Lettera alle sorelle e ai fratelli di Comunione e Liberazione

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Saluto

Cari sorelle e fratelli, se mi permetto di scrivevi, a proposito del Meeting di Rimini, è perché una lettera non è un discorso “su” qualcosa – come potrebbe essere un articolo – , ma “con” qualcuno, non un giudizio, ma un appello rispettoso.

Preciso subito che non rivesto, né a livello politico né a livello ecclesiale, alcun ruolo ufficiale e che in quanto dico rappresento solo me stesso. Ma poiché per il battesimo condivido con voi la dignità di re, sacerdote e profeta, penso di avere il diritto e il dovere di esprimere la mia opinione su un evento che coinvolge sia la società che la Chiesa di cui tanto voi che io facciamo parte.

A condizione –  ne sono ben consapevole –  di non scadere in quella sterile e acre polemica che in passato ha diviso e  ancora, a volte, divide sorelle fratelli nella fede.

Aggiungo di non essere cresciuto  né nell’Azione cattolica né in Comunione e Liberazione, ma in un piccolo gruppo ecclesiale della mia diocesi, Palermo, a cui devo la mia formazione di laico cristiano. Anche se conto molti amici sinceri, con cui mantengo rapporti di profonda stima, sia in AC che in CL.

Alcune osservazioni generali

Un dialogo o un monologo?

Il motivo di questa lettera è il profondo disagio che ho provato leggendo sui giornali che l’edizione di quest’anno del Meeting – una grande esperienza di popolo importante e significativa (forse l’unica,  almeno in Italia, in cui il mondo cattolico riesce a esprimersi a livello pubblico) – è stata dalla grande maggioranza degli osservatori considerato un chiaro endorsement dei cattolici ai partiti di destra oggi al governo.

In tempi in cui si parla molto del possibile ritorno dei cattolici alla politica, questa presa d’atto da parte dei media acquista un significato che inevitabilmente va al di là di Comunione e Liberazione e chiama in causa il mondo cattolico in quanto tale. Da qui la rilevanza del problema anche per un semplice fedele come me e la  mia esigenza di verificare quanto effettivamente è accaduto.

 Dico subito che il mio non è tanto un discorso sul Meeting, ma su ciò che l’opinione pubblica ed io per primo ne abbiamo colto, attraverso  le semplificazioni dei mezzi di comunicazione.

Mi rendo conto dell’impossibilità – per me, come per chiunque non abbia partecipato personalmente, all’evento – di capire la ricchezza e la complessità di ciò che  esso ha rappresentato. Qui, al di là della varietà di iniziative e di esperienze che hanno giustamente entusiasmato coloro che hanno vissuto queste giornate, è del volto pubblico di questa edizione del Meeting che intendo parlare.

E, a questo livello, l’impressione di una scelta di campo ha un suo innegabile fondamento. A parte la prolusione di Draghi, tutte le relazioni sono state affidate a 13 ministri del governo di destra in carica, oltre che alla premier Giorgia Meloni. Nemmeno una voce dissidente. Era inevitabile, a questo punto, che il messaggio trasmesso ai partecipanti fosse univoco. Il contrario, a dire il vero, di quello che implicherebbe il nome “Meeting”, incontro tra diversi.

La mia meraviglia è aumentata quando ho sentito un’intervista del presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Davide Prosperi, che dichiarava di aver voluto garantire la maggior varietà possibile di voci.

Può darsi che ci sia stata, ma posso assicurare che dall’esterno si è sentita solo quella  dei ministri che vantavano, senza contraddittorio, i loro successi. Ripeto che con questo non intendo assolutamente minimizzare la bella testimonianza di creatività, di impegno e di sacrificio data dagli organizzatori e dai partecipanti anche quest’anno. Ma l’impressione di un monologo, invece che di un dialogo, rimane.

Mattoni nuovi?

Viviamo in un momento in cui la società occidentale, e quella italiana in particolare, assomiglia veramente a un deserto, come il  felicissimo titolo del Meeting evidenziava.

