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Fidarsi di sé, fidarsi di Dio

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Introduzione alla lectio divina su Mt 1,18-24

22 dicembre 2013 – IV domenica di Avvento

 

18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Daniele Crespi, Sogno di san Giuseppe, 1620-1630 ca.

           

“Il testo biblico suggerisce che non vi è situazione umana, per quanto lacerante o dolorosa o contraddicente, che non possa essere vissuta con umanità e con santità” (L. Manicardi). La situazione affrontata da Giuseppe dovette essere in effetti a dir poco angosciante. Eppure, due sono i tratti dell’uomo Giuseppe che emergono con particolare vividezza: la padronanza di sé e la fiducia in sé e in Dio.

Per quanto riguarda il primo aspetto, nell’epoca attuale, in cui il fidanzato, l’ex marito o il convivente che viene lasciato reagisce con violenza alla separazione, uccidendo, sfigurando o, quando va bene, diffamando la donna da cui si sente rifiutato, la Scrittura ci testimonia come un uomo di 2000 anni fa si sia mostrato padrone della sua rabbia, della sua gelosia, del suo dolore, rinunciando a far valere i suoi stessi diritti, sanciti con chiarezza dalla Legge del tempo. Infatti, “Se la cosa è vera, se la giovane non è stata trovata in stato di verginità, allora la faranno uscire all’ingresso della casa del padre e la gente della sua città la lapiderà, così che muoia, perché ha commesso un’infamia in Israele, disonorandosi in casa del padre. Così toglierai il male di mezzo a te” (Dt 22, 20-21).

 

Giuseppe è l’uomo che ha saputo addomesticare la “bestia accovacciata” alle porte del cuore di ognuno di noi, ha dominato la propria aggressività con la razionalità del pensiero (“mentre egli rifletteva su queste cose”: v. 20, in greco enthymethéntos); è definito dunque un uomo Giusto, e non perché si muova nei parametri della legalità umana, ma perché li supera, con animo grande e fiducioso, aderendo senza timore ai disegni inauditi di Dio.

Un uomo razionale, eppure capace di slancio e di fede cieca, che sa raccogliere quell’invito a “non temere” un  progetto più grande di lui. Il progetto di inserire Dio stesso nella stirpe di Davide, cui Giuseppe apparteneva, per far sì che il Dio lontano e imperscrutabile divenisse finalmente uno di noi, anzi l’uno con noi, l’Emanuele appunto.

Tramite Giuseppe, che deve dare quel nome tanto impegnativo al bambino (“Gesù”, v.21), Dio si fa Salvatore dal basso, in mezzo agli uomini, e non al di sopra come un deus ex machina. Una volta che ha compreso il piano di Dio, Giuseppe accetta, non come strumento passivo, quasi fosse una marionetta nelle mani del creatore, ma con la consapevolezza del suo ruolo di padre, con la fiducia in sé che lo porta a essere uomo concreto e fattivo, a portare in salvo la propria famiglia, a  custodire il Bene supremo che gli è stato affidato. Ecco, non c’è fede in Dio che non si sostanzi di fiducia in se stessi.

Fiducia in sé che non è, si badi bene, convinzione di potercela fare con le proprie forze, perché sappiamo fin troppo bene di non essere neanche in grado di “rendere bianco o nero un solo capello” (Mt 5,36). Fiducia in sé è quell’atteggiamento positivo e luminoso di chi dimostra di non temere di dire sì a Dio, perché sa di essere stato creato ad immagine e somiglianza, e che l’intera sua vita non è altro che lo sforzo costante di fare emergere proprio quell’immagine e di far risaltare quella precisa somiglianza. La fiducia in sé è fiducia in quel tratto divino che ci si porta dentro come un’impronta indelebile da quando abbiamo aperto gli occhi per la prima volta a quando li richiuderemo per l’ultima.

Giuseppe ha tenuto questi tratti così fermi, luminosi e chiari che Dio lo ha scelto per farsi prendere in braccio da lui.

Valentina Chinnici

 

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