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I Chiaroscuri – Il linguaggio dell’odio e la commissione Segre

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Una Commissione per combattere l’odio

La decisione di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia di non votare, in Senato, per il via libera alla Commissione contro i reati di odio, razzismo e antisemitismo, non poteva non suscitare vivaci polemiche.

A proporne la costituzione non era stato un partito, ma la senatrice a vita Liliana Segre, coinvolta nella tragedia della Shoah e sopravvissuta ad Auschwitz, che nei giorni scorsi aveva rivelato di ricevere su internet duecento messaggi razzisti al giorno, con aggressioni verbali del tipo «Ebrea, ti odio».

Poteva sembrare che il rifiuto di questo stile e la individuazione di misure per bonificare il linguaggio sempre più violento dei social dovesse unire tutti i senatori, ma non è stato così.

La “mozione Segre” è passata, alla fine, senza l’unanimità, con 151 sì e 98 astenuti. E quando i senatori si sono alzati in piedi per rendere omaggio con un caloroso applauso la senatrice a vita, quelli del centrodestra sono rimasti seduti senza applaudire.

Le ragioni di chi non ha votato

È giusto ascoltare le ragioni di chi non ha voluto dare il suo sì. Per Stefania Pucciarelli, presidente della commissione straordinaria per i diritti umani di Palazzo Madama, «la verità è che la maggioranza ha provato a fare una commissione anti Lega».

Più articolata la spiegazione del senatore di Fratelli d’Italia, Giovanbattista Fazzolari: «Se si fosse voluto parlare seriamente di contrasto all’antisemitismo e ai totalitarismi, Fratelli d’Italia sarebbe stata favorevole. Ma è impensabile farlo senza alcun riferimento all’integralismo islamico, visto che il pericolo deriva proprio dal fondamentalismo e dall’immigrazione musulmana (…). Purtroppo con il pretesto del contrasto all’antisemitismo il Senato ha approvato oggi l’istituzione di una struttura liberticida che avrà il potere di stabilire chi ha il diritto di dire cosa e di chiedere la censura in rete delle idee non gradite».

In realtà la scelta di astenersi era stata anticipata nei giorni scorsi da Matteo Salvini, e ribadita dopo il voto: «Siamo contro il razzismo, la violenza, l’odio e l’antisemitismo senza se e senza ma», ha detto il leader leghista a Palazzo Madama. «Non vorremmo però che qualcuno a sinistra spacciasse per razzismo quella che per noi è una convinzione, un diritto, ovverosia il “prima gli italiani”. Siamo al fianco di chi vuole combattere pacificamente idee fuori dal mondo però non vogliamo bavagli, non vogliamo uno stato di polizia che ci riporti a Orwell».

Le reazioni critiche

Argomenti che sono sembrati evidentemente poco convincenti a Mara Carfagna, di Forza Italia, vicepresidente del Senato, che in un tweet pieno di amarezza ha scritto: «La mia Forza Italia, la mia casa, non si sarebbe mai astenuta in un voto sull’antisemitismo. Stiamo tradendo i nostri valori e cambiando pelle. Intendo questo quando dico che nell’alleanza di centro destra andiamo a rimorchio senza rivendicare nostra identità».

Durissima la reazione della presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, secondo cui «la scelta dell’astensione da parte di alcuni partiti è incomprensibile e irresponsabile. Un modo più o meno esplicito per legittimare, o per restare indifferenti, davanti a un odio che purtroppo avanza e che deve riguardare ciascuno di noi a prescindere da ogni appartenenza partitica». Sulla stessa linea Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica romana: «Siamo sconcertati dall’astensione, è una scelta pericolosa».

Anche il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, interpellato all’università Lateranense sulla questione, ha espresso, sia pure in termini più diplomatici, le sue forti perplessità: «Mi preoccupa», ha osservato, «che su alcune cose, su valori fondamentali dovremmo essere tutti uniti. Ci sono cose su cui dovremmo convergere. Io penso che l’invito sia a riflettere sui valori fondamentali. Ci vogliono basi comuni. Poi naturalmente anche qui c’è il pericolo di politicizzare tutto ciò e dovremmo davvero uscire da questo».

Linciaggi sessisti

Che cosa pensare di questa vicenda? Forse può aiutarci a capirne il senso la considerazione del contesto. Il problema da cui è nata l’idea della Commissione è la diffusione di un fenomeno che sta sotto i nostri occhi, che più volte ho denunziato nei miei “chiaroscuri”, e su cui quindi non pretendo di essere neutrale, ma penso di essere oggettivo (l’oggettività non si identifica con la neutralità!): il dilagare della violenza verbale sui social e il loro uso perverso per aggredire chi si trova ad avere un’opinione, o semplicemente una identità – etnica, culturale, religiosa – diversa dalla propria.

