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Vera e falsa religiosità – Introduzione alla Lectio Divina su Mc 12,38-44

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38Diceva loro mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, 39avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.40Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave».

41E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino.43Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.44Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Jan_Luyken's_Jesus_23._The_Widow's_Mite._Phillip_Medhurst_CollectionLa liturgia di questa domenica ci presenta le vicende di due vedove: la situazione in cui esse vivevano era particolarmente difficile, perché con la morte del marito esse non avevano più nessuno che assicurasse loro una tutela, spesso erano costrette a mendicare ed erano vittime di ogni prepotenza. Elia e Gesù volgono il loro sguardo proprio su queste figure, ignorate dai più ma non dal Signore, “difensore delle vedove” (Sal 68,6); anzi, esse vengono additate come modello di fede a cui conformarsi.
Gesù stigmatizza, con un vero e proprio insegnamento rivolto alla folla, il comportamento degli scribi e dei farisei; se la scorsa domenica c’era stato presentato uno scriba “vicino al Regno di Dio”, oggi invece ci viene mostrata la fisionomia dello scriba perverso. Gesù, infatti, critica aspramente una religiosità artificiosa e falsa, fatta solo di esteriorità ma vuota di contenuto. In particolare, egli colpisce cinque atteggiamenti esternamente tipici della religiosità ma interiormente pieni di ambizione e superbia: il passeggiare in lunghe vesti rituali (forse un ricco manto, il tallit, per la preghiera); l’omaggio dei passanti; il posto d’onore nella sinagoga, di fronte al sacrario contenente i Rotoli della Legge; i primi posti al banchetto, all’uscita della sinagoga, segno di rispetto per la loro reputazione; l’ostentazione della preghiera.
Ed ecco l’accusa violenta di Gesù: “Divorano le case delle vedove… riceveranno una condanna più grave”. Gesù accusa questi scribi di mettersi volutamente in mostra per attirare l’attenzione così da accrescere il proprio prestigio, arrivando a simulare anche una vita di preghiera ininterrotta. Sono preghiere inutili perché manca la conversione del cuore, ma, cosa ancor più grave, gli scribi utilizzano il loro prestigio di uomini pii per circuire le vedove, la categoria socialmente più indifesa, e per questo saranno giudicati severamente.
Gesù non si limita a condannare, ma ci mostra anche in positivo il ritratto del perfetto credente attraverso l’inaspettata attenzione ad una insignificante vedova.
Gesù si trova nel “cortile delle donne”, in cui erano collocate tredici cassette per raccogliere le offerte volontarie e le imposte per il Tempio; è seduto, nell’atto solenne del maestro che insegna, e osserva i gesti degli offerenti, soprattutto dei ricchi che ostentano le loro offerte dandole al sacerdote sovraintendente al tesoro. Questa era infatti, un’occasione per ottenere un pubblico riconoscimento proprio per il ringraziamento e le premure che poi il sacerdote tributava a coloro che davano cospicue donazioni. La vedova porta il suo modesto obolo “come offerta libera”, senza particolare destinazione, utilizzata per le spese degli olocausti.
La povera vedova getta due spiccioli, una cifra irrisoria che tradisce la povertà della donna ma che Gesù esalta perché segno di una donazione totale: “vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”; soprattutto, essa diviene il modello di religiosità di chi si affida totalmente a Dio, lei che fonda in Lui tutta la propria sicurezza e non nelle realtà materiali, certa che il Signore dà ai suoi amici il pane nel sonno (127,2).
“Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell’efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca. […] Spogliaci, Signore, d’ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce E di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te Tutto quello che abbiamo e che siamo”. (Don T. Bello)

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