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La democrazia deliberativa: un’opzione contro la post-verità

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Per il dizionario di Oxford, il 2016 è stato l’anno della post-truth, della post-verità. Secondo gli analisti del web, false notizie ed insinuazioni on-line sono state capaci di condizionare Brexit ed elezioni americane. Più di un osservatore ha constatato che su Internet i “troll” la fanno da padroni con il loro linguaggio offensivo, insultante, disturbante. Per contrastare questi fenomeni di post-verità si iniziano già a caldeggiare Autorità internazionali “anti-bufale” e contemporaneamente si sollevano voci critiche contro possibili censure sul Web. Per vaccinarci contro la post-truth ed il suo portato anti-evangelico di menzogne, potremmo puntare sulla inner-truth, sulla verità che nasce da dentro le relazioni sociali. Il 2017 potrebbe allora diventare l’anno della democrazia deliberativa in Italia. Ci vengono incontro alcune circostanze: il Commissario straordinario per la ricostruzione nel Centro Italia dovrà disciplinare idonei processi di partecipazione delle popolazioni sui progetti di ricostruzione post- sisma; inoltre entro il 19 aprile 2017, il Governo dovrà emanare il DPCM che regolerà in Italia il dibattito pubblico prima della costruzione di una grande opera. Infine, durante il G7 dei Ministri dei trasporti e delle infrastrutture, uno dei temi da approfondire insieme ai partner internazionali sarà proprio il dibattito pubblico sulle grandi infrastrutture pubbliche e private. In Toscana, esiste la legge regionale n. 46 del 2013 avente ad oggetto “Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali” ed anche Emilia-Romagna, Lazio, Puglia e la Provincia di Trento si sono mosse in questa direzione.

Vorrei adesso presentare rapidamente i principali istituti della democrazia deliberativa, quali i dibattiti pubblici, le giurie dei cittadini, le consultazioni pubbliche per definire la pianificazione del territorio, i sondaggi deliberativi, le progettazioni partecipate in protezione civile, i bilanci partecipati per poi offrire alcune indicazioni per il laicato impegnato nella pastorale della cultura.

Riprendendo gli studi di J. Elster e A.Floridia, possiamo affermare che nella vita pubblica, esprimiamo le nostre preferenze con votazioni (elezioni comunali, regionali, parlamentari, ma anche tramite i referendum), negoziazioni (ad esempio nel diritto civile ed in quello del lavoro, nei rapporti con la PA), mobilitazioni (scioperi, cortei, manifestazioni di piazza) ed argomentazioni (l’opinione pubblica che nasce dagli articoli dei quotidiani, dalle riviste specializzate, dalle petizioni e dai manifesti su internet, dalle trasmissioni televisive…). La democrazia deliberativa si collega a quest’ultima modalità, promuovendo e garantendo arene pubbliche in cui cittadine e cittadini possano dialogare secondo principi di chiarezza, esaustività, inclusività per soppesare, valutare, ponderare i pro ed i contro di una determinata opzione (ad esempio la realizzazione di nuovi impianti di trattamento dei rifiuti, di nuovi porti, di nuove vie autostradali, di nuove centrali etc). La peculiarità della democrazia deliberativa consiste nella presenza di “esperti della deliberazione”, di professionisti neutrali, capaci di progettare, facilitare, valutare i processi deliberativi. Ciò crea una novità epistemologica interessante: ad esempio, in un dibattito pubblico tutti i partecipanti sono sullo stesso “piano dialogale”, cittadini, rappresentanti delle istituzioni, esperti, rappresentanti di associazioni e comitati. Inoltre, come opportunamente sottolinea R.Lewanski, in taluni processi deliberativi si riscopre la tradizione risalente alla democrazia ateniese dell’estrarre a sorte dei cittadini a cui saranno delegate talune mansioni specifiche, sebbene temporanee. A J. Fishkin, docente dell’Università di Stanford (USA), si deve invece la creazione dei sondaggi deliberativi, nati per rilevare le nostre opinioni di cittadini prima e dopo aver potuto riflettere adeguatamente su una determinata questione, al fine di rafforzare le nostre conoscenze e contrastare le post-verità. Con i bilanci partecipativi, alcuni cittadini (estratti a sorte oppure indicati da altri cittadini) discutono per mesi tra loro e con esperti ed alla fine decidono su dove investire una determinata quota delle uscite del bilancio comunale. L’iniziativa è nata a Porto Alegre ed ha diverse attuazioni anche in Italia, ad esempio la recente esperienza del bilancio partecipativo in Ancona: circa 100 cittadini estratti su base anagrafica, hanno selezionato 4 delle oltre 90 proposte su come investire 100 mila euro messi a disposizione dalla giunta comunale. Più di duemila cittadini hanno espresso le proprie preferenze, dichiarando vincitore il progetto “Amico Parco”. Con le giurie dei cittadini, si reclutano dei gruppi di volontari (in genere 12 o 24), riunendoli in un luogo isolato per 3-5 giorni, alla conclusione dei quali i giurati pervengono a emettere un «verdetto» su una determinata problematica. Recentemente, l’Irlanda si è dotata di una nuova legge elettorale ricorrendo proprio ad una giuria dei cittadini ( formata da 33 parlamentari + 66 cittadini sorteggiati). Il dibattito pubblico è in Francia una magistratura di influenza, in cui dal 1995 i cittadini sono invitati dal proponente una grande opera a prendere parte ad una serie di incontri, nell’arco di 4-6 mesi, nei quali insieme ad esperti, stakeholders, istituzioni politiche conosceranno i dettagli del progetto preliminare e potranno chiedere chiarimenti ed esprimere dubbi sulla reale opportunità della nuova infrastruttura. E’ di solito prevista la c.d. opzione-zero, sia nella versione forte (il proponente rinuncia alla costruzione) che in quella light (il proponente deve motivare nel dettaglio perché non può aderire alle proposte di chi si oppone alla costruzione). La caratteristica di un dibattito pubblico è che a coordinarlo è un team di esperti facilitatori, nominati da una Commissione indipendente nazionale, che abbiano determinati requisiti di indipendenza e neutralità, equivicini ai protagonisti del dibattito.