I «luoghi deserti», ha osservato Giorgia Meloni nella sua relazione, sono «una potente metafora della nostra epoca, un’epoca nella quale si vorrebbe omologare tutto, trasformare ognuno di noi in un consumatore perfetto, un vuoto a rendere che può essere riempito da qualsiasi cosa si voglia.

Individui senza identità, senza memoria, senza appartenenza nazionale, familiare o religiosa. Individui in cui desideri cambiano in continuazione e che quindi non amano più nulla. Individui in sostanza nella cui esistenza non c’è più nulla, per cui valga la pena impegnarsi, costruire o combattere».

In Italia questa cultura si è affermata con la crisi della Prima Repubblica e nel corso della Seconda, di cui l’attuale classe politica, maggioranza e opposizione, è l’ultima espressione.

Basti pensare alla crisi ideologica della Sinistra che, orfana del marxismo, ha finito per abbracciare la visione individualista radicale, che è ancora la sua bandiera. Ma non si possono neppure chiudere gli occhi sul ruolo che ha avuto nello stravolgimento dei valori – a livello sia privato che pubblico –  l’avvento delle televisioni commerciali e l’immagine privata e pubblica di Silvio Berlusconi, che i nostri partiti di governo considerano una figura di riferimento.

Chiamare al Meeting esponenti di questa Seconda Repubblica, come Salvini o Tajani (e lo stesso varrebbe per la Schlein o Conte) significa davvero costruire con “mattoni nuovi”? O – al di là dei singoli personaggi, al di là anche della usurata dialettica Destra-Sinistra – oggi non sarebbe necessario proporre idee nuove, che non possono venire  da persone “vecchie” (il deserto di cui si parlava)?

La relazione di Giorgia Meloni alla prova dei fatti

Probabilmente un senso autentico di novità il popolo del Meeting l’ha provato davanti alla giovanile e appassionata figura di Giorgia Meloni, a cui ha riservato, secondo i media, un’entusiastica, commovente accoglienza.

E davvero la sua relazione  è sembrata prospettare una politica tesa a «ricostruire con i mattoni nuovi della verità», «con metodi nuovi», ispirati all’«umanesimo cristiano», riportando al centro gli esseri umani nella loro unicità e irripetibilità, contro tutte le falsificazioni ideologiche.

Perché, ha detto la premier, «mille miliardi di idee non valgono una sola persona. Noi dobbiamo amare le persone, è  per loro che bisogna vivere e morire». Soprattutto i più deboli e poveri, perché «la vita è sacra e la cura per i più fragili è un valore assoluto» .

Insomma, il messaggio cristiano che finalmente si fa politica non in sogno, ma nei fatti, poiché la relatrice ha rivendicato, «con orgoglio», di aver costruito con questi «mattoni nuovi» la sua opera di governo.

Ma è veramente così? E qui vi chiedo, fratelli e sorelle,che forse avete anche voi condiviso l’entusiasmo  per le cose che  Giorgia Meloni ha detto, di provare a guardare insieme a me quelle che non ha detto e che mi sembra smentiscano drasticamente la sua  pretesa di stare portando  nella politica i valori dell’umanesimo cristiano.

L’accoglienza dei migranti

Potrei indicarvene tante quanti sono i punti trattati nella relazione. Ma sono troppe. Mi limito, a titolo di esempio, al tema dei migranti: «Abbiamo posato mattoni nuovi sul fronte delle migrazioni, contrastando gli arrivi irregolari, ampliando quelli regolari in una cornice di serietà e rigore, come non era mai avvenuto prima».

Discorso a prima vista ragionevole, perché nessuno potrebbe  pensare (e nessuno ha mai pensato) ad una apertura indiscriminata. Eppure, a ben vedere, è significativo che il primo punto – in piena coerenza col programma elettorale della Destra, centrato sulla «difesa dei confini nazionali ed europei» – si quello del “contrastare”, come si fa con gli invasori.

Una linea ben diversa da quella proposta da papa Francesco che, nel suo «Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato» del 2018, la riassumeva in quattro verbi: «accogliere», «proteggere», «promuovere» «integrare».

