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Strage di migranti a Lampedusa, se davvero provassimo vergogna… Gli uomini di cartone e gli ornamenti del tempio di Dio

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di Mario Affronti *

 

Il nostro Mediterraneo continua ad accogliere grida di dolore e lacrime di morte dopo l’ultima tragedia che ci lascia sentimenti di grande sconforto ed una sola parola, quella di Papa Francesco: Vergogna. Siamo anche stanchi delle solite e vuote parole di circostanza perché quella che sembrava un’emergenza è diventata triste, tragica e macabra routine. Vogliamo soltanto esprimere sentimenti di vero cordoglio e di pietà nei confronti di questa umanità coraggiosa, speranzosa nel futuro, ma sfortunata ed emblematica delle contraddizioni del nostro tempo. Donne, bambini ed uomini che pagano in modo così violento le lacerazioni e l’egoismo di una umanità che non sa o non vuole sapere che “in tutto il mondo c’è abbastanza per i bisogni di tutti ma non abbastanza per l’avidità di tutti” (Gandhi) e che “superare la povertà e la mancanza di dignità e di libertà non è un gesto di carità ma un atto di giustizia…è la tutela di un diritto umano fondamentale” (N. Mandela).

Non deve essere dunque – non lo è – la bontà, ma una precisa scelta politica a guidare la nostra azione. La multiculturalità in Europa è come la neve in Alaska, c’è e non puoi farci niente.  Da noi le migrazioni sono strutturali e senza di esse i nostri sistemi crollerebbero. Oggi in Italia vivono quasi 5 milioni di cittadini nati all’estero, pari a circa l’8% della popolazione complessiva e producono quasi l’11% del PIL. Si può dire: mentre l’economia si globalizza, la politica si rinazionalizza. Anche il linguaggio rivela le concezioni sottostanti: si parla di “naturalizzazione” per indicare l’acquisizione della cittadinanza di un determinato Stato, come se l’appartenenza nazionale fosse un dato di natura.      

 

Siamo stanchi, delusi, colpiti da una società vile ed ipocrita che chiude le frontiere politiche mentre apre quelle economiche, costringendo al lavoro servile quanti riescono a farcela, che accumula immigrazione irregolare e clandestina – che poi diventerà regolare con le sanatorie – per carenza di canali d’ingresso regolari e di corridoi umanitari.

Dico questo perché i migranti, e anche gli irregolari (stimati in 500.000 unità nel 2011) sono molto di più degli sbarcati via mare (36.000 nel 2008, poche migliaia nel 2009 e nel 2010; circa 50.000 nel 2011 a seguito della primavera araba). Questi ultimi poi, diversamente dai migranti economici, scappano da guerre e persecuzioni e sono disposti anche a morire pur di vivere in libertà e dignità. Sono rifugiati e dovrebbero essere tutelati dalle nostre leggi ormai solo “di carta”. La grande maggioranza degli irregolari arriva regolarmente, soprattutto con normali visti turistici. L’immigrazione irregolare è l’effetto delle distanze tra l’economia (famiglie comprese) che richiede apertura e la politica che tende a chiudere. I migranti a loro volta si spostano perché aspirano a migliorare le proprie condizioni: conta più la speranza della disperazione. Poi, giacché è impossibile espellere centinaia di migliaia di persone, è controproducente privare del loro lavoro le società riceventi ed i sistemi economici, è politicamente dannoso criminalizzare le famiglie che ne accolgono molti, si impone la necessità delle sanatorie. Così è avvenuto in Italia: dopo mesi di campagna contro i cosiddetti clandestini, la politica ha preso atto che molti di essi erano in realtà lavoratori dei servizi di assistenza e accudimento in ambito familiare. Detto in altri termini: i clandestini che gran parte dell’opinione pubblica vorrebbe scacciare, sono per la maggior parte lavoratori e lavoratrici che gli stessi italiani hanno accolto, assunto, protetto e a volte sfruttato. Ad un certo momento, si afferma l’esigenza di sanarne la situazione. In Italia nel 2009, malgrado le retoriche di ogni tipo, per ogni immigrato irregolare espulso, quasi 20 hanno potuto sanare la propria posizione. Si è trattato della sesta sanatoria in 22 anni (promosse da governi di ogni colore, le ultime due da governi di centro-destra, oltre alle sanatorie mascherate da decreti flussi). I lavoratori immigrati sono passati quasi sempre attraverso una fase di soggiorno irregolare, e si sono ormai abituati a metterla in conto.

In Italia, diceva Andrea Riccardi quando era ministro dell’integrazione, “ci vuole una politica non emergenziale invitando a superare le politiche di contrasto all’immigrazione che hanno costi 4 volte superiori a quelli dedicati all’integrazione di 5 milioni di immigrati”.      

Un profugo somalo o eritreo, come i morti di ieri, non ha alcun ufficio, centro di smistamento, corridoio umanitario a cui rivolgersi. Se vuole salvarsi è costretto a provare con i barconi o con altre vie altrettanto avventurose e rischiose. La tragedia di ieri è il prodotto prevedibile di questa crudele convergenza di condizioni insopportabili da cui fuggire e di leggi spietate che ti costringono a fughe clandestine. Dal 1988 a oggi, secondo Fortress Europe, l’osservatorio sulle vittime dell’immigrazione, sono morte lungo le frontiere meridionali dell’Europa circa ventimila persone.      

