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Contro ogni narcisismo

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Introduzione alla lectio divina su Lc 9,18-24

XII domenica del tempo ordinario – 23 Giugno 2013 

 Un giorno Gesù si trovava da solo a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

 

James Ensor, L’entrata di Cristo a Bruxelles, 1889. Anversa, Musée des Beaux-Arts

 

Gesù ha appena accolto le folle, guarendo e spezzando il pane e la Parola.

Sente ora il bisogno di ritirarsi in preghiera. Da solo. I discepoli erano con lui, ma lui era da solo: è la singolare, ossimorica notazione di Luca, l’evangelista che più degli altri sottolinea la necessità della preghiera silenziosa e personale ogni qual volta Gesù sta vivendo un momento particolare. In questo caso, Gesù interrompe il contatto intimo col Padre per rivolgere ai discepoli due domande fondamentali: “chi sono io per la gente?”, ma soprattutto “chi sono io per voi?”.

La prima risposta chiarisce l’incomprensione desolante delle folle: hanno mangiato, si sono saziate di pane e di parole, hanno ricevuto guarigioni e accoglienza. Hanno gradito immensamente la cura di questo profeta, ma lo hanno scambiato, appunto, con un profeta del passato. Un Giovanni Battista redivivo (era già stato condannato a morte da Erode) o addirittura un Elia risorto, verrebbe da dire reincarnato nelle nuove fattezze di Gesù. Le folle seguono, applaudono, non comprendono, secondo un topos collaudato nei vangeli e non solo. Il pensiero corre facilmente a quanto sta accadendo oggi, al consenso affettuoso e caloroso che come folle tributiamo al nuovo Papa, investendolo dell’ansia di rinnovamento che pervade il popolo di Dio da anni: quanti tuttavia saranno disposti a prendere sul serio le parole forti che questo Papa sta facendo risuonare contro il potere, l’ipocrisia, lo scandalo della povertà?

Ma torniamo a Gesù. Nel brano parallelo di Matteo 16,3, a Pietro che gli rispondeva: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, il maestro replicava: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.

Qui Luca omette l’apprezzamento di Gesù, che bruscamente esorta i discepoli al silenzio. Non perché, a mio parere, Pietro sbagli “definizione”, altrimenti non si capirebbe perché in Matteo lo elogi per la stessa risposta. Quello che Luca vuole focalizzare è il futuro che attende Gesù, con il suo portato di solitudine e di rifiuto da parte di “quelli che contano davvero”.

Anziani, capi dei sacerdoti e scribi: l’intellighenzia al potere teme Gesù e lo rifiuta, perché Gesù mina alle basi proprio il potere con le sue logiche perverse e idolatre, in cui l’intellettuale o il politicante di turno si mette in mostra portando avanti se stesso e non lasciando spazio agli altri e a Dio.

Ecco allora l’invito di Gesù, rivolto significativamente “a tutti” e non solo ai discepoli, a rinnegare se stessi e a portare la propria croce. Non nel senso doloristico di offrire le proprie sofferenze a Gesù, come se il nostro fosse un Dio che abbisogna di sacrifici umani e non un Padre che ci è compagno nelle sofferenze della vita. L’invito, che oggi risuona attualissimo, è invece a non mettersi al centro, a non appagare le proprie vanità narcisistiche, a mettersi dietro a Gesù, come un discepolo bisognoso. L’invito forte è dunque a stanare «gli idoli nascosti nelle tante pieghe che abbiamo nella nostra personalità» (Papa Francesco, meditazione del 6 giugno 2013).

Anziani, capi e scribi, Gesù li mette tutti insieme, come antitesi alla logica della croce che il cristiano, dietro a Cristo, deve sposare. I potenti di turno, i riveriti, gli ascoltati non hanno bisogno di ascoltare nessuno, e sono intenti e concentrati a “salvare la propria vita”, a prendere sul serio la propria reputazione, il proprio nome, la loro piccola o grande notorietà, che coltivano, accarezzano, nutrono.

La parola di Gesù li scomoda troppo, perché li esorta a muoversi dal centro di sé e del loro mondo, per andare a quell’unico centro che è Gesù stesso, e che si trova, ahinoi, nelle “periferie dell’esistenza”, in quelle frontiere e terre di nessuno dove si finisce col sentirsi poveri e bisognosi e si ha bisogno della compagnia degli uomini. 

 

Valentina Chinnici

 

 

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