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Recensione a “La vera Europa” di Joseph Ratzinger

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Recensione a “La vera Europa” di J. Ratzinger, Editrice Cantagalli, Siena 2021.

Fin dal titolo, questo libro caleidoscopico sembra annunciare il tema sotterraneo che lo percorre:
l’antitesi mai manichea, grazie alla acribia dell’autore, tra una vera Europa, capace di riconoscersi nelle sue tradizioni gravide di futuro, e un Europa falsa, rattrappita in un uso semplicemente proceduralistico di una razionalità strumentale.

Questa seconda Europa che culmina nella politicizzazione della domanda religiosa, verificatasi a partire dalla fine degli anni sessanta del secolo passato, pur parlando di tolleranza e di libertà, sorge in realtà da un odio nei confronti della cultura europea per come si è storicamente palesata nel corso dei secoli.

Un percorso sinuoso che, facendo sue le critiche di Romano Guardini al concetto ingenuo di progresso, Ratzinger segue: dal primo, timido, affacciarsi dell’idea di Europa nelle remote plaghe del mito, originariamente circoscritta alle regioni dell’Attica e della Tessaglia, fino a una parziale dilatazione che, già in età erodotea ( IV secolo A.C.), comprendeva l’Ellade.

Un’origine ancestrale purificata,

sempre in ambito greco, dalla domanda Socratica, dalla filosofia platonica – con il suo problematico legame tra democrazia ed eunomia – e dalla razionalità aristotelica che, conosciuto il mondo, lo ordina.

Europa che prosegue nel diritto romano e poi, in quel Macedone che, apparso in sogno a San Paolo nel capitolo XVI degli Atti degli Apostoli, lo prega di aiutarlo. Quel Macedone simboleggia non solo l’Ellade, ma l’Europa tutta, protesa verso Cristo alla stregua di un guscio aperto, in una paradossale nostalgia presaga di futuro.

L’elemento cristiano, sorto in Palestina e diffusosi in Asia Minore, si amalgama con la filosofia greca

e la cultura prevalentemente giuridica di stampo latino, dando luogo non solo a uno spazio geopolitico, ma anche a un vero umanesimo che riconosce nel debole, nel povero, nel dimenticato, l’orma del solo dio che, facendosi Uomo, abbia assunto su di se queste condizioni.

É questo lo spazio dell’ umanesimo cristiano che edifica ospedali posti sotto la
speciale protezione dello Spirito Santo, oltre a cattedrali di pietra e del pensiero.

Un’Europa viva in età carolingia( VIII/ IX secolo D. C.) che l’autore non rievoca con nostalgia, come pure certa apologetica deteriore si limita a fare, ma di cui riconosce, oltre ai meriti anche i limiti: primo fra tutti una commistione tra ambito politico e sfera religiosa.

Progressivamente separatesi in Occidente, questi due ambiti rappresenteranno la caratteristica del nostro Continente in età moderna. Scomparso con il crollo dell’ impero Carolingio, il termine Europa, come il suo concetto, sopravvive unicamente nella lingua colta per riemergere secoli dopo in un contesto profondamente mutato dalla Rivoluzione Francese (1789 D.C.).

Questo naturalmente in Occidente, mentre a est le radici del nostro continente si arricchiscono del loro secondo polmone: quello slavo. Europa, si diceva, intesa come spazio unitario in progressiva, anche se non lineare espansione: una tesi di fondo che però non impedisce di scorgere profonde cesure nella sua storia.

Una prima rottura si colloca al declinare dell’impero romano in Occidente (476 D.C.) con cui, al netto delle ovvie e non trascurabili differenze, la nostra epoca condivide una certa stanchezza nei confronti del futuro, oltre che il tedio per una vita ridotta a mera materia.

La cesura riguarda, come accennato, un Europa occidentale latina e una orientale slava con Bisanzio prima e Mosca poi, che si percepiranno come legittime eredi della romanità.

I due Imperi differiscono dal punto di vista della struttura ecclesiastica, dell’alfabeto, della stessa liturgia, ma anche da quello dell’organizzazione politica, conservandosi in Oriente quella commistione tra temporale e spirituale tipica dell’età Carolingia. A Bisanzio, infatti, l’Imperatore è anche capo della Chiesa, mentre nella latinità con la dottrina di Papa Gelasio I(492 / 496 D.C.), che prevede la divisione delle due potestà, si accresce il primato pontificio.

Vero centro unificante del Continente resta il monachesimo, nelle sue varie espressioni, oltre alla comune eredità della Chiesa antica che, pur avendo perduto il latino come lingua universale, conserva, oltre l’Europa, le sue origini remote e la sua tensione escatologica. La seconda cesura dilania a Occidente il Vecchio Continente ed avviene con la Riforma protestante (1517 D.C.) che separa il mondo germanico da quello latino.

Il limes diventa culturale tra un mondo cattolico tendenzialmente unitario e il variegato mosaico delle comunità ecclesiali nate dalla Riforma, in cui sorgono le chiese di stato.

Con la scoperta dell’America (1492 D.C.) l’Europa esce da se stessa portando, almeno inizialmente, le sue divisioni nel Nuovo Mondo. Solo dopo la Rivoluzione Francese, terza svolta, lo stato è considerato in termini puramente secolari: Dio come tale non entra nella vita pubblica appartenendo all’ ambito del sentimento e non a quello della ragione.

Sorge così un nuovo tipo di scisma che nelle lingue latine è identificato nella frattura tra Cristiani e laici, significativamente assente in quelle di area germanica.

La storia che sommariamente abbiamo ripercorso funge da antefatto remoto della condizione attuale in cui lo iato non è tra le religioni che popolano il Vecchio continente, ma tra una ragione aperta al trascendente e una razionalità chiusa e refrattaria al riconoscimento del ruolo anche pubblico della religione.

Per questo a un Europa e a un Occidente che sembrano odiare se stessi, concependo la loro storia solo come sopraffazione di altri, Ratzinger invia un forte vibrante appello: quello a non privare, proprio in nome di una malintesa apertura , le altre culture di ciò che è peculiare della loro plurisecolare vicenda: l’originale, irripetibile connubio di ragione e fede, depurate entrambe dalle loro patologie.

La fede può certo ammalarsi divenendo fanatico integrismo, la ragione può degenerare a razionalismo chiuso che riduce la misura del reale all’ empiricamente sperimentabile,

ma se fede e ragione ritroveranno loro stesse allora l’Europa avrà un futuro non basato su una abrasione della memoria, ma sulla sua rinnovata valorizzazione.

By Mondarte (Own work) [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons
É questa la speranza che Benedetto XVI consegna alle pagine de “la vera Europa” come sottolinea Papa Francesco, prefatore del nostro volume, “colui che volle assumere il nome di Benedetto, anche per richiamare l’Europa alle sue radici; alla base dell’Europa, (…) della sua prosperità e, prima di tutto, della sua umanità c’è l’umanesimo dell’incarnazione” (p. 4).

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