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Don Alessandro Manzone – Sacra Famiglia

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Intervista a don Alessandro Manzone

Parrocchia Sacra Famiglia

11 Aprile 2013

 

E’ stata una bella sorpresa trovare il giovedì mattina alle 11.00, orario normalmente contrassegnato da frenetiche attività, l’Adorazione eucaristica organizzata dalla parrocchia Sacra famiglia, attualmente in ristrutturazione, ma ospite dalle vicine suore.

Don Manzone riflette la grande vivacità delle attività presenti nella parrocchia, in cui sono coinvolti tutti i gruppi, ognuno portatore di una propria esperienza, ma tutti volti a rendere visibile un autentico spirito comunitario. La parrocchia, inoltre, accoglie diverse iniziative volte a diffondere testimonianze di fede, sia con l’organizzazione di incontri per approfondire il tema dell’educazione nella scuola, sia con l’accoglienza del Cursillo de cristiandad per sensibilizzare alla vita cristiana nei diversi ambiti di vita.

 

Quanto è grande la parrocchia?

Intanto mi piace accoglierla prima di cominciare ad entrare nel merito di queste domande che interessano non solo i sacerdoti, ma anche i laici, perché la Chiesa è fatta dal popolo santo di Dio, con noi sacerdoti che serviamo. Una conoscenza della realtà parrocchiale mi pare molto interessante e di largo respiro a livello culturale, perché lo scambio interculturale produce fecondità pastorale.

La parrocchia si situa vicino la Stazione Centrale, in via Gaspare Mignosi n.20 dal 1981. Questa chiesa è di recente costruzione, ma la parrocchia ha avuto origine nel 1929 con il nome di Santissimo Sacramento ed era situata in via Lincoln. Nel 1981 la parrocchia ha modificato il suo nome e si è trasferita nell’attuale luogo, ma si tratta di un’unica storia. La parrocchia è grandetta, secondo le cifre ci sono quasi 6.000 persone, ma in realtà sono di più perché tanti, che abitano al confine con il territorio della parrocchia limitrofa Maria Santissima del Carmelo Decollati, per non attraversare Corso dei Mille vengono da noi. Quindi direi che ci sono 8-9.000 persone.

La nostra parrocchia Sacra Famiglia spesso è confusa con un’altra che si chiama Gesù, Maria e Giuseppe e si trova in via Sacra Famiglia. Con il precedente parroco di questa parrocchia abbiamo organizzato diversi incontri e stiamo provvedendo in tal senso anche con il nuovo.

 

Qual è il rapporto tra il numero dei parrocchiani e quello di coloro che frequentano la messa domenicale con una certa costanza?

Sono parroco in questa chiesa di sette anni e direi che c’è una frequenza e una vita cristiana di timbro tradizionale, forse frutto del Concilio di Trento. E’ arrivato poco il significato profondissimo del Concilio Ecumenico Vaticano II che ha voluto rinnovare la liturgia, la vita del popolo e il rapporto con i sacerdoti. Comunque una buonissima fetta si sta aggiornando con scuole di teologia di base e con i corsi di liturgia organizzati dalla diocesi.

Senza aver fatto calcoli precisi, mi sembra che c’è una presenza buona di un 20-30 per cento della popolazione.

 

È prevalente il radicamento territoriale o vi sono persone che vengono da zone territoriali diverse?

La gran maggioranza viene dal territorio, ma alcune persone vengono anche da altre zone in base alle amicizie, alle esperienze spirituali passate. In questa parrocchia c’è anche una presenza di quasi 800 persone delle comunità neocatecumenali sorte qui a Palermo.

 

Nel territorio parrocchiale, come cercate di raggiungere i non praticanti o non credenti?