La prima vittima che io ricordi di questo linciaggio mediatico, è stata, quando ricopriva al carica di presidente della Camera, Laura Boldrini, massacrata su internet da una valanga di minacce e di volgari insulti sessisti.

Ma è stata solo la prova generale del tipo di attacco rivolto, da allora, nei confronti delle donne coinvolte in vicende pubbliche. Cantanti che si erano permesse di esprimere critiche al governo gialloverde, giornaliste, attrici fino a Carola Rackete, a cui una moltitudine di messaggi augurava di essere violentata dai «negri» che aveva salvato e portato in Italia.

Contro papa Francesco e gli ebrei

Anche in campo religioso questo stile ha preso piede. Papa Francesco è da tempo ormai oggetto di messaggi carichi di odio e di disprezzo che – per fare solo qualche esempio riferibile – lo bollano come «fintopapa», «politicante da strapazzo», «pampero», aggiungedo spesso l’invito sprezzante: «Rimandatelo da dove viene».

Un ambito in cui la violenza verbale ha avuto occasione di sfogarsi con particolare virulenza è quello razziale. Accennavo prima ai duecento messaggi al giorno di odio antisemita conto la senatrice Segre.

Ma, anche senza bisogno di usare internet, molti hanno trovato il modo insultare il giornalista Gad Lerner, in più occasioni – una è stata il raduno della Lega a Pontida – non per le sue idee (sarebbe stato comunque sbagliato), ma semplicemente perché ebreo (e questo è abietto).

La demonizzazione degli immigrati

Ma gli ebrei non sono stati le uniche vittime. Da qualche anno una campagna ossessionante cerca – con successo – di far passare coloro che chiedono di essere accolti nel nostro Paese come “nemici”, “invasori”, da cui difenderci, definendoli «una massa di nullafacenti o delinquenti che non scappano dalla guerra ma la guerra ce la stanno portando in casa».

Ma queste parole non le ho trovate sui social. Sono del leader della Lega, Matteo Salvini, che più volte le ha ripetute, soprattutto a partire dalla campagna elettorale per le lezioni del marzo 2018, ritenendo di poter qualificare – senza averne alcuna conoscenza, tranne quella della loro origine non italiana – migliaia di uomini, donne e bambini la cui colpa era di voler venire a vivere in un paese dove sarebbero stati meno esposti alla povertà, alle malattie, alla mancanza di cibo e di acqua, in alcuni casi alla guerra e alle persecuzioni di regimi spietati.

Distinguere le scelte politiche dalla cultura dell’odio

Si badi bene: qui non è in discussione una scelta operativa. Compito di ogni uomo politico è di sostenere soluzioni ragionevoli per il bene comune dei cittadini che rappresenta.

Ma questo non ha nulla a che vedere con l’odio, il disprezzo, la denigrazione delle persone. Chiunque abbia ascoltato i discorsi fatti da Salvini su questo tema non può non costatare che, al di là dello slogan – discutibile ma in sé non violento – «Prima gli italiani», è questo il clima che da essi trasuda e che sfortunatamente ha trovato sempre più imitatori sui social e nelle piazze.

Alla luce del contesto…

È a questa “libertà di espressione” che i leghisti e i loro alleati temono venga posto il «bavaglio». Ammettendo implicitamente che l’odio e la violenza verbale che la Commissione si propone di combattere vengono innanzi tutto – anche se non esclusivamente – da loro e dai loro seguaci.

Come del resto è confermato dal fatto che in un anno e due mesi di governo non avevano neppure posto il problema, né se lo sarebbero posto senza l’iniziativa della Segre. Quanto a chi accampa la scusa che la Commissione non si propone di combattere l’integralismo islamico, la sua infondatezza è evidente, visto che anche questo rientra, chiaramente, nella gamma dell’odio e della violenza verbale a cui la Commissione dovrà cercare di opporsi.

Il linguaggio non è un fattore estrinseco, un semplice modo di comunicare il pensiero e i fatti. La filosofia contemporanea ha chiaramente messo in luce che esso dà forma all’uno e agli altri, li plasma e li costituisce. Un mondo plasmato da una comunicazione che non conosce il rispetto per l’altro è un mondo disumano.

Non sono sicuro che la Commissione troverà il modo di arginare questa deriva. In realtà sono convinto che solo un’opera educativa che parta dalla gente potrà veramente cambiare le cose. Ma fin da ora sono a fianco di chiunque sia ancora capace di non confondere chi è diverso da lui con un “nemico” da odiare.

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