A questo programma Francesco ha ispirato tutto il suo pontificato, in deciso contrasto con un governo fedele alla linea della Lega, che ha sempre rivendicato la sua fedeltà al messaggio cristiano (Salvini si è spesso presentato ai suoi comizi con il vangelo in mano), ma precisando che il comandamento dell’amore del prossimo vale solo per i più vicini e «non è estendibile al vù cumprà o al vù lavà, certamente prossimi di molte altre persone, ma non del sottoscritto. Grazie a Dio» (M. Borghezio).

La Destra ha risposto squalificando Francesco come un pericoloso utopista. Ma in realtà la posizione di papa Bergoglio è semplicemente quella del magistero della  Chiesa.  San Giovanni Paolo II (citato da Meloni al Meeting), nell’Esortazione apostolica «Ecclesia in Europa», del 2003, scriveva: «Di fronte al fenomeno migratorio, è in gioco la capacità, per l’Europa, di dare spazio a forme di intelligente accoglienza e ospitalità. È la visione “universalistica” del bene comune ad esigerlo: occorre dilatare lo sguardo sino ad abbracciare le esigenze dell’intera famiglia umana» (n.101).

Sottolineando, subito dopo, la necessità di una «matura cultura dell’accoglienza che, tenendo conto della pari dignità di ogni persona e della doverosa solidarietà verso i più deboli, richiede che ad ogni migrante siano riconosciuti i diritti fondamentali» (ivi). In conformità, del resto, a quel testo del vangelo in cui Gesù si identifica con lo straniero che chiede di essere accolto: «Ero forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25,35).

In tutto il discorso di Giorgia Meloni la sola volta che si parla di “accoglienza” è quando ringrazia per quella che le è stata riservata al Meeeting. E, contrapponendosi – senza rendersene conto – proprio alle parole di Giovanni Paolo II, ha rivendicato il ruolo, «che io considero decisivo, del governo italiano per cambiare anche l’approccio europeo» inducendo tutta l’UE a considerare prioritari «la difesa dei confini esterni» e «il rafforzamento della politica dei rimpatri».

Il cimitero del Mediterraneo

Ma il problema non è di parole. Ad esse sono corrisposti, in questi tre anni, dei fatti gravissimi. Come il decreto-legge del 28 dicembre 2022, che ha reso molto più difficile alle navi delle ONG operanti nel Mediterraneo salvare i migranti vittime di naufragi, vietando loro di effettuare più di un’operazione di salvataggio e imponendo di sbarcare i naufraghi in porti spesso lontani, allontanandole  dalle zone critiche. Proprio in questi ultimi giorni due sono state trattenute in stato di fermo per non  aver rispettano queste regole assolutamente arbitrarie.

Si vogliono scoraggiare le partenze rendendo più alte, per chi vi si avventura, le probabilità di morire. Le possibilità di salvezza indeboliscono il divieto. Lo  ha detto, senza i giri di parole dei diplomatici, il ministro Piantedosi (un altro invitato applaudito al Meeting) all’indomani del disastro di Cutro, il 26 febbraio 2023, rispondendo a chi gli chiedeva se si poteva di più per salvare le 180 persone perite nel naufragio: «L’unica vera cosa che va detta e affermata è: “Non devono partire”. [Non si può] immaginare che ci siano alternative da mettere sullo stesso piano – salvare, non salvare…». La sola vera alternativa  al restare nella propria condizione di miseria o di pericolo, è la morte. Questa la filosofia che sta dietro i provvedimenti anti-Ong.

E che non si tratti di una mia lettura «ideologica», lo dicono le parole di papa Francesco nell’Udienza generale del 28 agosto 2024: «Il mare nostrum (…) è diventato un cimitero. E la tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati. Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti – per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave».

Tornano alla mente le parole della premier al Meeting: «Non c’è niente di più importante che salvare una vita umana».