Questo è un problema delicatissimo, diciamo almeno in due maniere. La prima maniera è andando a domicilio per favorire la conoscenza. Questo cammino l’ho cominciato sette anni fa, quando sono arrivato qui e volevo salutare tutte le persone, conoscerle. Quindi, oltre le persone che venivano in chiesa andavo io a trovarle a casa, per benedire le famiglie. Capita che qualcuno non desidera la benedizione, ma la maggior parte si. La cosa più importante è la conoscenza dei nuclei familiari, per creare una comunità parrocchiale. Tra questi ci sono quelli poco credenti o non credenti e per loro c’è un occhio particolare di un grande calore umano, che certamente sarà di aiuto.

 

Ci sono attività di formazione che vanno al di là del catechismo per i bambini e i ragazzini fino alla cresima? I catechisti per la preparazione alla prima comunione e alla cresima vengono preparati, a loro volta? Come? Da chi?

Abbiamo cercato di dare una formazione aggiornata secondo lo spirito del Concilio. Puntiamo molto sui bambini e i ragazzi, sui genitori, sulla famiglia. Ci sono periodici incontri con le famiglie, che rendiamo partecipi anche con esperienze pastorali liturgiche o con attività anche fuori dalla parrocchia come le partecipazioni alle giornate di convivenza. Sono occasioni in cui ci si scioglie un po’ di più e ci si unisce.

Organizziamo anche dei corsi di teologia di base. Quando è finito il ciclo, seguito da una ventina di laici, c’è stata una pausa di due anni e ora abbiamo ripreso il primo anno, a cui sono iscritti circa 25 persone. Questo è molto importante perché in Chiesa si parla lo stesso linguaggio e ci si intende, da ciò segue la disponibilità delle persone per i ministeri, per i momenti liturgici e per la catechesi.

Per quanto riguarda la formazione dei catechisti organizziamo dei corsi prima che comincino la loro attività e poi periodicamente ci sono degli incontri sia di formazione sia di programmazione. Poi contemporaneamente all’attività coi bambini abbiamo istituito dei corsi diocesiani. Allo stato attuale, aspettiamo un’altra proposta dell’ufficio castechistico diocesiano per riprendere. La formazione è seguita da me de e dai catechisti che hanno più esperienza; facciamo riferimento ai testi della CEI con le guide catechistiche di Elledici, San Paolo cercando di prendere il meglio da tutti questi sussidi.

Abbiamo recentemente iniziato un altro cammino sul tema della sfida educativa, con degli incontri aperti a docenti e genitori. Si è formato un gruppo al momento composto da una decina di persone. A volte a scuola si insegna seguendo i libri e il programma, ma senza uno spirito cristiano. Con questa iniziativa vorremmo mettere in evidenza il bisogno che ognuno impari ad amare e ad accogliere l’altro, quindi il contenuto del Vangelo per dare testimonianza. Gli incontri sono rivolti agli adulti, per formarci al senso dell’amore. Tra l’altro i vescovi italiani ci hanno consegnato un documento per i decennio 2010-2020 per educare alla vita buona del Vangelo. Noi siamo partiti dal documento, poi ci rifacciamo al Vangelo, con un dialogo per creare esperienza di piccola chiesa in vista di una testimonianza più forte.

 

Qual è la percentuale di ragazzi che continua a frequentare la parrocchia dopo la cresima? C’è un gruppo giovanile permanente? Che età hanno i partecipanti in media?

In parrocchia stiamo vivendo una bella esperienza con i ragazzi, che ci è stata affidata circa cinque anni fa dall’Arcivescovo Paolo Romeo. Si tratta di un’iniziativa nata a Roma, poi ripresa sia a Catania, sia a Palermo. E’ rivolta ai ragazzi che hanno già fatto la cresima. Consiste in questo: formiamo piccoli gruppi di 6-7 ragazzi che affidiamo a dei catechisti che chiamiamo padrini, in genere marito e moglie. Scegliamo una coppia giovanile, che apprezza la vita, la Chiesa, la fede e che sta facendo un cammino di formazione. I ragazzi si danno appuntamento in chiesa una volta la settimana e in un mese su quattro incontri due li svolgono in parrocchia e gli altri due incontri si svolgono a casa dei catechisti. L’ultimo incontro è sempre a casa dei padrini e si conclude con una cena insieme, in modo da coltivare una maggiore conoscenza e confidenza. Negli incontri con i padrini si seguono dei temi precisi, secondo un programma stabilito, ad esempio nel primo anno si parla del dialogo, della responsabilità; poi si approfondisce la Scrittura e le figure di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè e i comandamenti. C’è tutto un percorso che si segue, stando molto attenti ai rapporti umani, nella semplicità. Oltre a questa esperienza per i ragazzini del dopo-comunione c’è l’oratorio.

