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Squarci Letterari: Purgatorio, canto I

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DANTE ALIGHIERI – Purgatorio, canto I, 58-72

“Questi non vide mai l’ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era.

Sì com’io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i’ mi son messo.

Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa.

Com’io l’ho tratto, saria lungo a dirti;
de l’alto scende virtù che m’aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.

 Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.”

 

Il Purgatorio generalmente non riscuote tra i ragazzi la stessa simpatia dell’Inferno. Non è difficile capire perché. L’Inferno evoca l’umano nei suoi aspetti più passionali e sofferti, e tutto sommato ciascuno si riconosce in qualcosa, in un difetto, un vizio, un’imperfezione. I personaggi infernali hanno sempre qualcosa di familiare e permettono di indagare l’al di qua col pretesto dell’al di là.

Nel Purgatorio cambia il registro.  É il regno del non ancora, segnato dall’attesa e dalla speranza. Gli abitanti di questa cantica sono proiettati verso qualcosa di là da venire, ed il loro atteggiamento verso quel che è stata la vita terrena è un atteggiamento più distaccato, che magari rischia di non scaldare gli animi degli allievi come accadeva quando si percorrevano le vie infernali. L’idea della purificazione non è certo all’ordine del giorno delle esistenze dei ragazzi. Che vuol dire purificarsi? Quale appetibilità possono avere, all’età di sedici-diciassette anni, percorsi volti all’eliminazione delle impurità presenti nell’animo umano?

Eppure, a ben vedere, attirare l’attenzione dei ragazzi sulle fatiche della quotidianità può rivelare significati nascosti ed aprire a riflessioni inconsuete. La quotidianità, infatti, con le sue fatiche, i suoi fastidi, le sue preoccupazioni, sembra somigliare molto più al Purgatorio dantesco che non all’Inferno o al Paradiso, regni senza tempo, senza speranza, senza prospettiva che non sia rispettivamente il fine pena mai o, paradossalmente il fine beatitudine mai. Nel Purgatorio si lotta, si prega, si fatica, e a tutto questo vi è un senso. Non è insensato il faticare, nel Purgatorio. Ma qual è il senso, visto che, a differenza che nell’Inferno, qui soffrire ha un senso?

I versi qui proposti possono far luce. Chi parla è Virgilio, sulla spiaggia del monte su cui i due pellegrini dovranno salire per raggiungere il Paradiso terrestre. Il suo interlocutore è Catone di Utica, figura storica di repubblicano nella Roma del I secolo a.C., celebre per il suo gesto suicida di protesta contro la dittatura cesariana. Catone è un campione di libertà, e Dante autore ha voluto eccezionalmente collocare un pagano quale custode del Purgatorio. I santi pagani: Virgilio e Catone. La chiesa pagana di Dante si arricchisce di un nuovo personaggio. Oggi si parla di “cristiani anonimi” a proposito delle figure che, senza averne coscienza, si comportano da cristiani. Elemento, questo, di riflessione da non trascurare in classe, quando si parla di rapporto tra mondo religioso e mondo laico, soprattutto quando tra i due mondi sembrano ergersi steccati impropri.

Catone non capisce come sia possibile che i due siano venuti fuori dai territori infernali. Ciò non è previsto dalle leggi divine. E Dante addirittura è vivo! Il vecchio Catone è disorientato. Cosa sta succedendo? Sono cambiate le leggi del cielo? I ragazzi ricorderanno la risposta sdegnata che Virgilio aveva dato al “vecchio” Caronte: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. Di tutt’altro tenore la risposta data al “veglio” Catone, che pur nella sostanza richiama quell’altra risposta. Tutto quel che avviene è voluto dal cielo. E lo scopo è la libertà.

Il cielo ha predisposto per Dante, per la “follia” di Dante, un cammino di libertà, e la libertà passa attraverso la conoscenza del dolore umano: “non li era altra via che questa”. La libertà passa attraverso un viaggio interiore, alla ricerca dei propri mostri. L’Inferno è stato questo, e i ragazzi ormai lo hanno capito. Ma la liberazione da se stessi è impresa ancora più faticosa, e le forze umane non bastano. Virgilio è la forza di Dante, perché è l’allegoria della sua ragione. Ma la ragione necessita di “virtù che scende dall’alto”. Ai ragazzi è mai balenata l’idea che si può essere schiavi di se stessi? Cosa pensano i ragazzi della libertà? Chi è veramente libero?

La forza educativa di questi versi sta proprio, forse, nel loro riferimento alla libertà interiore come presupposto di una vita felice. Ma è ancora alla portata dei desideri dei nostri alunni la felicità? E che ruolo hanno tutte le dipendenze che siamo capaci di costruirci nel percorso verso la libertà? E poi, è davvero possibile pensare ad una libertà radicale? Il radicalismo di Catone non va trascurato. Egli rifiuta la vita anteponendole la libertà. La storia umana è disseminata di figure che, pur di poter professare liberamente il proprio credo – religioso, filosofico, politico – hanno scelto di non vivere. Emblemi di una vita con la schiena dritta, che non può e non deve lasciare indifferenti le generazioni che popolano le nostre aule.

 

 

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