L’eclisse della realtà e il dilagare della violenza

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Foto di Mahmoud Sulaiman su Unsplash

Una guerra senza verità

Lo svolgersi degli ultimi eventi sugli scenari internazionali sembra confermare l’idea, oggi così diffusa, che la verità non esiste, o, più precisamente, che non ce n’è  una valida per tutti, perché ognuno ha la sua.

Si guardi alla “guerra dei dodici giorni” di Israele e degli Stati Uniti contro l’Iran. Frutto di un intervento necessario e urgente per garantire la sicurezza non solo d’Israele, ma del mondo intero, secondo l’interpretazione unanime dei governi occidentali, oppure aggressione sionista e imperialista, contraria ad ogni regola del diritto internazionale, come l’hanno definita, oltre allo stesso governo di Teheran, Russia e Cina?

E davvero l’Iran era sul punto di costruire la bomba atomica, come sostiene Israele appoggiato, ancora una volta, da tutto il mondo occidentale, oppure la repubblica islamica aveva fin dal 2003 rinunziato a questo obiettivo, puntando piuttosto su un uso pacifico dell’arricchimento dell’uranio, come nel mese di marzo  aveva affermato davanti al Congresso la direttrice dell’Intelligence nazionale Tulsi Gabbard (che però, in seguito alle reazioni del presidente americano, ultimamente ha ritrattato queste affermazioni)?

E il significato del bombardamento americano sui siti nucleari iraniani? «Gli attacchi in Iran come Hiroshima, hanno messo fine alla guerra», ha detto Trump, secondo cui con questa operazione, ammirevole sotto il profilo militare, si è raggiunto pienamente l’obiettivo.

Di danni significativi, ma non decisivi, per il programma di arricchimento dell’uranio parlano, invece, le autorità iraniane, ma anche autorevoli fonti giornalistiche americane come il «New York Times», la CNN e il «Financial Times», secondo cui gli iraniani avrebbero in tempo trasferito il materiale più prezioso  in altri siti, segreti e sicuri.

Addirittura è sull’esito stesso della guerra che si registrano versioni opposte e contraddittorie. Un trionfo di Israele e degli Stati Uniti, secondo Netanyahu e Trump, una «vittoria schiacciante» dell’Iran secondo la Guida Suprema Khamenei.

La doppia immagine della presidenza Trump e un episodio italiano

Ma non è l’unico caso in cui lo smarrito spettatore delle vicende pubbliche è indotto a ricordare le parole di Pirandello, a conclusione del suo dramma «Così è (se vi pare)», quando mette in bocca alla donna velata, sulla cui identità nel corso dell’opera ci si è interrogati, le famose parole: «Io sono colei che mi si crede».

La stessa figura del presidente americano Trump è al centro di opposte letture. I sondaggi fatti negli Stati Uniti in questi primi mesi del suo governo indicano una caduta verticale di popolarità, sia per gli effetti economici e finanziari devastanti della sua volubilità nella politica dei dazi, sia per il mancato adempimento della promessa di chiedere in pochi giorni le due guerre in corso in Ucraina e nella Striscia di Gaza.

Più recentemente, a esasperare questa delusione è arrivato l’attacco all’Iran, che ha addirittura esposto gli stessi Stati Uniti al rischio di impantanarsi in una guerra nel Medio Oriente. Così il Tycoon ha registrato il peggiore indice di gradimento dopo cento giorni di qualunque altro presidente dal 1952 a oggi.

In diversi sondaggi è emersa anche un giudizio negativo sulla politica migratoria di Trump, che pure era stato uno dei punti del suo programma che gli aveva garantito il successo. Per molti americani le deportazioni degli irregolari sono andate «troppo in là».

In particolare è stata espressa una netta opposizione alle deportazioni nei confronti di persone che hanno vissuto negli USA per più di dieci anni, o che hanno figli con la cittadinanza americana, o che non hanno commesso alcun reato.

Da parte sua, invece, Trump ha festeggiato questo stesso periodo come «i 100 giorni più di successo di qualsiasi Amministrazione nella storia del nostro Paese». E anche all’estero non sono mancati gli apprezzamenti, soprattutto da parte dei rappresentanti politici della destra come, in Italia, Salvini e Meloni.