Gli accordi con la Libia

E poi ci sono gli accordi con la Libia. Meloni non vi ha fatto cenno, e con ragione. Perché avrebbe dovuto dire che, almeno in questo caso, non solo il nostro attuale governo non si è discostato da quelli precedenti, come lei spesso ha sottolineato, ma ne ha continuato la politica nella sua espressione più disumana.

È stato infatti il ministro dell’Interno del governo di centrosinistra guidato da Paolo Gentiloni, Marco Minniti, che nel febbraio del 2017, con l’accordo della UE, ha firmato un “Memorandum d’intesa” col governo libico in cui si concedevano aiuti  economici e supporto tecnico, in cambio dell’impegno di quel governo di controllare più strettamente le partenze dei migranti dalle sue coste, facendone bloccare i barconi dalla sua Guardia costiera e trattenendo le persone in appositi “centri d’accoglienza”.  

«Nei miei ventidue anni in Medici Senza Frontiere non avevo mai incontrato un’incarnazione così estrema della crudeltà umana», dice Joanne Liu, la presidente internazionale di “Medici senza frontiere”, in un’intervista al «Corriere della Sera» del 1 febbraio 2018. E non è una denunzia isolata.

In realtà già poche settimane dopo quegli accordi, il 28 settembre 2017, il commissario dei Diritti umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, aveva scritto al nostro ministro degli Interni Marco Minniti, una lettera, «consegnare individui alle autorità libiche o altri gruppi in Libia li esporrebbe a un rischio reale di tortura o trattamento inumano o degradante e il fatto che queste azioni siano condotte in acque territoriali libiche non assolve l’Italia dagli obblighi previsti dalla Convenzione sui diritti umani».

Così, non stupisce che, a metà novembre 2017, dopo il Consiglio d’Europa, anche l’ONU sia intervenuta. Durante la riunione del comitato delle Nazioni Unite a Ginevra l’Alto commissario ONU per i diritti umani Zeid Raad al Hussein ha bollato con parole durissime il patto stretto con Tripoli dal governo Gentiloni per conto dell’Unione Europea: «La politica UE di assistere le autorità libiche nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti prigioni in Libia è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità».

«Non possiamo», ha sottolineato l’Alto commissario, «rimanere in silenzio di fronte a episodi di schiavitù moderna, uccisioni, stupri e altre forme di violenza sessuale pur di gestire il fenomeno migratorio e pur di evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa».

Incurante di questi moniti, il nuovo governo di destra ha rinnovato l’accordo. Anzi, a suggellarne la continuità, la nostra premier, il 28 gennaio 2023, in occasione della sua visita in Libia, ha concordato la consegna di cinque modernissime motovedette alla Guardia costiera (una delle quali, recentemente ha anche sparato, in acque internazionali, alla nave Ocean Viking, mentre stava soccorrendo un gruppo di migranti in mare).

E anche ultimamente Meloni è tornata a Tripoli per confermare e consolidare gli accordi, che anzi sono stati estesi, nel quadro del piano Mattei, alla Tunisia, dove il presidente Kaïs Saïed sta imponendo un regime autoritario e, in cambio di ingenti fondi italiani ed europei, si è impegnato a bloccare, con i mezzi che gli sono propri, i migranti  in procinto di partire per l’Italia.

Davanti a questo quadro di inaudite violenze, decise a tavolino contro poveri esseri umani, colpevoli solo di essere assetati di un po’ di felicità, rileggiamo le parole di Meloni nella sua bella relazione: «Noi dobbiamo amare le persone, è  per loro che bisogna vivere e morire». Perché «la vita è sacra e la cura per i più fragili è un valore assoluto».

Ci si può entusiasmare per il male minore?

Mi fermo qui. Era solo un esempio tra i tanti della totale dissonanza tra le nobili affermazioni di principio della premier e la prassi reale del suo governo e solo per ragioni di spazio ho preferito soffermarmi su questo. Ma spero almeno di aver fatto capire i motivi del mio disorientamento nel vedere  la nostra presidente del Consiglio non solo invitata – questo potrebbe essere un modo per mantenere i buoni rapporti con le istituzioni – , non solo cortesemente ricevuta – questo rientrerebbe nella buona educazione verso un’ospite – , ma entusiasticamente applaudita e acclamata (tra l’altro, in particolare quando ha parlato dei migranti).

