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Per uno “scudo” degli onesti

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di Giuseppe Savagnone 

 

Si riparla di “scudo fiscale” e per gli italiani onesti non sembra una buona notizia. Basta chiedersi l’origine del nome, per capire il perché.

“Scudo” è una metafora per indicare uno strumento di protezione, di difesa. Per chi? La risposta è semplice, incontestata, esplicitata nei documenti ufficiali: per i ricchi evasori che, allo scopo di eludere le tasse sui loro capitali, li hanno mandati illegalmente all’estero. Lo scudo serve – o almeno finora è sempre servito – a queste persone sia per avere una drastica riduzione delle imposte che avrebbero dovuto versare (e che coloro che rispettano le leggi hanno versato), sia per sfuggire alle sanzioni che dovrebbero colpirle. Insomma, lo “scudo” è per i disonesti.  Per gli onesti, finora, non ne è stato inventato nessuno.

Nel 2008, alla vigilia dello “scudo” precedente, voluto dal governo Berlusconi, l’ammontare dei capitali illegalmente esportati all’estero era stimato oscillare tra i 124 e i 194 miliardi di euro (in pratica tra il 7,9% e il 12,4% del Pil). Soldi che sarebbero stati decisivi per evitare il tracollo della nostra economia, il dilagare dei licenziamenti, la rarefazione dei posti di lavoro per i giovani. Ma ai ricchi evasori queste cose non interessano se non in quanto incidono sui loro interessi. E poiché il loro denaro è al sicuro all’estero, non interessano affatto.

 

Ma – osserverà qualcuno – lo scudo è stato fatto appunto per fare rientrare questi capitali e rimetterli al servizio della comunità! Così era stato detto. Nella dichiarazione con cui giustificava la misura, il ministro Tremonti aveva solennemente affermato che essa era adottata «per tenere aperte le aziende, per non licenziare». E il presidente Berlusconi aveva rincarato la dose col suo ormai celebre  ottimismo: «Arriveranno miliardi per l’università e la sanità». Sappiamo tutti come sono andate realmente le cose: aziende chiuse, licenziamenti, tagli sempre più pesanti all’università e alla sanità.

Ma, se lo “scudo” ha fatto flop, non è stato per colpa del destino, o per un tragico imprevisto. Quello che Tremonti e Berlusconi sapevano bene e non hanno detto, è che il provvedimento permetteva ai ricchi evasori di regolarizzare la loro posizione, con la garanzia dell’anonimato, il perdono tombale e pagando una tassa ridicola del 5%  (in un Paese in cui la pressione fiscale sfiora il 50%!), senza neppure avere l’obbligo di far ritornare  effettivamente i loro soldi per investirli in Italia. Cosicché, per esempio, del 67 miliardi di euro depositati in banche svizzere e oggetto dello scudo, quasi 58 miliardi sono rimasti nelle banche elvetiche. “Scudo reale” per i disonesti, insomma, in cambio di un rientro solo virtuale.

Tra l’altro, il totale anonimato delle dichiarazioni di emersione ha distinto nettamente lo scudo fiscale italiano del 2009 dai provvedimenti concernenti il rientro dei capitali in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, paesi nei quali chi vuole regolarizzare i capitali esportati deve pagare in toto le imposte evase negli anni precedenti.

C’è da stupirsi che, vuoi per l’esiguità del reddito fiscale, vuoi per la mancanza di una reale volontà di costringere gli evasori a far rientrare i loro capitali,  il frutto finale dello scudo del 2009 sia stato solo uno schiaffo agli onesti, che avevano mantenuto il loro soldi in Italia, senza alcun reale beneficio per la nostra economia?

Il tutto, si badi bene, senza che l’opinione pubblica si sia ribellata. In un Paese dove a Berlusconi è stato possibile quasi vincere le ultime elezioni promettendo il rimborso dell’Imu, nessuno sembra rendersi conto che in Italia l’alto livello delle aliquote fiscali dipende dal fatto che – anche con l’aiuto degli “scudi” dello stesso Berlusconi, che ne ha varati quando è stato al governo  ben tre   – da anni moltissima gente non le paga.

Anche la Chiesa italiana si è guardata bene, in occasione dell’ultimo, quello del 2009,  dal denunziare il palese imbroglio di questo perdono senza pentimento e senza riparazione. In quel momento si consideravano ancora  unici valori non negoziabili la vita biologica, la famiglia fondata sul matrimonio etero e la libertà di educazione. La giustizia non rientrava nell’elenco.

Certo, oggi a governare il nostro Paese non è più Berlusconi. E le prime indiscrezioni sul nuovo provvedimento per far rientrare i capitali sembrano indicare finalmente una volontà seria di far prevalere le esigenze del Paese su quelle degli evasori. Ma l’opinione pubblica deve essere più attenta ad informarsi di quello che si fa nelle sale del palazzo. Così come c’è da sperare che la Chiesa sia più vigile sul rispetto, da parte della classe politica, di tutto l’arco dei princìpi di un’etica pubblica consona al bene comune. Magari dando il suo contributo – nei limiti delle sue competenze spirituali – con una bella dichiarazione di condanna nei confronti di chi sottrae i suoi soldi all’uso di tutti, visto che la proprietà privata è in funzione del benessere di tutti, come insegna (anche se nessuno lo sa) la dottrina sociale cristiana. Tanto perché anche gli onesti, finalmente, abbiano il loro “scudo”.

 

Ps: A chi dubitasse della correttezza dei dati forniti in questo intervento, non posso far altro che indicare, tra  le mie fonti, due articoli, rispettivamente di Sergio Rizzo su «Il Corriere della Sera» dello scorso 28 ottobre e di Valentina Maglione su «Il Sole 24ore», dello stesso 28 ottobre. Chi poi ritenesse anche queste due testate pericolosamente vicine al comunismo rivoluzionario, mi farà una cortesia indicandomene di più “oggettive”.

 

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