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“Ogni etica è un’etica del quotidiano”. Intervista a Gaia De Vecchi

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Ripensare i nostri orientamenti

La crisi da Covid-19 ha sbaragliato le presunte certezze economiche e sociali di buona parte del mondo occidentale. Secondo molti analisti e osservatori, il coronavirus può rappresentare l’occasione per ripensare il nostro modello di sviluppo e di organizzazione delle comunità umane. In tale riflessione, è chiamata ad intervenire la teologia morale la quale, a partire dal suo radicamento nel Vangelo, può offrire vie nuove per abitare il tempo presente.

Di tale questione discutiamo con Gaia De Vecchi. Docente di Teologia morale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e all’Istituto Superiore di Scienze religiose di Milano. La De Vecchi fa parte del Consiglio di Presidenza (Delegato Sezione Nord) della Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale e della redazione di Moralia.


– Il recente manifesto sull’etica al tempo del Covid-19 dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale invita a “indugiare sul vissuto” per avanzare un pensiero teologico significativo e capace di avviare percorsi volti alla giustizia. Le drammatiche vicende dovute alla pandemia incidono profondamente nel vissuto delle nostre comunità. Dinanzi a tale contesto, quale contributo può offrire l’etica fondata sul Vangelo?

Posso ribaltare la domanda? Ovvero: quale contributo può dare il Vangelo per un’elaborazione etica? Sono fermamente convinta che il Vangelo ci offra tre chiavi ermeneutico-morali per ogni tempo, per ogni persona. Quanto mai attuali in questo momento.

Il Vangelo ci parla di un Dio che si è incarnato, che ha assunto su di sé / in sé l’umanità in senso pieno, storico, reale. Un Dio Emmanuele, ovvero un Dio con noi. Dal punto di vista morale ciò significa che non c’è situazione umana in cui non possiamo riconoscere tracce di Dio o in cui Dio sia lontano. Non c’è piega dell’umanità che non sia riconosciuta, amata, salvata da Dio. Non c’è momento storico che non abbia dignità umana e, di conseguenza, ci richieda un impegno.

Il Vangelo ci parla di un uomo risorto. Attenzione: non rinato! Gesù è risorto. Sono due concetti ben differenti! Rinascere sarebbe come a dire: ricominciamo da una pagina bianca, senza memoria, senza assumere seriamente la storia precedente (e significa anche rinnegare il concetto di Incarnazione appena esposto). La risurrezione, nel Vangelo, invece, non elimina il dolore, l’ingiustizia, il peccato, le piaghe della croce, le relazioni, l’intimità e la storia con i discepoli… Li pone, tuttavia, in un’altra prospettiva, in un’altra luce, in un’ottica di conversione e di interiorizzazione. Dal punto di vista morale questa distinzione è essenziale. Non si tratta né di considerare “neutro” questo tempo, quasi una parentesi; non si tratta nemmeno di cedere alla retorica dell’“andrà tutto bene” o dell’illusione del “ne usciremo migliori”. Si tratta, invece, di interpretare questo tempo con le sue pieghe storiche, in una luce differente.

E la luce differente, ancora una volta, ci è indicata nel Nuovo Testamento: è la luce dell’ Ascensione, della pienezza di vita in Dio. Dal punto di vista morale questo ultimo passaggio è essenziale, perché apre alla profonda e radicale prospettiva di senso del nostro agire.

Detto ciò, noi dell’ATISM siamo, allo stesso tempo, assolutamente convinti del fatto che, “prima” del Vangelo, Dio si sia rivelato nella Creazione, creando gli uomini a sua immagine e somiglianza, ovvero liberi e capaci di discernere e vivere il bene (o il male). Questo ci indirizza verso una ricerca che, se da un lato non dimentica (e non vuole/non può dimenticare!) lo specifico del Vangelo, dall’altro ci sprona a un continuo, instancabile dialogo. Tra di noi, con gli altri, nella storia.

– Oltre alle vulnerabilità dei sistemi sanitari, economici e politici, la pandemia ha dato la possibilità di conoscere o riscoprire molte fragilità individuali. Una sorta di etica del quotidiano può delineare meglio la cifra della condizione umana dalla quale ripartire per generare comunità meno diseguali. Concorda?

Interrogare me sull’etica del quotidiano è rischioso! Potrei parlarne per ore… Non a caso, l’ultima mia serie di interventi su Moralia partiva proprio da “stanze”, “ambienti” della casa. Però vorrei fare una precisazione. Ogni “atto morale” avviene in un quotidiano, in una storia. In qualche modo: ogni etica è un’etica del quotidiano. Ma ci sono dei “quotidiani ordinari” e dei “quotidiani straordinari”, per così dire. Nella vita di ciascuno, inteso come persona o come comunità (più o meno allargata).

Allora: se parliamo di una “etica del quotidiano ordinario”, ovvero: di un’etica delle piccole cose, di un’etica delle pieghe del vivere, del ripetuto…. ci intendiamo. Perché è nel quotidiano ordinario che noi – più o meno consapevolmente – introiettiamo valori e disvalori, mentalità, alimentiamo abitudini (positive o negative, quindi: virtù o vizi), costruiamo quella che, tecnicamente, si chiama “opzione fondamentale”, viviamo realmente la nostra moralità… è nel quotidiano ordinario che noi ci prepariamo al quotidiano straordinario.

