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Che senso possono avere oggi le Sacre Rappresentazioni?

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di Valeria Viola

 

La scorsa Domenica delle Palme, nel tardo pomeriggio, mi è capitato di “cercare una Messa”, dopo aver trovato per l’ennesima volta inspiegabilmente chiusa la chiesa in cui mi reco solitamente.

Dopo un po’ di giri in zona – nel Centro Storico certo le chiese non mancano, ma quelle che celebrano la Messa domenicale non sono molte – sono entrata con la mia famiglia nella chiesa di Santa Maria della Pietà alla Kalsa, il cui portone aperto faceva intendere una probabile celebrazione.

Al massimo della nostra sorpresa, varcando la soglia, ci siamo ritrovati improvvisamente catapultati indietro di secoli: Gesù Cristo procedeva davanti a noi, lungo la navata, sotto il peso della croce, tra le urla e gli scherni dei soldati romani, tra i tamburi battenti ed i pianti delle donne. Il cammino si concludeva di fronte ad un ampio drappo bianco che, cadendo subito dopo, svelava la scena della crocifissione di Gesù tra i due ladroni.

Incantati, abbiamo assistito a ciò che seguiva, fino alla deposizione del corpo di Gesù ed allo straziante compianto della Vergine su di esso. Una regia sapiente (S. Giuliano e G. Raccuglia) ha riproposto l’antico dramma con l’accompagnamento di musiche e luci coinvolgenti e con l’apprezzabile intervento del Coro Incontrovoce dell’Accademia Henry Farge. La rappresentazione era talmente emozionante che veniva voglia di correre lì a strappare dalle mani dei romani le lance e gridargli in faccia “ma cosa avete fatto?”

 

Le sacre rappresentazioni, per quanto possano essere intese oggi da molti come qualcosa di antiquato e fors’anche intellettualmente fuorviante (per il fatto che puntano più sul momento della morte di Nostro Signore che non sulla Sua resurrezione), conservano un fascino innegabile perché puntano al coinvolgimento emotivo delle persone. E raggiungere questo obbiettivo è dura, in un’epoca in cui tutto è già successo, i film sono in 3 o anche in 4 dimensioni, gli effetti speciali più innovativi sono utilizzati persino nei videogiochi per bambini.

Il mettere insieme varie espressioni artistiche (in questo caso, una recitazione drammatica, la musica corale e un’illuminazione d’effetto) allo scopo di coinvolgere emotivamente il fedele non è d’altra parte cosa nuova in città: sebbene le origini delle Sacre Rappresentazioni siano più antiche ancora, l’idea di una “arte totale” che punti a catturare il soggetto attraverso la sua risposta emotiva è sicuramente rintracciabile nell’arte siciliana dei secoli XVII e XVIII, l’età barocca.

Palermo ha sempre – e credo che sempre avrà – un’anima barocca che trasborda sotto la sobria immagine che l’Ottocento ha tentato di giustapporle. La questione verte sul sapere utilizzare questa sua caratteristica intrinseca nel migliore modo possibile.

Pur non volendo dare eccessiva importanza a queste espressioni di culto, mi sembra che le “Passioni” abbiano sicuramente un dato positivo da recuperare: insieme ad altri riti del periodo pasquale, come le processioni del Venerdì Santo o i Sepolcri del Giovedì, esprimono l’idea di una comunità cristiana che fa insieme esperienza di Dio, nonostante le possibili differenze culturali, sociali o politiche tra i partecipanti. L’obbiettivo di “fare comunità” con i credenti dell’intera Palermo (e non solo con chi la pensa come noi) mi sembra più alto di quello, pur apprezzabile, di molti palermitani che approfittano di questi eventi per visitare qualche chiesa solitamente chiusa al pubblico.

A questi ultimi va un’informazione dell’ultima ora: sembra che la chiesa di Santa Caterina resterà chiusa giovedì notte perché sotto sequestro per le cattive condizioni dei suoi cornicioni… chissà quando parteciperà di nuovo ai Sepolcri

 

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