Ieri un esponente importante della Lega ha dichiarato spudoratamente che “quando c’era Maroni” queste cose non succedevano e che la colpa della strage è del ministro Kyenge e della presidente Boldrini che danno segnali di apertura agli immigrati e li illudono”. Non è vero. Nel solo 2011, essendo ministro Maroni, sono morte nel Mediterraneo alle nostre frontiere almeno 2.352 persone (e ne sono sbarcate in Italia oltre 50 mila). Ma non si tratta solo di Maroni e dei suoi, che pure in materia danno il peggio di sé. E’ tutta o quasi tutta la classe politica italiana a essere pavida, opportunista, corriva sull’immigrazione e sui rifugiati. D’altra parte la società tutta si assopisce nell’indifferenza chiudendo gli occhi ed il cuore perché non vuole sapere. Non vuole sapere che non è affatto vero che i rifugiati ci stanno invadendo; che l’80% di essi è accolto nei paesi del c.d. Terzo  mondo. L’UE accoglie circa il 15% del totale; il primo paese al mondo per numeri di rifugiati accolti è il Pakistan. In Europa: 594.000 in Germania, 270.000 nel Regno Unito, 200.000 in Francia. In Italia 55.000. All’epoca delle guerre balcaniche ne abbiamo accolto 77.000 senza grandi traumi sociali, oggi spesso ci nascondiamo dietro l’ipocrisia del mancato intervento europeo, di cui comunque si sente la necessità se non altro per “trainare” l’Italia verso il riconoscimento reale dei diritti dei rifugiati, al di là dei vili e bugiardi proclami e delle parole vuote.      

Ci sono diverse modalità – ha dichiarato il direttore Consiglio italiano per i rifugiati, Christopher Hein,- con cui i richiedenti asilo e rifugiati potrebbero entrare in Europa in modo regolare, ma sono poco utilizzate dagli stati europei… L’Italia e l’Europa devono dotarsi di questi strumenti: è un passaggio indispensabile per cercare di dare alternative alla lotteria della morte del Mediterraneo.      

E’ tempo di cambiare il modello di governance. Proprio in funzione del contrasto tra crescente domanda di mobilità e crescente restrizione degli ingressi si è formata un’economia della frontiera e degli attraversamenti non autorizzati, che offre vari tipi di servizi a quanti desiderano passare dalla sponda “povera” alla sponda “ricca” della geografia di un mondo drammaticamente sperequato. Fabbricazione di documenti falsi, rischiosi passaggi marittimi e terrestri, matrimoni combinati, ma anche consulenza giuridica per il recupero della cittadinanza, per l’ottenimento di un qualche tipo di visto (in primo luogo turistico), o per l’individuazione di qualche spiraglio semi-legale per l’ingresso, sono alcune delle attività offerte ai richiedenti. La frontiera per alcuni è diventata una risorsa, non più per il vecchio contrabbando di merci, ma per il più moderno transito di esseri umani. Il viaggio, a sua volta, sta ridiventando per un numero crescente di migranti un’esperienza rischiosa, travagliata, che può durare mesi o addirittura anni, ricorrendo a mezzi di fortuna, ad espedienti di ogni sorta, ai servizi di passatori più o meno professionali, a soste prolungate in zone di transito per procurarsi le risorse necessarie per la tappa successiva. L’innalzamento della rigidità dei controlli ha poi un effetto facilmente prevedibile: provoca un accrescimento della sofisticazione e del livello di organizzazione criminale dell’industria dell’attraversamento delle frontiere. Il fatto più grave, in questa spirale, è l’asservimento in varie forme di prestazioni forzate di coloro che non possono pagare il servizio.      

In tempi di crisi l’opinione pubblica premia in tutta Europa i partiti nazionalisti e xenofobi: è successo negli ultimi appuntamenti elettorali in Olanda, in Gran Bretagna, in Norvegia e con la recente eccezione francese, continua ad accadere in Italia. Avanzare proposte di politiche alternative in tale contesto non è dunque popolare, ma è necessario. Il prezzo di un mancato cambiamento del modello di governance delle migrazioni porterebbe inevitabilmente ad una maggiore conflittualità tra cittadini “nazionali” e cittadini stranieri difficilmente governabile in prospettiva, soprattutto a livello locale.        

Diceva S. Benhabib, che “i pregi delle democrazie liberali non consistono nel potere di chiudere le proprie frontiere, bensì nella capacità di prestare ascolto alle richieste di coloro che per qualunque ragione, bussano alle porte”. I nostri politici ormai ineluttabilmente “illiberali” l’hanno voluto dimenticare!

Per noi cristiani, vale l’ammonimento di E. Olmi nel commento al suo film “Il Villaggio di Cartone”: “….se non siamo disponibili ad aprire il nostro animo a queste presenze siamo solo uomini di cartone, laddove gli immigrati sono invece veri ornamenti del tempio di Dio”.      

Vergogna e pietà. Sono le due parole più appropriate di fronte alla tragedia dei profughi morti vicino alla costa di Lampedusa. Ma, dietro le lacrime di coccodrillo, avranno poca rispondenza nei sentimenti e nella coscienza di troppa gente. Se venissero prese sul serio provocherebbero un vero e proprio collasso emotivo e un vero e proprio sommovimento civile, che pochi però vogliono, di fronte alla consapevolezza che tali tragedie – quella immane di ieri e quelle che da anni si ripetono nel Mediterraneo – non sono frutto del fato ma di feroci ingiustizie terrene, evitabilissime, e di infami leggi nazionali e internazionali, modificabilissime, se qualcuno volesse davvero evitarle e modificarle.

 

*L’autore è direttore dell’Ufficio Regionale per la Pastorale delle Migrazioni – Palermo

 

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