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Crisi in Ucraina: “dobbiamo guardare anzitutto agli aggrediti”. Intervista a Stefano Ceccanti

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Fra i credenti, e non solo fra questi, la guerra in Ucraina ha riaperto il dibattito mai concluso circa la questione della “guerra giusta”. Fra i diversi pareri, spesso prevalgono tesi estreme come quelle connesse al pacifismo utopico o al sostegno incondizionato alle azioni belliche. In Italia, la discussione è particolarmente accesa per via dell’articolo 11 della Costituzione Italiana il quale stabilisce che il nostro Paese ripudia la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali. Di questi temi discutiamo con Stefano Ceccanti. Già presidente nazionale della Federazione Universitaria Cattolici Italiani (FUCI) e senatore, Ceccanti è professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato presso l’Università di Roma “La Sapienza” e deputato della Repubblica. Nell’attuale legislatura è capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Affari Costituzionali e Presidente del Comitato per la Legislazione. Di recente ha scritto la prefazione al volume di Emmanuel Mounier, pubblicato da Castelvecchi, intitolato I cristiani e la pace.

– Deputato Ceccanti, la guerra in Ucraina – come quelle recenti nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan – ha riaperto il dibattito sull’articolo 11 della nostra Costituzione. Quali sono gli elementi necessari per leggere e comprendere in fondo le parole del nostro testo costituzionale?

Quello che spiegano alcuni biblisti per leggere le Sacre Scritture vale anche per analogia per i testi costituzionali. La comprensione sta dentro quello che si chiama il triangolo ermeneutico composto da tre lati: il pre-testo, le vicende da cui il testo scaturisce; il testo vero e proprio; il con-testo, le sfide storiche che ne disvelano le potenzialità alla prova dei fatti. Il pre-testo era costituito dal ripudio del bellicismo, della logica di aggressione del nazionalismo fascista e, in positivo, dall’esperienza della Resistenza, plurale, composita e fatta anche di un elemento di legittima difesa anche armata. Questo si ritrova bene nel testo che è composto volutamente di un unico comma e di un unico periodo, che tiene insieme il ripudio della guerra con la creazione di un “ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” e con la promozione di “organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Furono due gli autori che vollero il periodo unico, distinto solo da un punto e virgola anziché spezzato da un punto fermo come era stato previsto nella Costituzione francese del 1946: il costituzionalista sturziano di Caltagirone, Carmelo Caristia, e Palmiro Togliatti. Poi c’è il con testo con i suoi pregi e difetti: l’articolo 11 era concepito per l’adesione italiana all’ONU e ci si affidava alle capacità del Consiglio di Sicurezza per reprimere gli aggressori, anche con l’uso della forza, come è chiaro nella Carta ONU, ma qui la realtà ha almeno in parte deluso le speranze.

Tuttavia come previsto anche dalla stessa Carta ONU si sono sviluppate realtà regionali come la UE e la Nato che, in chiave sussidiaria, possono comunque affrontare sempre in una logica multilaterale, le crisi internazionali. Insomma l’articolo 11 va letto tutto insieme come ripudio delle aggressioni nostre e altrui e come impegno per cercare soluzioni efficaci e multilaterali contro gli aggressori. Non separi la politica ciò che il Costituente ha unito.

– Dopo decenni di pace, escluso in conflitto nei Balcani, le nazioni europee si trovano dinanzi alla scelta di come reagire al male rappresentato da un’ingiusta aggressione della Russia verso uno Stato sovrano come l’Ucraina. In termini etico-politici, le nostre democrazie sembrano obbligate a considerare l’uso della forza. È così?

Sì, senza dubbio. Anche perché noi dobbiamo guardare anzitutto agli aggrediti, al Governo legittimo del Paese invaso il quale ha scelto di resistere al male e ci ha chiesto un aiuto. Noi non dobbiamo scegliere al posto della legittima autorità che ha già fatto quella scelta che dobbiamo rispettare, dobbiamo quindi porci il problema di forme ragionevoli di aiuto anche militare, senza le quali noi di fatto costringeremmo gli aggrediti alla resa che essi non vogliono. Lo ha spiegato molto bene anche il recente editoriale del direttore del Regno Brunelli.

Questo non significa che noi dobbiamo aderire passivamente ad ogni richiesta che ci viene fatta. Ad esempio non abbiamo aderito all’idea di una no-fly zone perché avrebbe portato a un’escalation sproporzionata, ma la scelta di fondo non può non essere quella di partire dagli aggrediti.

– Nel testo I cristiani e la pace, Mounier – poco prima della catastrofe della seconda guerra mondiale – riprendeva le condizioni poste della Chiesa per ritenere giusta una guerra. Condizioni che esprimono un realismo che potrebbe tornarci utile. Concorda?

Sì, nel suo complesso il testo di Mounier è attuale ed è stato confermato dall’evoluzione del Magistero che si è confrontato con due problemi ulteriori. Per un verso, vista la capacità distruttiva delle nuove armi di distruzione, dalla Gaudium et Spes fino a papa Francesco vi è stata una spinta a interpretare in modo più rigoroso, restrittivo quelle condizioni. Esse sono rimaste sostanzialmente le stesse, ma vi è una spinta, in nome della proporzionalità tra bene che si fa difendersi e male che comunque si arreca con queste azioni, ad essere più rigorosi, a valutare in modo più stringente le necessità della legittima difesa.

Per altro verso, però, il tema dell’ingerenza umanitaria, rilanciato negli anni ’90 con le vicende della Bosnia e del Kossovo, ha inserito un elemento ulteriore di legittimità anche dentro i confini dei singoli Stati. Questa complessità delle questioni porta inevitabilmente a valorizzare di più la responsabilità di chi opera in azione, dei laici cristiani impegnati in politica. C’è quindi una coerenza stretta tra i criteri che enuncia la Gaudium e Spes sulla legittima difesa e la responsabilità primaria dei laici cristiani in politica affermata dalla medesima Costituzione.

– Le critiche alla Via Crucis di quest’anno, nella quale una donna ucraina e una russa hanno pregato insieme mostrano come troppo spesso, e non solo nel nostro Paese, si tende a mettere sullo stesso piano la politica e il messaggio evangelico. Condivide?

Sì, ovviamente il messaggio evangelico fatto valere dal Papa ha anche una sua ‘politicità’, si muove su un piano distinto ma non separato perché afferma alcuni principi che sono i medesimi da affermare anche sul piano politico:  l’amore anche per i nemici, la volontà di non lasciare intentata nessuna possibilità di spiraglio di dialogo. Però alla fine il Papa fa il Papa, non gli possiamo chiedere di fare il cappellano dell’Unione europea o della Nato e i laici cristiani impegnati in politica si assumono in proprio il rischio delle scelte, non sono terminali passivi di istruzioni puntuali di un papa o di un vescovo, non sono guardie svizzere.

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