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Luigi Rosadoni

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Don Luigi Rosadoni, un profeta dimenticato

di Bruno D’Avanzo

Quaranta anni fa, il 9 luglio 1972, moriva don Luigi Rosadoni, uno dei protagonisti della fertile stagione del cattolicesimo fiorentino dal secondo dopoguerra al post Concilio, insieme a Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, Bruno Borghi ed Enzo Mazzi. Viene ricordato il 6 novembre, nella parrocchia S. Maria a Ricorboli di Firenze, da Serena Noceti, Alberto Simoni e Bruno D’Avanzo.

Quarant’anni sono molti, eppure questo lungo periodo che ci separa dalla morte di Luigi Rosadoni sembra quasi non essere trascorso per tutti coloro che l’hanno conosciuto. Rosadoni è vivo nel cuore di quei cattolici fiorentini che negli anni ‘60 si staccarono dal collateralismo Chiesa-DC e scoprirono, aiutati da lui, che il cristiano autentico rifiuta una Chiesa alleata del potere. Ma il ricordo è altrettanto forte in tutti quelli, comunisti compresi, che allora se lo trovarono accanto, lui, fine intellettuale e acuto biblista, a spalare fango e a soccorrere gli alluvionati del 1966 e a lavorare assieme a loro alla costruzione di quei primi comitati popolari dove saltava ogni vecchia contrapposizione ideologica e nasceva, dal basso, un nuovo modo di fare politica.

 

Rispetto a quel tempo, però, il mondo è radicalmente cambiato e Rosadoni, che testimoniava valori di altruismo, generosità, solidarietà e coerenza evangelica, così lontani dai modelli culturali e religiosi oggi dominanti tanto nella società quanto nella Chiesa, rischia di essere risucchiato nel vortice dell’indifferenza e della dimenticanza. Per questo ricordarlo ci sembra non solo un dovere in nome della sua testimonianza, ma una necessità per tutti coloro che caparbiamente vogliono progettare un mondo diverso da quello attuale, un mondo che sappia riscoprire il senso di una vita spesa per le grandi cause, quelle giuste.

Nato nel 1928 a Siena, Luigi Rosadoni maturò la sua vocazione al sacerdozio dopo un lungo travaglio interiore. Frequentò l’Università Gregoriana di Roma, divenne prete nel 1954 e nel 1962 fu nominato parroco alla Nave a Rovezzano, nella periferia sud di Firenze. Insegnava religione al liceo Michelangelo, e attorno a lui si costituì un gruppo di studenti, attratti dal suo carisma personale e dalla sua testimonianza di fede, lontana da una piatta trasmissione di dogmi e divieti. Il progressivo inserimento di questo gruppo nella parrocchia della Nave portò alla formazione di una vera e propria comunità: la comunità della Resurrezione.

Tra la fine degli anni ‘50 e i primi anni ‘60, Rosadoni visse con profonda passione la stagione che preparò il rinnovamento conciliare, insieme ad altri preti, da Lorenzo Milani a Bruno Borghi, da Enzo Mazzi ad Ernesto Balducci. Nella seconda metà degli anni ‘60 diede un grande contributo alla ricerca teologica: appassionato lettore dei maestri del cristianesimo innovatore e progressista che era emerso in Francia, Germania e Olanda, pensava che anche in Italia il rinnovamento della Chiesa non dovesse rimanere confinato nell’ambito di una semplice contestazione politica, ma dovesse maturare attraverso una robusta riflessione sulla Parola. Per questo sentiva necessaria la rifondazione della teologia, una teologia che finalmente facesse i conti con la storia, con le persone reali, con le loro sofferenze, le loro gioie, le loro colpe; che facesse i conti col “ladrone”, che non scomunicasse, che non si chiudesse in una verità fatta di dogmi, di freddezze, di alienazioni, ma che fosse al contrario conoscenza di quel Cristo che si è fatto uomo e che anche oggi, come duemila anni fa, vive, soffre ed è inchiodato sulla croce dell’ingiustizia, della violenza, della rassegnazione colpevole.

I cardini dei documenti del Concilio (Chiesa dei poveri e Chiesa Popolo di Dio) rappresentavano per tutti i cattolici innovatori la strada maestra per un cambiamento irreversibile: sembrava che la Chiesa tutta stesse tornando a vivere i valori del Vangelo. Ben presto, però, queste speranze si rivelarono utopie. La morte di papa Giovanni facilitò il ritorno al conservatorismo e al dogmatismo di sempre e già all’indomani del Concilio i tentativi gerarchici di imbrigliare la portata innovativa di quell’evento straordinario non si fecero attendere. Così tutti coloro che avevano sognato un nuovo inizio del cammino del Popolo di Dio verso il Regno vissero con amarezza questo ripiegamento dell’istituzione sulle posizioni di un tempo.

Si sviluppò all’interno della Chiesa italiana, e fiorentina in particolare, una forte contestazione: veniva condannata la collusione della Chiesa col potere, il collateralismo Chiesa-Dc, la mancata scelta preferenziale a favore dei poveri e il conservatorismo nel campo delle scelte etiche e della morale sessuale. Al tempo stesso veniva messa sotto accusa un’immagine gerarchica di Chiesa e il suo dogmatismo che soffocava la forza dello Spirito, così come la visione tradizionale secondo la quale fuori dalla Chiesa non c’è salvezza. Di qui la nascita del movimento delle Comunità cristiane di base delle quali Rosadoni fu un infaticabile animatore, ma anche la coscienza critica, non perdendo occasione di denunciare quelle forme di contestazione troppo contingenti e non fondate su una profonda riflessione di fede.

Oggi l’involuzione della Chiesa che Rosadoni denunciava si è pesantemente accentuata. Un illuso, dunque? Alcune sue scelte possono oggi essere percepite come inopportune, e tuttavia gli siamo tutti debitori perché ha aiutato i cristiani a sentirsi responsabili, adulti, capaci di ascoltare i propri pastori senza alcun atteggiamento subalterno, consapevoli che tutti noi siamo Chiesa, perché la Chiesa è il popolo di Dio in cammino.

* Direttore del circolo Vie Nuove (Firenze)

 

da Adista

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