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L’inevitabilità della sofferenza – Lectio Divina su Mt 16, 21-27

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Il passo del Vangelo: Mt 16, 21-27

21Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

La liturgia di questa domenica ci provoca ad esaminare l’immagine che ciascuno di noi ha di Dio: ci viene chiesto di abbandonare l’immagine rassicurante di un Dio potente, che trionfa con miracoli e prodigi, per abbracciare la realtà di un Dio che si dona totalmente per amore fino alla morte e alla morte di croce.

La fatica di Geremia

La prima lettura ci presenta la cosiddetta quinta “confessione” del profeta Geremia. Geremia svolge la sua attività profetica in un momento cruciale della storia d’Israele, alla vigilia della distruzione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi (597 a.C.) e della deportazione di quasi tutti gli ebrei. Sperimenta la sofferenza di una dolorosa solitudine nella sua chiamata ad annunciare al popolo una parola scomoda, aspra: egli è l’unico a scorgere nitidamente l’abisso di distruzione che si profila all’orizzonte e che i giudei non voglio vedere.

Geremia rievoca il momento della sua vocazione perché non sono soltanto i potenti ed il popolo a tramare contro di lui, ma anche Dio. Rasentando la bestemmia, il profeta accusa Dio di avere usato violenza nei sui confronti, di essersi imposto con la forza, come un uomo che inganna una donna attraendola, per poi impadronirsi di lei e possederla. Dio ha approfittato della sua ingenuità giovanile, così egli ha ceduto, divenendo profeta e abbracciando una vita tormentata e segnata dalla sofferenza, che gli ha portato solo “obbrobrio e scherno” (v.8). Il profeta è stanco di dover annunciare “terrore dappertutto”, “violenza! Oppressione!” e vorrebbe rinunciare: “non penserò,… non parlerò più” (v.9).

Lo sfogo amaro di Geremia nasconde in realtà una dichiarazione d’amore, un amore intenso e appassionato, che non riesce a dimenticare Colui che ama: «Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (vv. 7 b-8). Il profeta loda Dio perché non abbandona “la vita del povero nelle mani dei malfattori”, per concludere poi tragicamente con uno sfogo amaro: maledice la sua nascita, ma resiste; vuole liberarsi di Dio, ma rimane al suo posto; è sconfitto e dileggiato, ma, dopo la caduta di Gerusalemme, quando tutto sembra ormai perduto, compra un campo come segno di speranza per il suo popolo.

Una scandalosa missione

Come Geremia anche Pietro, protagonista della pericope evangelica, cerca di opporsi alla missione scandalosa annunciata dal Maestro che egli non può accettare. Il testo di Matteo ci introduce, infatti, nel destino di sofferenza del Figlio dell’uomo che si incammina verso Gerusalemme per essere crocifisso. Gesù comincia a rivelare ai suoi discepoli la necessità di compiere il piano di salvezza di Dio attraverso il cammino della croce, in un destino di sofferenza che accomuna tutti coloro che lo seguono. Davanti a questa realtà Pietro reagisce con forza: non è possibile che Dio venga sconfitto, ma occorre invece che il piano di Dio si imponga con forza e potenza.

“Vai dietro a me, Satana”. Gesù si rivolge al discepolo, lo stesso che ha riconosciuto in Gesù il Messia e il Figlio del Dio vivente, appellandolo col nome “Satana”, l’avversario che si pone come un inciampo sulla via tracciata dal Padre.

Pietro è chiamato a riconoscere che non è lui a potere insegnare a Dio come essere Dio: dovrà imparare che l’amore non passa per le vie del successo e dell’autorealizzazione, ma per il dono di sé, anche quando implica sofferenza.

Gesù presenta poi alcuni detti rivolti a tutti i discepoli: nel primo – in cui è possibile scorgere la chiesa matteana perseguitata dal giudaismo – Cristo invita ad accettare la propria croce; nel secondo si fa riferimento alla dinamica del perdere-trovare, salvare-perdere, cioè nel vivere per se stessi o per il Regno. Solo la logica del Regno, la logica dell’amore e del dono disinteressato di sé conduce l’uomo alla pienezza.

 

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