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Un buon dibattito pubblico è fatto da un mix di elementi: una buona partecipazione inclusiva ( v. la scala della partecipazione introdotta da Arnstein nel 1969), una buona deliberazione (lo scambio tra saperi), una ricaduta sul capitale sociale del contesto in cui esso si svolge. Benché senza una cornice legislativa, il primo dibattito pubblico svoltosi in Italia è stato quello indetto nel 2009 dal Comune di Genova per affrontare la necessità di smaltire il traffico urbano, costruendo una nuova arteria autostradale, la c.d. Gronda di Ponente: diversi cittadini erano contrari alla nuova opera, proposta da Autostrade per l’Italia ed articolata in cinque possibili tracciati tra cui discutere in un apposito dibattito pubblico. Benché i contrari siano rimasti tali anche a fine dibattito (v. comitati No Gronda), l’arena deliberativa genovese ha tuttavia “generato conoscenza”: grazie a tre cittadini (“profani”) i tecnici di Autostrade (“gli esperti”) hanno appreso l’opportunità di introdurre rilevanti modifiche al tracciato. Una interessante novità sarà la protezione civile partecipata disciplinata dall’articolo 16, comma 2 del decreto-legge 189/2016 convertito dalla legge 229/2016 sulla ricostruzione dopo i recenti eventi sismici: (…) Sono assicurate adeguate forme di partecipazione delle popolazioni interessate, mediante pubbliche consultazioni, nelle modalita’ del pubblico dibattito o dell’inchiesta pubblica, definite dal Commissario straordinario nell’atto di disciplina del funzionamento della Conferenza permanente (..).

Per il prof. Fausto Marincioni, docente di Riduzione del Rischio Disastri all’Università Politecnica delle Marche, la ricostruzione è la fase più importante del ciclo del disastro; una buona ricostruzione riduce sia l’esposizione sia la vulnerabilità del sistema socio-ecologico durante il prossimo impatto. Una buona ricostruzione è quella partecipata, capace di coinvolgere le popolazioni sin dalle fasi iniziali della progettazione. Solo in questo modo si potranno sviluppare comunità resilienti, che comprendano i pericoli del territorio e sviluppino un tessuto urbano e produttivo adatto alle caratteristiche di quello specifico spazio geografico (v. La ricostruzione crea opportunità. Case di legno e non di pietra, Corriere Adriatico, pagina Lettere & Commenti, 15.11.2016). Infine, non vanno trascurati gli esempi sempre più diffusi di urbanistica partecipata per la pianificazione del territorio, ascoltando esigenze e suggerimenti dei cittadini.

Dopo la presentazione dei principali istituti di democrazia deliberativa, va comunque chiarito che quest’ultima non ambisce a sostituire la democrazia rappresentativa. Piuttosto la rafforza, le dà “aria fresca”. I processi deliberativi aiutano a vivere diversamente i conflitti (ambientali, sociali, generazionali, etc). Come direbbe Marianella Sclavi, ci regalano il gusto di esplorare altri mondi possibili, di perlustrare le altrui cornici culturali, condividendo le proprie, innescando così inedite forme di arricchimento reciproco, tramite l’arte di ascoltarci le une con gli altri.

