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Un grido di salvezza – Mc 1, 1-8

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Introduzione alla lectio divina su Mc 1, 1-8

        07 dicembre 2014 – II domenica del tempo di Avvento (Anno B)

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. 2 Come sta scritto nel profeta Isaia: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via.  3 Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri4 vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5 Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6 Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7 E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8 Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”.

 

 

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San Giovanni Battista, El Greco, 1600 – 1605, olio su tela

Museo de Bellas Artes de Valencia

 

Un grido viene oggi a ridestarci dal sopore dei nostri giorni, dallo stordimento di auto in corsa in città, slanciate freneticamente dietro i tanti impegni quotidiani.

Questo grido arriva direttamente dal deserto, cioè da uno spazio esattamente opposto alla città e al suo disordine. Un grido partorito dal silenzio, l’unica dimensione che permette di ascoltare, di capire e discernere.

Con questo urlo comincia il ‘vangelo’ di Marco, ovvero quella buona notizia (in greco euanghélion) annunciata da Gesù Cristo, Figlio di Dio e che è anticipata dal grido di un uomo che predica nel deserto e che sta preparando la strada del Signore.

L’arrivo del Figlio di Dio non è annunciato come un colpo di scena. Non è un evento calato a sorpresa nella storia, bensì il compimento di una promessa del Signore che affonda le sue origini nel lungo dialogo intercorso nei secoli tra Dio e il popolo di Israele. Proprio per questo, la solenne apertura del vangelo marciano è affidata direttamente alle parole del profeta Isaia che, a sua volta, citava testi ancora più antichi (Malachia ed Esodo) in cui Dio annunciava al suo popolo la lieta notizia della prossima liberazione e dell’avvento del Messia Salvatore: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù» (Is 40,1-2).

Dunque, già in Isaia l’annuncio della liberazione viene gridato ad Israele. Gli ebrei saranno liberati dal giogo della schiavitù babilonese, potranno tornare nella terra santa con un nuovo e secondo esodo e restaurare Gerusalemme, prefigurazione del regno universale di Dio.

Ma se la schiavitù storica degli ebrei termina grazie all’arrivo dei Persiani, non si risolve allo stesso modo la ben più radicata schiavitù umana, soggiogata al peccato e alla morte. Il bisogno disperato di vita, il bisogno di cessazione di ogni forma di male che ci opprime nel corso dell’esistenza, viene gridato a Dio notte e giornoda ogni angolo della terra, fino a riecheggiare nella stessa preghiera che Gesù ci ha insegnato: «Padre nostro…liberaci dal male».

Tanto più forte, allora, sarà il grido che annuncia per noi la liberazione dalla morte e da tutte le sue tragiche manifestazioni.

Ecco perché si fa avanti la straordinaria figura di Giovanni il Battista. La sua missione è tutta racchiusa in quel grido dal deserto con cui ci chiama a «preparare la strada del Signore» e a «rendere dritti i suoi sentieri». Nelle Scritture il deserto indica spesso simbolicamente il luogo per il pentimento e per l’incontro con Dio. Non è perciò un caso che il deserto compaia come lo spazio d’azione dell’asceta Giovanni che qui, in un regime di vita austero e di assoluta povertà, vestito solo di peli di cammello e nutrito di locuste e miele selvatico, predica un battesimo di conversione, in greco metánoia, cioè un vero e proprio ‘cambiamento di mentalità’, di atteggiamento.

Il battesimo di Giovanni apparve fin da subito diverso rispetto ai riti di abluzione dei giudei, praticati individualmente da ciascuno in osservanza della legge mosaica. Innanzitutto veniva praticato una sola volta ed era lo stesso Giovanni ad amministralo –da qui il nome di ‘Battista’; in secondo luogo questo battesimo veniva messo in relazione con l’urgenza escatologica dell’arrivo del Messia che, secondo le attese del tempo, avrebbe giudicato i popoli ed instaurato il suo regno. 

Una liturgia penitenziale, insomma, che presupponeva un’autentica conversione del cuore e che appariva necessario atto preliminare all’incontro con il Signore, ben diverso dal battesimo in Spirito Santo che arriverà solo con Gesù e rispetto a cui Giovanni fa umilmente un passo indietro come davanti al «più forte» (v.7) e di cui non si dice neppure degno di «sciogliere i legacci dei sandali», attività propria dello schiavo verso il suo padrone.

Come tutti quegli abitanti di Gerusalemme e della Giudea che accorsero in massa all’annuncio di Giovanni, così anche oggi il grido del Battista giunge a noi, come una volta quello dei profeti agli Ebrei. Un grido di salvezza dalla morte e dalla schiavitù del peccato che ci viene donata in Cristo e che possiamo accogliere pienamente nella nostra vita solo se prima avremmo preparato bene la strada su cui Cristo può camminare verso di noi.

Ma come sono le nostre strade? Sono piane oppure irte di colli e montagne tali da impedire non solo il cammino ma anche lo sguardo verso il Signore?

La semplicità e la forza di Giovanni, primo testimone della salvezza, ci invitano oggi con forza a raddrizzare le storture quotidiane e a procedere con coraggio verso il deserto, verso il vuoto e il silenzio in cui sperimentare la preghiera e l’essenzialità di una vita che, molto spesso, ha estremo bisogno di conoscere le locuste e il miele selvatico per stare lucida e vigilante davanti al Signore.

Perché solo in questa direzione saremo certi di non assopirci e di tenere vivo nelle orecchie il grido della salvezza e a perseverare nell’attesa del Signore che viene.

Per non dimenticare mai che non abbiamo bisogno di molte cose, ma soltanto di una vita e di un amore ‘senza più morte’ e ‘senza più fine’:

Ecco la dimora di Dio con gli uomini!

Egli dimorerà tra di loro

Ed essi saranno suo popolo

Ed egli sarà il Dio con loro.

E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;

non ci sarà più la morte,

né lutto, né lamento, né affanno,

perché le cose di prima sono passate.

(Apocalisse 21, 3-4).

 

Isabella Tondo 

 

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