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L’odore del mondo

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Introduzione alla lectio divina su Mt 28,16-20

1 Giugno 2014 – Ascensione del Signore

16 Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

Una scena tratta dal film di P. Pasolini, Il Vangelo secondo Matteo, 1964

           

            Si parlava di lutti e di addi la scorsa settimana.

Ed ecco che il brano di oggi ci rappresenta un lutto ben elaborato, da parte di persone che hanno smesso di compiangersi e di sospirare l’assenza, per rimboccarsi le maniche, per rimettersi in pista, per ricominciare a sentire “l’odore del mondo”, tornando di nuovo in mezzo alla gente.

            «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,11, la I lettura). Già, che senso ha stare a guardare il cielo quando fuori c’è un mondo che ci aspetta?

 Un mondo di persone che hanno bisogno di essere umanizzate, salvate, redente dai propri inferni personali, ma non a colpi di dottrina morale impartita ex cathedra, bensì con la compagnia lieve di chi sa ascoltare, con gentilezza, rispetto e stima infinita, perché bisogna “stimarli” gli altri se si vuole comunicare davvero con loro.

D’altronde i discepoli che ci presenta Matteo sono fragilissimi per costituzione:

            “Un insieme di zoppicanti sin dal principio, manca il dodicesimo, l’istituzione Chiesa è costitutivamente traballante; un insieme di adoranti e di increduli al contempo (Mt 8,26; 14,31; 16,8; 17,20), mentre ci prostriamo dinanzi a Lui riconoscendolo Signore risorto dubitiamo di Lui e ci scopriamo « uomini di poca fede», mendicanti fede” (Giancarlo Bruni).

Colui che detiene il potere e l’autorità è solo Gesù, secondo una formula che Matteo attinge dal profeta Daniele (7,14: A lui fu dato il potere e tutte le genti della terra lo serviranno…). I discepoli sono chiamati ‘semplicemente’ a insegnare, cioè a farsi segno credibile di ciò che hanno ascoltato da Cristo, per insegnare a osservare, cioé a custodire e a vivere in prima persona la legge dell’amore evangelico. Infatti “insegnare significa fare segno (in-signare), dare simboli e chiavi ermeneutiche della realtà. Insegnante credibile è colui che vive in prima persona ciò che insegna e che vive di ciò che insegna. O almeno, cerca di farlo. La figura di maestro che il Vangelo costruisce, sulla scia di Gesù di Nazaret che è al tempo stesso maestro e insegnamento, è anche quella di un testimone: non si può insegnare il Vangelo senza viverne” (L. Manicardi).

Ecco il segreto dell’efficacia dell’insegnamento di persone come Padre Pino Puglisi, il piccolo parrino di Brancaccio che ha tanto spaventato i boss mafiosi da convincerli a ridurlo al silenzio, non sospettando che la sua morte avrebbe fatto riecheggiare per sempre e con molta più forza la sua testimonianza mite nelle strade della nostra Galilea delle genti.

Sì, perché dalla Galilea tutto era cominciato: la missione stessa di Gesù era cominciata da lì (Mt 4,23) e proprio lì ora Gesù passa il testimone ai suoi discepoli, perché non se ne stiano chiusi nelle sinagoghe di Gerusalemme, ma scendano a sentire, appunto, l’odore della fatica e della sofferenza del mondo, di cui la Galilea, regione impura e crocevìa di popoli, è immagine per eccellenza.

Il dolore ci fa chiudere in noi stessi, la gioia ci apre al mondo: come discepoli abbiamo il dovere, ma soprattutto l’esigenza di condividere la consapevolezza, se l’abbiamo sperimentata davvero, che quella fatica e quella sofferenza non sono l’ultima parola, che non siamo tante monadi catapultate dal Caso in questo “atomo opaco del male”.

            Abbiamo bisogno di aprirci al mondo, di narrare la gioia di non essere soli, la certezza che c’è qualcuno che ha scelto di starci accanto tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

Occhio però, a non sbagliare prospettiva, perché, come ci rammenta ancora Manicardi, “Le parole ‘Io sono con voi’ stanno nello spazio della fede e della speranza, le parole ‘Dio è con noi’ stanno nello spazio della certezza e del sapere (e nascondono illusione e menzogna): se le prime aprono il futuro (e lo aprono indefinitivamente: “fino alla fine del mondo”), le seconde lo chiudono irrimediabilmente”.

Valentina Chinnici

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