Per non parlare degli editoriali di Mario Sechi, direttore di «Libero», e di Belpietro, direttore de «La Verità», che hanno esaltato senza mezzi termini la spregiudicatezza del presidente americano come l’inizio di una nuova era, contrapponendola alla ingessata ed obsoleta politica tradizionale.

Ed è degli ultimi giorni il messaggio che il Segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha inviato a Trump dopo l’attacco all’Iran e l’imposizione ai paesi europei dell’aumento al 5% delle spese militari: «Caro Donald congratulazioni per la tua azione cruciale in Iran, una cosa che nessuno avrebbe osato fare». Poi, sull’obiettivo del 5%: «Donald, ci hai guidati verso un momento veramente importante per l’America, l’Europa e il mondo». E ancora: «Raggiungerai qualcosa che nessun presidente americano è riuscito a fare negli ultimi decenni».

Ultimo segnale di questo impero della contraddizione: pochi giorni fa il governo del Pakistan ha proposto di assegnare al presidente USA Donald Trump il Premio Nobel per la Pace 2026, come riconoscimento del suo «decisivo intervento diplomatico» in occasione della recente crisi tra India e Pakistan.

Anche per quanto riguarda il nostro paese, gli esempi di “doppia verità” non mancano. Alcuni giorni fa il nostro ministro degli Esteri, Tajani ha affermato che «quello che abbiamo fatto noi a Gaza non l’ha fatto nessun governo europeo».

E la nostra premier ha dichiarato in Parlamento che «obiettivo prioritario per l’Italia» è «il cessate il fuoco a Gaza, dove la legittima reazione di Israele a un terribile e insensato attacco terroristico sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili, che chiediamo a Israele di fermare immediatamente». Solo qualche giorno dopo, però, al Consiglio europeo l’Italia, insieme alla Germania, si è fermamente opposta alla proposta, avanzata da diversi altri paesi membri dell’UE, di interrompere l’accordo di associazione con Israele, in forza di un articolo di esso che ne prevede la sospensione in caso di violazione di diritti umani.

Possiamo rassegnarci alla fine della realtà?

«Il mondo è diventato favola», aveva affermato Nietzsche, in uno dei suoi scritti. Nella sua visione nichilista la realtà non esiste e si riduce alle narrazioni che noi ne facciamo. Così come non esiste alcun criterio etico che  possa fondarsi sulla verità delle cose – «Al di là del bene del male» si intitola una sua opera. 

Non ci resta ormai che prendere atto dell’ineludibile forza di questa profezia e adattarci al quadro che in base ad essa si sta delineando?

Proprio ciò che abbiamo sotto gli occhi ci costringe a ribellarci a questo destino. Perché una verità almeno sembra imporsi in modo indiscutibile, ed è che la fine della verità consegna il mondo alla logica di una violenza illimitata, al cui trionfo stiamo assistendo. Dove violenza è la forza che non si fonda sul diritto, ma pretende di sostituirlo.

Violenza è quella del regime iraniano, che soffoca la libertà – soprattutto quella delle donne – e, sia vero no che sta costruendo la bomba, non rinunzia  comunque alla pretesa di cancellare dieci milioni di cittadini dello Stato d’Israele.

Violenza è quella di Netanyahu, che, simmetricamente, vuole fondare la sicurezza dello Stato ebraico su una guerra di annientamento senza limiti e senza fine contro chiunque costituisca un pericolo prossimo o remoto nei suoi  confronti.

E violenza è quella di Trump, che in nome degli interessi americani – o di quelli che egli crede tali – calpesta le vite di milioni di persone, minaccia anche i paesi amici – con i dazi o addirittura con le armi, come nel caso della Groenlandia – e avanza pretese spudoratamente affaristiche, come quelle sulle terre rare dell’Ucraina.

Senza verità e senza distinzione tra bene e male la violenza non è più la patologia della politica, ma la sua regola, perché ognuno può raccontare la realtà come gli conviene. Ma questo non è più il mondo degli esseri umani, è la giungla, dove l’unica legge è quella del più forte.

E la violenza ricade su tutti, non solo su chi immediatamente la subisce. Ci si può illudere di rifare di nuovo grande l’America sostenendo Israele nel più grande massacro di civili dalla seconda guerra mondiale in poi, bloccando l’attività dell’USAID, la più grande agenzia al mondo di aiuti umanitari ai poveri, e al tempo stesso conducendo una lotta senza quartiere contro questi stessi  poveri che cercano negli Stati Uniti una vita migliore.