Una pastorale ecclesiale della cultura interessata a migliorare il tessuto civile e solidale del nostro Paese potrebbe a ragion veduta scegliere di promuovere la democrazia deliberativa tramite:

-Lo studio dei saggi che approfondiscono natura e metodo dei processi deliberativi e la sensibilizzazione su questo tema nei confronti dei Vescovi, dei consigli presbiterali, dei consigli pastorali diocesani, delle consulte per il laicato, degli istituti teologici e di formazione socio-politica. Il numero 135 di Laudato Sì, relativo al questione degli OGM, incoraggia a camminare proprio in questa direzione: (…) E’ necessario disporre di luoghi di dibattito in cui tutti quelli che in qualche modo si potrebbero vedere direttamente o indirettamente coinvolti (agricoltori, consumatori, autorità, scienziati, produttori di sementi, popolazioni vicine ai campi trattati e altri) possano esporre le loro problematiche o accedere ad un’informazione estesa e affidabile per adottare decisioni orientate al bene comune presente e futuro (…).

– l’impegno diffuso, di popolo a “ fare il tifo” per i nuovi processi di protezione civile partecipata per la ricostruzione di Norcia, Amatrice, Camerino, Civitella del Tronto e di tutti i comuni inseriti del “cratere” (v. allegati 1 e 2 della legge sulla ricostruzione). Il terremoto non è solo destino crudele da subire con rassegnazione, catastrofe incombente a cui resistere, ma è inaddomesticabile opportunità con cui una comunità si ripensa, prova a guardare insieme al dolore ed ai lutti, si rinnova, adotta le migliori strategie per ridurre i rischi prima delle successive scosse. Per accedere a questa nuova mentalità, una comunità deve far leva sulle proprie risorse culturali in senso stretto e lato (famiglie, scuole, parrocchie, università, associazioni, sindacati, team di esperti, partiti, mass media…) e deve avere dei buoni momenti di partecipazione dedicati al dialogo, al confronto, all’ascolto.

-la programmazione di periodici seminari tra i credenti (ad esempio Alici, Baccarini, Cogliandro, D’Agostino, Galeazzi, Gatti, Ivaldo, Mancini, Miano, Perone, Pezzimenti, Punzi,Salmeri, Samek-Lodovici, Savagnone, Semplici, Vellani, Viola,) che riflettono sui fondamenti dell’etica sociale o sui filosofi del dialogo quali Buber, Levinas, Ricoeur, Taylor al fine di dibattere del pensiero dei padri filosofici della democrazia deliberativa: J. Dewey, H. Arendt, J. Habermas,etc.

-Con un semplice domanda: “Si parla tanto di J.J.Rousseau, come pensatore di riferimento per uscire dal sistema della democrazia rappresentativa, basato sui partiti, sulla distinzione tra destra e sinistra, etc. Ma siamo proprio sicuri che l’impianto del pensatore ginevrino sia quello più indicato per uscire dalle secche della nostra democrazia rappresentativa in crisi? Conoscendo la storia italiana, non c’è il rischio di favorire un malcelato assemblearismo autoritario? Perché non puntare su J. Habermas e la sua democrazia discorsiva?”.

-La richiesta alle istituzioni deputate alle politiche del lavoro, ma anche al sistema delle fondazioni bancarie e delle istituzioni filantropiche di coordinarsi per incentivare i tanti giovani inoccupati ad intraprendere la professione di facilitatore di processi deliberativi, attivando circuiti virtuosi: i giovani hanno diritto ad un lavoro dignitoso; le nostre comunità hanno necessità di aumentare la qualità delle relazioni civiche e democratiche. I facilitatori senior- che da anni progettano e realizzano processi deliberativi- potrebbero trasmettere il proprio bagaglio di conoscenze ai giovani appassionati al bene comune.

Mi auguro che tra i compiti comuni dei cattolici in vista della loro Settimana sociale rientrerà anche quello di farsi promotori, progettatori, realizzatori, valutatori di processi deliberativi. Per molti lustri, la comunità cristiana ha sostenuto la formazione del laicato, per prepararlo ad essere parte attiva della classe dirigente del Paese. Oggi questa finalità è appannata, sia perché le nostre proposte formative sono raramente ed organicamente di qualità, sia perché “l’assalto dei capitali alla tolda della politica” ha ridotto decisamente gli spazi di autonome scelte direttive. Ed allora, proviamo quantomeno a diventare un po’ tutti “classe deliberante”, cioè insieme di cittadine e cittadini che si dedicano esplicitamente alla diffusione di dibattiti pubblici, giurie dei cittadini, sondaggi deliberativi, bilanci partecipativi…In tale direzione va questo sintetico contributo che dedico alla memoria viva del Prof. Franco Mosino, mio zio, di Mons. Domenico Amato, di Mons. Domenico Farias e della Prof.ssa Anna Civran.

In un secondo momento, mi piacerebbe sondare con voi la plausibilità di una circolarità inedita tra Eucarestia e Città, per una sinfonia per Chiesa e Polis nella promozione contemporanea di processi partecipativi & di processi sinodali, nel solco di Evangelii Gaudium.

In fondo, c’è una qualche risonanza tra la “la polis che delibera” e “la Ecclesia che discerne”, tra la deliberazione pubblica ed il discernimento comunitario.

Ma su questo vorrei ritornare successivamente.

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