Perché ad aver fatto questo sono  persone a cui mi sento unito dalla profonda convinzione che “i mattoni nuovi” per costruire in questo deserto possono venire solo da una visione della persona e della società  che si ispiri all’insegnamento sociale della Chiesa e, soprattutto, al vangelo.

Si può capire – anzi credo che in questo momento capiti a tutti i cattolici –  che qualcuno, in mancanza di meglio, voti per un partito che, pur compromendo alcuni valori, ne salva però altri e che per questo può, a malincuore, essere considerato un male minore. Ma se Elly Schlein ricevesse un’accoglienza trionfale in un consesso di cattolici mi stupirei e mi addolorerei molto. Esattamente come mi stupisce e mi addolora che questo sia accaduto nei confronti di Giorgia Meloni.

Sorelle e fratelli, ringrazio chi di voi ha avuto la pazienza e la gentilezza di arrivare alla fine di questa lettera. Non chiedo che alla fine ci troviamo d’accordo su tutto, ma che siano chiare le ragioni per cui mi sono sentito a disagio, come cristiano, di quello che del Meeting ho appreso dai media. E che consideriate l’averlo comunicato non un attacco, ma un atto di sincerità fraterna, nello stile del vangelo che ci unisce tutti.

5 replies on “Lettera alle sorelle e ai fratelli di Comunione e Liberazione”

  • Condivido quanto ha scritto Giuseppe Savagnone .
    Con pena infinita per chi resta indifeso sui barconi e offeso da affermazioni ambigue e
    menzognere

  • Speriamo che in costanza di questo governo non venga ripresa l’idea di rivedere i patti lateranensi. Ci troveremmo ad avere, non richiesti, nei politici i difensori della fede. Già lo fa Putin che è investito del sacro compito di punire l’Europa così corrotta perché ha tradito la fede. Nelle vicende ucraine questo impegno è venuto fuori. E non strappiamoci le vesti perché, non si riuscì ad avere il riconoscimento delle origini cristiane in una scrivenda Costituzione Europea. Ciò è assolutamente vero ma, se fosse stato riconosciuto “ per tabulas “ la sconfortante naufragata morale sarebbe stata uguale a quella che sperimentiamo.

  • Grazie per questo articolo. Negli ultimi anni, per varie ragioni, non sono andata al Meeting di Rimini, quindi non mi sento in grado di confermare o smentire quanto ho letto qui sopra. Mi sono subito venute in mente un paio di cose, però: 1) mi sembra che il Meeting abbia sempre invitato politici di varia estrazione, e ovviamente non tutti rispondono all’ invito (magari non sempre per motivi politici); 2) Draghi, anche da solo, ha un peso tale da controbilanciare qualunque politico di corrente opposta (e non mi stupirei se in un futuro prossimo dovesse scavalcarli tutti, italiani ed europei, in nome di un più efficiente modello di Stato). Ho anche pensato, però, proprio perché al Meeting ci sono stata altre volte, che forse l’ entusiasmo del pubblico non sia stato così compatto come i media hanno fatto apparire. La mia esperienza di CL è quella di una grande libertà. Certo, seguendo Cristo che si manifesta sia attraverso persone concrete che attraverso il Magisterium. Ma è un cammino, nel quale ognuno si trova al punto in cui si trova, dal quale si vede un panorama inizialmente più limitato e via via più grande – a meno di non voler tornare indietro; ma anche questo rientra nell’ orizzonte della libertà. Per quanto riguarda la questione dei migranti, si tratterebbe di darle un affondo che nessun governo abbia il coraggio di iniziare, perché gli interessi in gioco sono troppi e troppo vicini. Ognuno di noi, dico noi cittadini, cristiani e no, abbiamo la responsabilità di affrontare questo problema limitatamente alla sfera d’azione quotidiana di ciascuno, innanzitutto con un atteggiamento di accoglienza verso chi è già arrivato.

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