Senza categoria

«”Osanna” e “Crocifiggilo”» – Commento su Mc 14,1-15,47 (Domenica delle Palme e Passione del Signore)

Loading

Leggi il Vangelo di riferimento: la Passione del Signore (Mc 14,1 – 15,47)

easter-sunday-2250207_640Entriamo, con la Domenica della Palme, nelle settimana della passione, morte e resurrezione di Gesù. La liturgia ci propone il racconto dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e la lettura della Passione, entrambi secondo l’evangelista Marco. “Osanna!” e “Crocifiggilo!” sono le grida che si alzano dalla folla: sentirle insieme, nella stessa celebrazione Eucaristica, ci immette nell’atmosfera sospesa, cupa, inquietante che ci porterà, con un drammatico crescendo, al Venerdì Santo, alla crocifissione.

Gesù di Nazareth è entrato altre volte a Gerusalemme, nei tre anni di vita pubblica, ma oggi vi entra in modo nuovo: si procura una cavalcatura, un asino sul quale nessuno è ancora salito (Mc 11,2) ed entra acclamato da una folla che stende i mantelli sulla strada e agita fronde tagliate nei campi (Mc 11,8), gridando “Osanna!”, termine ebraico che significa “Aiutaci! Salvaci!”. In prossimità della Pasqua era consueto che si accogliessero, con un corteo festoso alle porte della città, i pellegrini che portavano le primizie al tempio, ma la festa che si raccoglie intorno a Gesù va ben oltre questa eventualità. Non è neanche una risposta al potente segno della risurrezione di Lazzaro (Gv 11,45), avvenuta poco prima. Essa, in verità, adempie alla profezia del Messia che viene, somiglia all’ingresso trionfale dei re d’Israele verso il trono, al trattamento riservato al vincitore dall’epoca maccabaica (2 Mac 10,7).

È posto in essere un vero e proprio riconoscimento di Gesù come Messia, il quale fino a quel momento, nonostante la chiarezza dei segni («i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» in Mc 11,5), aveva rifiutato di essere definito tale o chiamato Re, aveva sempre congedato la folla per ritirarsi a pregare (Mc 6,46) e solo a pochi aveva rivelato la sua identità di Cristo (la donna samaritana in Gv 4,26, il cieco nato in Gv 9,37).

L’entusiasmo della folla deriva dalle attese di un Messia politico che liberasse la Palestina dall’occupazione romana. L’unica anomalia rispetto a questa aspettativa belligerante è l’umiltà di Gesù, che cavalca un asino, non veste abiti ricchi e appariscenti, non porta con se armi o segni di potenza militare e politica, non possiede il pathos della magnificenza, né quello della miseria, della povertà commovente. Incarna la profezia messianica mite e pacifica dell’antico testamento («Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» in Zc 9,9) e la dignità regale, poiché anticamente i re solevano cavalcare un asino (Gen 49,11). È l’ultimo istante che Dio concede ancora perché il popolo accolga il suo messaggio così come è, per spalancare la porta del Regno di Dio che appare già cosi disperatamente sbarrata. Nelle stesse ore i capi dei sacerdoti cercheranno di catturarlo con l’inganno (Mc 14,1) e Giuda concorderà il prezzo della consegna di Gesù, al momento opportuno (Mc 14, 10-11). Gesù si rivela oggi apertamente come Cristo, come l’atteso Messia d’Israele, nel dispiegarsi della volontà del Padre, anche se ha già compreso la chiusura del mondo ad accoglierlo, ha già annunciato a i discepoli ciò che lo attende.

L’agitazione è grande: gli stessi discepoli avranno avuto determinate attese e alcuni di essi possedevano la spada che, nel Getsemani, sfodereranno per difendere il Maestro (Mc 14,47), prima che lui li fermi. Gesù è acclamato con un fervore che, da un certo punto di vista, è a un passo dalla voracità, dalla violenza con la quale, pochi giorni dopo, sarà chiesta la sua crocifissione e la liberazione dell’omicida e agitatore Baràbba. Osservata alla luce della Passione, questa festa appare inquietante perché rivela la natura dell’uomo ribelle a Dio, volubile, tendenzialmente chiuso al suo vero messaggio, come liricamente Dostoevskij descrive nel Grande Inquisitore (I fratelli Karamazof). È l’uomo che si piega alle forze del miracolo, del mistero e dell’autorità: è pronto a innalzare Gesù il Nazareno dopo la moltiplicazione dei pani (Gv 6,15), crede entusiasta in lui dopo il segno della resurrezione di Lazzaro (Gv 11,45) e lo accoglie festoso alle porte di Gerusalemme ma poco dopo, aizzato dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, chiederà per lui torture disumane e una morte infamante. Siamo noi uomini.

Da un altro punto di vista, tuttavia, quello che accade è un evento profetico: un momento in cui il senso divino si presenta aperto nella vicenda umanamente afferrabile del Signore che entra a Gerusalemme. Per opera dello Spirito Santo la gente coglie con lo sguardo il senso, la vera regalità e messianicità di Gesù di Nazareth. È un evento ispirato dallo Spirito come le parole di Pietro a Cesarea di Filippo: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio Vivente» (Mt 16,16) che non vengono da carne né da sangue; o come le parole del sommo sacerdote Caifa che consiglia ai Giudei «E’ conveniente che un solo uomo muoia per il popolo» (Gv 11,51). Per tale ragione, quando i farisei, scandalizzati, chiedono a Gesù di rimproverare coloro che lo acclamano in tal modo Gesù risponde, citando le parole del salmo (Sal 8,3): «Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode?» (Mt 12,16) e «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40), in un gesto di inappellabile conferma della sua identità, in vista della passione imminente.

Così, nel tumulto e nella contraddizione degli ultimi giorni della vita di Gesù di Nazareth, la liturgia di questa domenica ci prepara alla Settimana Santa. Gesù oggi brilla come il vero Messia, il figlio di Dio, il Re dei Giudei, la luce del mondo che l’umanità non ha accolto, nonostante abbia avuto ogni occasione di conversione. Consegnandosi, infine, alla violenza, al rifiuto e alla morte di croce, Gesù vincerà l’ostinazione del peccato e la morte uscendo dal sepolcro e facendo nuove tutte le cose, nella Pasqua che ci apprestiamo a vivere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *