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Fiduciosi nei miracoli

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 di Giuseppe Savagnone

 

L’arresto, in Vaticano, di monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e Francesca Chaouqui, rispettivamente ex segretario e membro della Cosea, la Commissione d’inchiesta sulle finanze vaticane, istituita da papa Francesco nel luglio 2013 e poi sciolta dopo il “compimento” del suo mandato, costituisce indubbiamente un duro colpo per l’immagine di una Chiesa rinnovata che il pontificato di Bergoglio cerca in mille modi di legittimare.

    Non solo perché i due indiziati, inseriti, a suo tempo, dallo stesso Bergoglio nel ristretto gruppo di otto  persone che avrebbero dovuto guidare la riforma economica e amministrativa del Vaticano, hanno tradito platealmente il  loro mandato, fornendo i documenti riservatissimi a cui avevano accesso (e altri che addirittura avevano sottratto in modo fraudolento) per la pubblicazione dei libri “di denuncia” (si usa dire così) «Avarizia» di Emiliano Fittipaldi e «Via Crucis» di Gianluigi Nuzzi, di prossima uscita. Ma anche perché le anticipazioni, che già corrono sulla stampa, circa il contenuto di quei documenti, parlano di una curia vaticana ancora oggi tenacemente aggrappata a logiche di potere e di ricchezza, malgrado gli strenui sforzi di Francesco per riformarla.

    Per quanto riguarda il primo punto, a dire il vero, il papa si era già da tempo reso conto di aver riposto male la sua fiducia. Lo aveva chiaramente dimostrato, nel marzo del 2014, la scelta di nominare come vice del card. Pell, nel nuovo  dicastero per l’economia, Alfred Xuereb, invece di Vallejo Balda, fino alla vigilia dato da tutti per sicuro. Nessun incarico nemmeno per la «commissaria» Chaouqui: mentre cinque dei membri della Cosea entrano in un nuovo organismo vaticano, il Consiglio per l’ Economia, lei viene tagliata fuori.

    Alcuni collegano questa improvvisa “disgrazia” a un episodio avvenuto poco prima, a fine febbraio. In occasione della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, mons. Balda, all’insaputa dei suoi superiori, aveva organizzato, sulla terrazza della Prefettura degli Affari economici, un buffet per 150 selezionatissimi membri della Roma “bene”, alternando la distribuzione delle ostie consacrate a quella degli aperitivi, con la  Chaouqui che faceva gli onori di casa. Per Francesco, raccontano, quell’ambigua mescolanza di mondanità e religione – simbolo di tutto ciò che egli detesta nella Chiesa –  era stato uno schiaffo, ma anche una rivelazione (forse non l’unica, ma certo quella definitiva) del tipo di personaggi a cui si era affidato.

    Più grave è il secondo punto, vale a dire il contenuto dei documenti trafugati. Da quello che se ne sa, confermerebbe il sostanziale fallimento dei tentativi del pontefice di ridare trasparenza al sistema finanziario del Vaticano e l’impenetrabilità dei “santuari” di potere che della corruzione di questo sistema si avvantaggiano. Non sono in grado di dire quanto ci sia di vero in questa ricostruzione. So per certo che, data in pasto al circo mediatico, sarà un ottimo business, ma colpirà la figura di Francesco  e indebolirà la credibilità e l’incisività della sua azione per rinnovare la Chiesa. Insieme alla constatazione dell’errore di valutazione fatto dal papa nella scelta di un collaboratore importante, la sottolineatura di  quel fallimento – vero o presunto – costituirà  ancora una volta un’arma per screditare e bloccare la “rivoluzione” messa in moto dall’attuale pontefice.

    Naturalmente gli autori dei libri gabelleranno la loro operazione come un servizio alla verità utilissimo alla Chiesa. A quanto pare è questa la linea difensiva anche di mons. Balda e della Chaouqui. Come del resto quella di mons. Charamsa nella sua “denunzia”. E come forse (anche se questo non mi risulta direttamente) degli sciacalli che hanno messo in giro la voce del preteso tumore al cervello del papa e divulgato, falsandone il contenuto, la lettera di alcuni cardinali riguardo al Sinodo.

    In realtà, basta un po’ di buon senso per capire che non si aiuta papa Francesco – come non si è aiutato papa Benedetto – sollevando polveroni scandalistici. Qualcosa di vero ci sarà sicuramente. Ma, dice Habermas, il massimo studioso della filosofia della comunicazione del Novecento, che un messaggio dev’essere valutato non soltanto sotto il profilo della sua verità, ma anche sotto quello della sincerità di chi lo comunica e sotto quello della sua opportunità. Una notizia vera può essere data allo scopo di ferire o distruggere qualcuno. E può essere detta in un momento in cui ottiene lo scopo opposto a quello dichiarato.

    Detto ciò, si può solo augurare a papa Francesco di trovare nella sua preghiera personale, e in quella che tanti credenti (ma forse anche qualche non credente…) rivolgono al Dio di Gesù Cristo perché lo sostenga, la forza per andare avanti malgrado tutto. Come – con i suoi limiti, con le sue contraddizioni, con le sue fragilità, ma anche con la sua schietta visione evangelica dei problemi – ha fatto finora. Noi – i tanti che condividono la sua opera – a nostra volta dobbiamo aiutarlo, non solo con la preghiera, ma cercando di tradurre nella nostra modesta sfera d’azione la sua prospettiva e il suo  stile. Quello che veniva chiesto, a lui e a noi, era di fare il possibile. In realtà, se si guardano le premesse,  si sta facendo l’impossibile. Per i miracoli – diceva una vecchia  battuta – ci stiamo attrezzando. Meglio: li attendiamo da Colui che, forse, li sta già compiendo e che può dare a tutti noi il coraggio di continuare.

 

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