da parte dei “conservatori”, poi anche dei “progressisti”, creando intorno al capo della Chiesa un isolamento ormai evidente.

Due fatti recenti sono la punta dell’iceberg. Il primo, più grave, sono le dimissioni del cardinale Marx, vescovo della più importante diocesi tedesca, Monaco di Baviera – dimissioni respinte da papa Bergoglio –, che, oltre a essere il riconoscimento di «fallimenti a livello personale»,   contengono  una denuncia di quelli «a livello istituzionale» e costituiscono, da questo punto di vista, un’implicita accusa nei confronti della conduzione della Chiesa.

Il secondo fatto, assai meno rilevante, ma pur sempre significativo, è l’articolo pubblicato in questi giorni dallo storico Alberto Melloni, un esponente di spicco del cattolicesimo progressista, dove per la prima volta si mettono in luce più gli errori e i limiti di Francesco che non gli aspetti positivi del suo governo.

Dicevo che si tratta solo della punta dell’iceberg. In realtà, dietro la mossa del cardinale Marx, c’è la tensione tra le Chiese tedesche e il Vaticano su punti delicatissimi, come il celibato dei preti e il sacerdozio delle donne.  Una tensione che ha fatto parlare del pericolo di uno scisma, e alla cui luce le dimissioni del vescovo di Monaco potrebbero assumere il significato di una pressione sul pontefice perché prenda atto della insostenibilità della situazione attuale.

Così come dietro l’articolo di Melloni c’è – al di là della fondatezza o meno delle singole critiche allo stile di governo di Francesco – tutta la delusione dei “progressisti” italiani per un pontificato carismatico, ma povero di risultati concreti in termini di riforme.

Esultano, naturalmente, i “conservatori”, che vedono finalmente realizzato il loro obiettivo di isolare papa Bergoglio e sottolineano con soddisfazione quello che essi sbandierano come un abbandono da parte dei suoi tradizionali sostenitori. Non è un caso che, sulla scia di Socci, riprendano a circolare in questi giorni, su giornali come «Libero», articoli che sostengono l’illegittimità della sua elezione: le dimissioni di Benedetto XVI sarebbero state nulle e sarebbe lui, perciò, non Francesco, l’unico vero capo della Chiesa cattolica.

I limiti e i (pretesi) errori di papa Bergoglio sono la causa dei problemi?

La barca di Pietro forse mai come in queste settimane appare scossa dai flutti tempestosi di una contestazione di cui sarebbe un errore minimizzare la portata e le motivazioni. È vero che papa Bergoglio si è rivelato assai più efficace come profeta che come governante e riformatore delle istituzioni ecclesiastiche. Il suo carisma, il suo stile innovatore – rivoluzionario, rispetto a quello dei suoi predecessori –, non sono bastati a far uscire la Chiesa da una situazione estremamente difficile, esasperata dalla pandemia, di cui sono sintomi allarmanti la demotivazione di molti presbiteri e il vistoso calo della partecipazione dei fedeli.

C’è da chiedersi, tuttavia, se – pur prendendo atto di alcuni difetti caratteriali del pontefice, che lo hanno portato a prendere decisioni discutibili e a volte contraddittorie, soprattutto nella scelta dei suoi collaboratori – possiamo attribuire a lui  i problemi di una Chiesa che sta faticando a trovare il suo equilibrio in un mondo in rapidissima trasformazione.

E poi, le soluzioni proposte sono sicuramente le migliori? Francesco ha deluso molti non avallando, dopo il Sinodo sull’Amazzonia, l’istituzionalizzazione del conferimento dell’ordine a persone sposate e il diaconato femminile. Ma sappiamo tutti che dietro queste richieste minimali c’è una forte pressione da parte di molti per l’abolizione dell’obbligo del celibato per i presbiteri e l’introduzione del sacerdozio per le donne. Sarebbe una decisa rottura con una tradizione secolare e Francesco non la vuole. Consapevole, peraltro, che essa renderebbe davvero inevitabile uno scisma da parte di quei settori della Chiesa che già oggi mordono il freno di fronte alle innovazioni in atto. Ricattare il papa mettendolo di fronte alla scelta tra due scismi non mi sembra una linea degna di credenti responsabili.

