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Genitori e figli: istruzioni per l’uso

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di Sabrina Corsello

 

Il 21 novembre al CEI si è inaugurata la seconda edizione del master formativo Genitori e figli. Istruzioni per l’uso, con la conferenza di Umberto Galimberti dal titolo: “I miti del nostro tempo: la società in cui i nostri figli devono crescere”.

Il tema è stato da subito affrontato dal filosofo con un approccio realistico e a tratti disincantato.  Ben al di là e contro ogni denuncia moralistica nei  riguardi delle nuove generazioni, Galimberti afferma che se oggi i nostri giovani sono demotivati è perché si trovano a vivere in un contesto in cui il futuro non retroagisce come motivazione.

Il filo conduttore che ha guidato l’esposizione è stato pertanto quello del se e del come sia nuovamente possibile prospettare un futuro che possa finalmente apparire ai giovani, una promessa e non una minaccia. Ma perché ciò possibile, afferma il filosofo, occorre partire da un’analisi realistica capace di riconoscere e guardare in faccia quell’ospite inquietante, operante nella nostra società, che è il nichilismo, ossia quella radicale perdita di senso nei confronti del mondo, della verità e dell’orientamento del vivere sociale. Proprio i giovani, infatti, sono coloro che maggiormente pagano le spese delle distorsioni di un sistema economico e sociale malato che, ben lungi dal rispettare i loro ritmi biologici di sviluppo e di crescita, di fatto li mortifica. Basti pensare che il massimo sviluppo della forza creativa e procreativa di un ragazzo raggiunge la sua pienezza nella fascia di età che và dai 15 ai 30 anni, ma che, ciononostante, alla maggior parte di essi non è data la possibilità di fare ingresso nel mondo del lavoro se non dopo i 30 anni e di divenire padre non prima dei 35.

Inevitabile il senso di frustrazione che determina molti ragazzi a preferire una vita che si accende solo nella mondanità notturna, perché se si finisce per vivere la notte è per non esserci di giorno.

L’analisi del disagio giovanile prosegue addentrandosi, sia pur brevemente, nelle dinamiche che, sin dalla prima infanzia, determinano sicurezza e fiducia nel bambino rafforzandone l’identità. Il riferimento è a Freud, il quale individua nella fascia tra 0 e 3 anni, il formarsi delle mappe cognitive ed emotive. L’immagine che appare ai nostri giorni è purtroppo quella di un bambino, strappato prematuramente dalle braccia materne, il quale continuamente manda segnali, troppo spesso non colti, ed è capace di porre vere domande filosofiche -perché la filosofia in fondo è la condizione naturale dell’uomo- che però, purtroppo, difficilmente trovano risposta. Emerge il ritratto di un bambino per il quale la noia diviene un lusso perché, ammonisce il filosofo, solo la noia scatena la fantasia. La creatività lascia così il posto all’angoscia e all’apatia, come risposte a una prematura e non richiesta sovrabbondanza di stimoli che inevitabilmente finiscono per essere subiti.  

Come ovviare a questo stato di cose e al clima psico-apatico che ne consegue? La risposta, sostiene Galimberti, ce la dà Kant, il quale, nella Metafisica dei Costumi, ci parla dell’importanza del sentimento che, in quanto  evento culturale, rientra nel compito educativo. L’educazione sentimentale diviene così uno dei principali obiettivi di una scuola che sia consapevole del fatto che il suo compito và ben oltre l’istruzione. La scuola, così come la famiglia, dovrebbe infatti essere in grado di educare a sentire se stessi e gli altri, facendo leva su quella forma di sapere che Platone definì tà erotikà,  perché i ragazzi vanno affascinati e conquistati con il carisma che nulla ha a che fare con la philia ossia l’amicizia. Non servono, avverte il filosofo, genitori o insegnanti amici, piuttosto bisogna riconquistare quella giusta autorevolezza di chi sa assumersi la responsabilità del suo compito educativo e sostenerne il  necessario conflitto. Ma perché ciò sia reso possibile non basta che il personale docente abbia vinto un concorso, occorre scavare dentro le motivazioni che spingono a fare questo mestiere e individuare le reali capacità comunicative di ogni insegnante, introducendo come criterio selettivo non solo il concorso, ma anche un test della personalità.

Ai genitori Galimberti dice dell’importanza del tempo cronologico trascorso con i loro figli:  è bene che i genitori sappiano che è falsa l’idea, oggi ricorrente, che l’importante sia la qualità piuttosto che la quantità del tempo trascorso con i figli, perché si educa con la presenza, con l’ascolto attento, con le risposte date, con l’esempio.

La descrizione della società attuale è dunque quella di una società governata dalla logica utilitaristica, mirante al conseguimento del massimo dei beni con il minimo dei mezzi, che tende a imporre l’efficienza e la produttività persino come criterio meritorio selettivo. Espressione ultima di questa logica è la recente introduzione dei test di ingresso pensati per premiare l’intelligenza convergente, misurata sui si, no e non so attraverso l’introduzione dei quiz, che escludono dalla competizione ogni forma di espressione creativa, propria dell’intelligenza divergente, e che finiscono con l’impoverire il linguaggio. La tecnica finisce così con il ridurre l’identità al ruolo e misurarla in base alla sua funzionalità.

Alla domanda su come sia possibile delineare un futuro e uscire quindi dalla spirale nichilistica che determina il collasso del futuro, l’autore de “Il Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto” risponde sottolineando lo stretto legame tra occidente e cristianesimo e individuando nella visione escatologica di esso la possibilità di  prospettare un futuro di salvezza. Occorre infatti chiedersi se l’Occidente e il cristianesimo che è la sua anima, sia ancora oggi capace di varcare le porte del nulla, recuperando una dimensione del sacro. Occorre ritornare all’essenza del cristianesimo attraverso lo studio dei Vangeli, della Bibbia e della filosofia greca, per imparare  a riutilizzare le categorie cristiane, spesso tradite dalla catechesi ecclesiastica.

E la speranza? Il filosofo non ama dichiararsi uomo si speranza, nella misura in cui chi spera spesso finisce con il vivere passivamente in uno stato di attesa. Il futuro non nasce infatti dalla speranza di esso, ma da chi è in grado di adoperarsi attivamente affinché esso possa essere nuovamente prefigurato. Ma perché ciò possa accadere, occorre innanzitutto procedere attivamente verso il cambiamento del sistema educativo e della società che tale sistema struttura e sostiene.

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