Poi c’è un altro gruppo di giovani, più grandi dai 20 ai 30 anni, qualcuno è già sposato. Ci raduniamo una volta la settimana e conversiamo su argomenti di primissimo interesse, partendo sempre dal catechismo della Chiesa cattolica, YOUCAT, adatto per i giovani e dalla Scrittura.

 

Quali sono i rapporti tra la parrocchia e le associazioni, i gruppi e i movimenti (Azione cattolica, Scout, etc.) – se ce ne sono – che operano al suo interno?

Quando sono arrivato qui sette anni fa ho trovato soltanto la realtà dei neocatecumenali. E’ un gruppo numeroso, più di 800 persone; una parte abita in zona, ma molti vengono da tutta la città. Partecipano qui ai sacramenti, quindi sono della parrocchia anche se vivono in altre zone. Poi ci siamo aperti al territorio e nel tempo sono nate altre esperienze. Abbiamo organizzato visite al santuario mariano e dopo è nata l’idea di far nascere un gruppo mariano, il gruppo Maria Regina della Pace che da sei anni cresce e si evolve. Poi è scaturita anche un’accoglienza con un gruppo di focolarini che hanno chiesto inizialmente solo alloggio, ma proseguendo è diventato uno dei gruppi attivi della parrocchia. Io sono felice di rendere questo servizio per questo gruppo come per tutti gli altri. Con tutti c’è sintonia, sincronia e anche aiuto: quando facciamo le grandissime celebrazioni, come a Pasqua, o i ritiri parrocchiali cerco di coinvolgere tutti i gruppi della parrocchia, anche se poi ognuno segue il proprio programma personale. E’ un modo di creare parrocchia, famiglia e comunione, secondo lo spirito che il Concilio Vaticano II ci ha insegnato.

Che ruolo hanno i laici?

Hanno un ruolo di primissimo piano. In questo il Concilio ha fatto una inversione di ampio respiro: ora si è invertita la piramide ed è il clero a servizio del popolo. Posso dire che in questa parrocchia veramente stiamo facendo una esperienza dove i laici sono in primissimo piano, prendono le decisioni, fanno parte del consiglio pastorale. Per fare emergere la realtà di una parrocchia potreste affiancare nell’intervista ai parroci anche dei laici che fanno parte del Consiglio pastorale o dei rappresentanti dei gruppi esistenti in parrocchia, in modo da potere avere un’immagine più completa della realtà parrocchiale. Forse così la fecondità del vostro servizio sarebbe anche maggiore e chi segue potrebbe avere una visione più piena.

 

       Quali sono i tratti essenziali  della esperienza di fede che vi caratterizza (o che è presente in parrocchia)? Vi riconoscete in una spiritualità particolare?

C’è una spiritualità diocesana, del sacerdote diocesano, della parrocchia diocesana che ha un timbro preciso che intanto è una grande comunione con il Papa, i Vescovi, la Chiesa e il nostro Vescovo in particolare. Quindi una grande comunione nell’accogliere il piano pastorale. Poi, nel dettaglio, ogni parrocchia ha un suo programma specifico, ma ci si muove nell’ambito delle indicazioni pastorali della diocesi. Quindi una spiritualità specifica non esiste, perchè io sono sempre al di sopra delle parti, accetto tutti, ma la nostra spiritualità parrocchiale è quella che parte dal Vangelo e segue la liturgia come dice la Chiesa.

 

Qual è il gruppo o il cammino spirituale che ritenete più vicino a quello che perseguite?