E poi, è così sicuro che queste innovazioni risolverebbero la situazione di crisi in cui la Chiesa effettivamente versa oggi? Coloro che, per sostenere l’abolizione del celibato dei preti, attribuiscono a quest’ultimo la piaga della pedofilia dei preti, hanno mai letto le statistiche secondo cui la grande maggioranza degli abusi sessuali su minori si verificano nell’ambito familiare e hanno come responsabili persone coniugate? E da dove risulta che le Chiese dove l’ordinazione presbiterale è stata estesa alle donne sono in grado di affrontare meglio le difficoltà dell’evangelizzazione nel mondo di oggi?

Questi interrogativi non possono far accantonare i problemi, ma dovrebbero indurre a un atteggiamento più pacato nei confronti delle esitazioni del papa. Soprattutto se si tiene conto dei grandi progressi che le sue prese di posizione nell’Evangelii gaudium, nell’Amoris laetitia, nella Laudato si’ – hanno determinato nella coscienza ecclesiale, facendole superare atteggiamenti consolidati di chiusura e di rigidezza (vi ricordate il tempo dell’ossessiva insistenza difensiva sui “valori non negoziabili”?) e riportandola ai punti essenziali del messaggio evangelico. Questo pontificato resta comunque una svolta decisiva e liberatoria e svalutarlo o attaccarlo non serve a nessuno che abbia a cuore il dinamismo creativo della tradizione, a cui Francesco ha dato un contributo determinante.

Le contraddizioni dei “conservatori”

La contestazione “dura e pura” serve invece a chi fin dall’inizio, identificando il rispetto della tradizione con il mantenimento delle formule e degli stili ecclesiali del passato, ha visto nelle posizioni innovatrici di papa Bergoglio una minaccia all’ortodossia.

Ma anche qui un minimo di riflessione servirebbe a evidenziare le contraddizioni a cui si va incontro su questa strada. La prima, vistosa, è che si contesta l’autorità del papa in nome di una posizione che esalta l’obbedienza nei confronti della gerarchia. Si dirà che questo papa è eretico (c’è chi lo afferma). Ma questa critica, mossa dai fedeli, ha un senso solo per chi accetta il libero esame luterano, in base a cui ogni autorità può essere messa in discussione dal singolo credente sulla base della Scrittura. E i cattolici che la fanno propria sposano, senza rendersene conto, una linea ben diversa da quella di cui a parole sono difensori. Essi, perciò, non potranno obiettare nulla a coloro che, quando sarà eletto un altro pontefice, magari più vicino alle loro idee, in nome della propria coscienza gli rifiuteranno fedeltà e obbedienza.

Quanto a coloro che negano ancora oggi la legittimità dell’elezione di Francesco, si può far loro osservare che il primo interprete delle proprie dimissioni dovrebbe essere colui che le ha date, il papa emerito Benedetto XVI, che non ha mai mostrato di condividere la loro lettura. Per non dire che, se fosse vero quanto essi sostengono, ci troveremmo di fronte a una Chiesa da smantellare, con centinaia di vescovi e una forte percentuale di cardinali la cui nomina sarebbe da annullare… E chi la ricostruirebbe? È questa catastrofe che vorrebbero i “difensori della Santa Chiesa”?

Senza dire che vale anche per costoro la domanda che si faceva prima ai “progressisti”: ma è così sicuro che le difficoltà dell’evangelizzazione nel mondo di oggi dipendano da papa Francesco e non da situazioni storiche oggettive, che esigono pazienza e spirito costruttivo, piuttosto che polemiche astiose?

Forse sia ai “progressisti” che ai “conservatori” andrebbe raccomandato un maggiore senso di responsabilità. Che è quello che papa Francesco, pur con i suoi innegabili limiti, sta cercando di avere nella conduzione della barca di Pietro.  In ogni caso, preferisco avere lui al timone che qualcuno dei suoi critici, più bravi ad aggravare, con le proprie intemperanze, le difficoltà della traversata, facendole diventare una vera e propria tempesta, che non a contribuire al loro superamento.

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