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Don Antonio Zito: Il dialogo è esperienza viva della vita comunitaria. Intervista al referente per la pastorale LGBTQ della chiesa palermitana.

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Il disegno di legge proposto in parlamento dall’on. Zan ha acceso una serie di dibattiti all’interno della società italiana che riguardano questioni connesse ai diritti, all’affettività, alla morale. Fra i protagonisti di simili dibattiti vi sono anche le comunità cattoliche che ormai da qualche tempo hanno avviato un percorso legato alla pastorale LGBTQ. Di questo tema discutiamo con Don Antonio Zito. Direttore dell’ufficio per l’insegnamento della religione cattolica nell’arcidiocesi di Palermo, Zito è il referente ecclesiale della pastorale LGBTQ della chiesa palermitana.


– Don Antonio, il dibattito sul “DDL Zan” può rappresentare per la Chiesa cattolica italiana un’occasione per avviare o maturare percorsi di pastorale LGBTQ nelle comunità credenti?

Così come sta procedendo il dibattito, in quanto dibattito tra sordi, penso sia, ancora una volta, una occasione perduta. Intanto desidero precisare che ogni tipo di pastorale deve coinvolgere i soggetti per cui opera, nel caso della pastorale LGBTQ i soggetti sono i fratelli e le sorelle LGBTQ, unitamente a coloro che sono loro vicini. Solo lo stile di dialogo comunitario può avviare percorsi utili alla realizzazione dell’obiettivo: l’inclusione.

– Un percorso di riflessione, quello della Chiesa cattolica, che trova nell’esortazione apostolica Amoris laetitia un punto di riferimento importante quando al numero 250 si afferma che “ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza”. Questa affermazione del magistero quale conseguenze può sviluppare per la pastorale delle chiese locali?

Una volta si diceva: Verba volant, scripta manent. Oggi credo che oltre alle parole anche gli scritti volino! Intanto esistono diverse scuole di pensiero, le quali interpretano ciò che è scritto secondo una lettura che ha regole pregresse. Altri orientamenti ben strutturati non tengono in considerazione quanto di nuovo viene proposto. Infine, esistono realtà che estremizzano definendo ora tradimento nei confronti del deposito della fede quanto viene espresso, ora abusando per portare acqua al proprio mulino e sostenere le idee più stravaganti. La violenza in qualsiasi modo si espliciti e da qualsiasi luogo venga perpetrata va denunciata, condannata e bandita. Ma la violenza non può essere manipolata per fare entrare a Troia il cavallo che la distruggerà. Per questo ritengo che l’unica soluzione sia il dialogo scevro da ogni tipo di pregiudizi e paure infondate.

– È chiaro che, per avviare processi inclusivi, necessita un sforzo educativo rivolto alle future generazioni. Su questo tema, gli insegnanti di religione cattolica sono chiamati a dare un contributo rilevante. Concorda?

Certamente i docenti di religione cattolica hanno un ruolo fondamentale riguardo questa tematica, come per tante altre. Essi rimangono l’unico ponte tra l’istituzione/la comunità Chiesa ed il mondo. La famiglia in questi ultimi venti anni è in cerca di una sua identità, ciò ha fatto venir meno quella autorevolezza, che la poneva come punto di riferimento per i giovani. La scuola ha allargato sempre più i suoi confini, risultando lo spazio fisico e temporale di aggregazione e di crescita delle nuove generazioni. In questo mondo vitale, i docenti di religione cattolica assumono un ruolo straordinario. Risultano fondamentali in quanto educatori-compagni di bimbi, ragazzi e giovani, che iniziano il loro percorso scolastico a 3 anni e lo concludono a 18. In questi 15 anni lo studente ha la possibilità di recepire che il docente è maestro, ed a lui/lei riconosce quella autorevolezza che si fa confidenza e rapporto che travalica le mura della scuola e permane nella vita. Credo con fermezza, che la Chiesa ed i vescovi, che sono chiamati a condividere con il Papa la responsabilità dell’annuncio evangelico, dovrebbero riconoscere il ruolo e la missione unica e fondamentale dei docenti di religione cattolica, cosa che non sempre risulta evidente.

– Dal suo punto di vista, la Chiesa in Italia è pronta per la promozione di una pastorale LGBTQ diffusa capillarmente nei territori?

A mio parere la Chiesa popolo di Dio, potrebbe esserlo, altro è l’istituzione. Oggi si ha difficoltà a convergere sull’oggettivo, in qualunque campo, sia pure quello scientifico. Esistono, piuttosto, aspetti soggettivi che assumono valore di oggettività inappropriata. Ad esempio in quanto all’ecumenismo, l’uomo del nostro tempo si preoccupa di trovare la convergenza sulla esistenza di Dio a prescindere da una definizione particolare. Ciò può apparire opportuno, ma il rischio è che quell’unico Dio risulti talmente ridotto all’osso da risultare altro nei confronti degli uomini che lo cercano. La tematica LGBTQ è sì una questione particolare, ma nello stesso tempo fa parte di una realtà universale che è intrinseca nella umanità, ovvero la necessità di riconoscere la comune e particolare identità di uomo e di figlio di Dio.

– Da qualche tempo lei è il referente della pastorale LGBTQ della chiesa palermitana. Come si è caratterizzato in questo periodo il suo impegno in questo versante?

Devo dire che la responsabilità di direttore dell’ufficio IRC mi coinvolge particolarmente ed assorbe buona parte del mio impegno lavorativo. Nello stesso tempo da 4 anni, ossia da quando il nostro arcivescovo mons. Corrado Lorefice, verbalmente ha accolto la mia disponibilità ad occuparmi della pastorale LGBTQ, ho cercato di promuovere il dialogo nella nostra chiesa palermitana, badando a rispettare le persone che esprimono i più svariati punti di vista sull’argomento e evidenziando la evangelica opportunità di soffermare la propria attenzione alle sorelle ed ai fratelli LGBTQ, certo che il dialogo non solo è luogo di arricchimento reciproco, ma soprattutto è esperienza viva della vita comunitaria guidata dallo Spirito inviato dal Signore risorto perché prendessimo coscienza dell’essere figli dell’unico Padre. È mia intenzione, se Dio vorrà, procedere su questa scia avendo sempre più chiari gli obiettivi da raggiungere insieme a chi vorrà collaborare, e soprattutto partecipare a raggiungere la meta, ossia la inutilità di una pastorale LGBTQ. 

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