In parrocchia c’è anche un’altra spiritualità che è il gruppo del Cursillo de cristiandad, nato in Spagna. Questo gruppo, secondo le indicazioni del suo fondatore Eduardo Bonnin, cerca di coinvolgere i laici perché facciano da guida nel riscoprire il messaggio cristiano, per dare questa testimonianza in ogni ambiente di vita, soprattutto nel posto di lavoro, cercando di essere una vertebra richiamando al Vangelo gli altri laici.

 

Qual è l’iniziativa che vorreste realizzare insieme ad altri gruppi e\o parrocchie?

Sarebbe interessante avviare iniziative che realizzino unità tra i gruppi. Sappiamo che nelle parrocchie a volte i gruppi non vanno d’accordo. Allora il progetto potrebbe essere di fare più esperienze possibili insieme, ritiri comuni, in modo da approfondire una conoscenza reciproca e dare un senso di unità nella molteplicità.

 

Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della città di Palermo?

Credo che sia importante che tutti, parrocchie e istituzioni, teniamo conto che abbiamo a che fare con delle persone. Vorremmo che ci fosse una relazione, un contatto più diretto con le persone: il cittadino è distante dalle istituzioni e dall’amministrazione comunale. Bisogna partire da questo rispetto della persona, creare una vicinanza maggiore.

Poi bisognerebbe creare più spazio per i ragazzi e per i giovani nelle varie zone di Palermo per avere degli spazi non solo per giocare, ma anche per riunirsi, per creare luoghi di incontro, come una forma di oratorio. Si farebbe capo sempre alle parrocchie che possono essere di aiuto, ma ci possono essere i centri sociali dove fare questo lavoro, non importa se con un credo o meno, ha importanza a questo punto salvare i ragazzi e dare dei valori di dignità di persona, di crescita, di possibilità di progetti futuri. Abbiamo una fascia di giovani molto scoraggiata, perché non vede un futuro, non c’è lavoro e quelli che sono già sposati sono in precariato. Se non c’è lavoro non c’è casa, nascono i problemi in famiglia e la famiglia di origine non può più aiutare. Per questi problemi dobbiamo volgere delle esortazioni. La parrocchia non si esime dal fare tutto questo.

 

 Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della chiesa di Palermo?

I problemi sono parecchi; il Concilio ecumenico con la Gaudium et spes ha voluto dare questo documento per la Chiesa nel mondo contemporaneo sapendo che ci sono moltissime difficoltà della Chiesa nel territorio. Problemi che ci sono anche a Palermo. E’ importante che la Chiesa possa autoconvertirsi al bene del Vangelo. Noi organizziamo le riunioni per gli altri, ma è giusto farle anche tra di noi. Queste riunioni avvengono già e sono anche molto frequentate, speriamo che portino anche frutti. Ad esempio ora siano stati chiamati alla beatificazione di padre Puglisi, uno dei nostri sacerdoti. Sono stato quasi 40 anni con lui, abbiamo condiviso tante esperienze di insegnamento in seminario e nel Centro regionale vocazioni. In un momento importante come quello della sua beatificazione la sua testimonianza di fede è un segnale fondamentale.

Quindi, è importante creare una grande comunione all’interno della Chiesa e poi la grande comunione all’interno esprimerla nella pastoralità con la comunione delle zone. Proprio ieri abbiamo fatto una riunione con tutti i parroci della nostra zona e sono dei momenti molto importanti.

 

Secondo lei, quando si parla di cultura cosa si intende?

La cultura è l’aspetto più sincero e più vero che una persona può vivere. Se vuoi vivere devi coltivare la cultura, si tratta di vivere in una dimensione di grande apertura. Nella cultura è nascosta la pastorale della Chiesa che è scambio di cultura, accogliendo tutte le persone credenti e non credenti. Proprio stasera abbiamo un incontro con dei migranti che verranno tra due domeniche insieme a padre Sergio Natoli, in modo da conoscerci meglio. E’ uno scambio di conoscenza. Cultura è apertura, è nutrimento, progettazione, provocazione, fecondità.

 

A cura di Luciana De Grazia

 

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