Concordo quindi su una rinnovata “etica del quotidiano ordinario”. Perché l’“etica del quotidiano ordinario” ci obbliga a ragionare sul modo in cui risolviamo le scelte, le gerarchie, le urgenze. In cui impegniamo la responsabilità e la libertà. Concretamente. In situazioni assolutamente uniche, in qualche modo, irripetibili, eppure comuni (ovvero: in qualche modo banali e in qualche modo condivise, seppur nelle differenze). Ci costringe a considerare la nostra umanità, anche nelle sue fragilità (proprio quelle che questo tempo ha fatto emergere), ma anche nei suoi punti di forza (che, ugualmente, antiteticamente, questo tempo ha fatto emergere).

E perché l’“etica del quotidiano ordinario” ci costringe, quasi mettendoci all’angolo, ad andare contro determinati modelli culturali (individualismo/collettivismo): siamo persone, quindi contemporaneamente, inscindibilmente, individui (con caratteristiche personali) sociali (indissolubilmente legati agli altri). Non dobbiamo perdere la tensione tra i due poli.

Quindi, in sintesi: sì, concordo. Una rinnovata etica del quotidiano (ordinario) può aiutare per ripartire verso comunità (e persone / “categorie” di persone) meno diseguali.

– Nei giorni dello sviluppo esponenziale del virus, al fine di tutelare la salute pubblica e di evitare una maggiore diffusione del Covid-19, i governi hanno attuato il lockdown. Alla lunga, questo stato di chiusura e di immobilità ha aperto un dibattito, anche in merito alla libertà religiosa, sull’esercizio dei diritti individuali. A suo parere, la pandemia è un tempo propizio per ripensare la relazione imprescindibile fra diritti e bene comune? Perché?

Questo è un tempo propizio per ripensare a tante questioni. A molte relazioni, ad esempio. Lei cita “diritti e bene comune”. Potrei rilanciare con un altro grande tema: “privacy e sicurezza” (non solo in senso sanitario). Ma è anche tempo propizio per ripensare proprio alle “categorie”, ai “concetti”, ai “paradigmi” portanti su cui non è necessaria concordanza di pensiero o visione (anzi! ben venga la diversità feconda!), ma almeno di comprensioni di linguaggio. Lei cita il “bene comune”. Cosa scatta nella testa del mio interlocutore quando parlo di “bene comune”? Cosa è (per lui, per me, per noi…) il bene comune? Solo qualcosa di quantificabile, di materiale? O include anche qualcosa di immateriale, di spirituale (e dico: spirituale, non necessariamente religioso).

Su questo l’ATISM sta lavorando, alacremente, da mesi, in fitto confronto. Nelle prossime settimane verranno proposti dei Webinar e una pubblicazione (un e-book, per la precisione, edito da Vita e Pensiero) costituita da contributi di molti di noi. Ci sentiamo tutti chiamati in causa e tutti riconosciamo questo tempo anche come tempo propizio. Al di là delle / grazie alle differenze che ci arricchiscono. Lo stesso Manifesto è frutto di un ripensamento, di un confronto, di un dibattito, di un dialogo. Che a sua volta: riapre, rilancia, sfida.

– Con l’enciclica Laudato sì’, Papa Francesco ci ha invitato a cambiare i nostri stili di vita al fine di tutelare l’ambiente e, dunque, il presente e il futuro dell’umanità. Per far questo necessita un poderoso investimento in formazione e in educazione. Al di là dell’emergenza Covid-19, di cosa ha bisogno il nostro sistema d’istruzione per formare alla cittadinanza responsabile?

Istintivamente, acriticamente, le risponderei: “di un miracolo!”. Sono tante le stanchezze (e disillusioni e, mi permetta, anche umiliazioni…) che noi insegnanti abbiamo sulle spalle. Esasperate da questo periodo.

Ma realisticamente, onestamente, profondamente, ad ampio raggio… le rispondo che: si è già dato lei, da solo, la risposta. La parola chiave è “investimento”. Abbiamo bisogno di un investimento di conversione: come detto, seppur in nuce, prima, “bene comune” non è soltanto ciò che produce economicamente. L’educazione, la cultura, la scuola non producono (più) economicamente. Ma generano. Vogliamo produrre o generare? Abbiamo bisogno di un investimento economico: perché determinate logiche (o contro-logiche) hanno bisogno anche di respiro materiale e progettualità. Abbiamo bisogno di un investimento che sia, nel contempo, singolo e comunitario. E quindi necessitiamo un investimento antropologico. E abbiamo bisogno di un investimento sul tempo, di tempo.

– Per discernere le linee dell’odierna complessità sociale, politica ed economica fatta di migrazioni, guerre, pandemie e crisi climatica, l’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale avanza l’idea dell’etica dell’imprevisto. Di che si tratta?

L’etica dell’imprevisto è, in parole povere, l’altra faccia di quello che io chiamavo etica del quotidiano ordinario, ovvero l’etica del quotidiano straordinario. Una non può stare senza l’altro. La vita è imprevedibile (e gli ultimi mesi lo hanno dimostrato). Sempre.

Soltanto in una logica che sappia educare, preparare, confrontarsi con argomentazioni, logiche, ragionamenti… saremo capaci di affrontare l’imprevisto, umanamente. Sia quello personale che quello comunitario. Se no: si rischia di ricadere in una casistica sterile, inutile, disumana. Astorica.

Abbiamo aperto questa nostra conversazione con una domanda sul Vangelo. Vorrei chiudere ancora con il Vangelo. E una domanda. Quasi a rilanciare questa intervista. L’etica dell’imprevisto è la logica della parabola matteana (25,1-13): siamo pronti ad affrontare la notte, per vivere la festa, con o senza olio per le nostre lampade?

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