Così come ci si può illudere che questa stessa logica vada bene per rifare grande l’Italia, dove la nostra premier è totalmente appiattita sulla linea di Trump.

Così come si può anche credere che aumentando gli armamenti ci si tutelerà dalle minacce alla nostra sicurezza, in funzione della politica imperialista d Putin, senza rendersi conto che il dittatore russo, con le sue folli manie di grandezza, è solo la punta di un iceberg ben più minaccioso per l’Occidente egoista che abbiamo creato, e che è il Sud del mondo, del quale fanno parte i poveri, che diventano sempre più numerosi e il cui odio stiamo attizzando sempre di più. «Si vis pacem para bellum», ha detto in Parlamento Giorgia Meloni, ricorrendo a una dotta citazione per sostenere la sua adesione al programma di riarmo della NATO, che prevede l’innalzamento delle spese militari dall’1,5% al 5% del nostro PIL.

Ma davvero l’unica via per la sicurezza è spendere i soldi per le armi, invece che per rendere migliori le condizioni di vita di chi ci minaccia? Le armi non hanno mai garantito la pace.

Se vuoi la pace, prepara la pace. Essa ha bisogno che l’odio diminuisca, e le bombe su Gaza non solo non rendono più sicuro Israele, ma creano le condizioni perché la sua insicurezza duri per sempre, così come le violenze nei campi di concentramento in Libia e in Tunisia finanziati dall’Italia non sembrano un buon biglietto da visita per il tanto strombazzato “piano Mattei”, che vorrebbe avvicinare il nostro paese all’Africa.

A ricordarci che il mondo che stiamo costruendo, puntando sulla corsa agli armamenti, potrà solo basarsi su una guerra continua è stato recentemente Leone XIV: «Non dobbiamo abituarci alla guerra, bisogna respingere la corsa agli armamenti», ha detto il papa. «Ripeto ai responsabili ciò che diceva Papa Francesco: “la guerra è sempre una sconfitta”».

Ma la pace, come insegnava Gandhi, ha bisogno della verità e nasce da essa. È da qui che bisogna ricominciare. Solo che riscoprire la  cultura della verità richiede l’abbandono di quella oggi dominante, che chiude non solo i politici, ma tutti noi, nella bolla delle nostre illusioni soggettive e ci impedisce di vedere la realtà.  È una sfida epocale. Ma noi saremo capaci di raccoglierla?

4 replies on “L’eclisse della realtà e il dilagare della violenza”

  • Il mondo oscurato dalla mancanza/rifiuto di qualunque fede e verità. Dominato percio dall’ignavia e sottomesso all’arroganza e all’arbitrio dei re folli.

  • Al di là di ogni altra considerazione, voglio solo ricordare che il dotto richiamo della Presidente del consiglio ha trovato una evidente conferma nei circa ottant’anni di pace in Europa dalla fine della tragica seconda guerra mondiale

    • Caro Pasquale, grazie sempre delle tue osservazioni critiche, a cui però anche in questo caso non mi sento aderire. Lo sforzo comune dei due blocchi – dell’Est e dell’Ovest – , collegato al superamento della guerra fredda, è stato precisamente nella direzione di un progressivo disarmo dei rispetti arsenali nucleari. La pace è stata caratterizzata non dalla paura reciproca – questa può essere solo un momentaneo detrrene per non farsi la guerra – ma da un reciproco avvicinamento basato sull fiducia. Così è stato anche prer l’Europa, dove la Germnania non ha fatto pace con la Francia perchè era ben armata, ma perchè aveva rinunziato ad armarsi.Il contrario di ciò a cui oggi stiamo assistendo e a cui siamo invitati da Trump e da Meloni, succubi anche noi europei della logica per cui l’Europa sarà grande non se avrà un’anima, ma se i suoi membri si armeranno di più.

  • La nascita dell’Unione Europea ha garantito il più lungo periodo di pace tra gli stati europei,senza il ricorso alle armi,tanto da consentirle l’attribuzione del premio nobel per la pace nel 2012.I piani attuali di riarmo sembrano tradire lo spirito che , dopo la seconda guerra mondiale, condusse ad un avvicinamento tra gli stati europei,uniti dalla comune volontà di non ripetere gli errori del passato.La tragedia delle guerre mondiali comincia ad essere un lontano ricordo per le classi dirigenti, ma certamente non lo è per la maggioranza del popolo.

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