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L’onore dell’uomo d’onore

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di Guglielmo Faldetta

 

È di qualche giorno fa la notizia, diffusa dalle principali testate giornalistiche locali, che, durante i funerali di Giuseppe Di Giacomo, presunto boss della Mafia, forse “reggente di Porta Nuova”, svoltisi nel quartiere Zisa di Palermo, centinaia di persone si siano riversate in strada in un lungo corteo funebre, accompagnate dalle decine di saracinesche abbassate in segno di lutto, dai tanti negozi chiusi, ed anche dai confrati delle Anime Sante di Piazza Ingastone, che avrebbero aperto il corteo. Di Giacomo era stato ucciso qualche giorno prima, vittima di un agguato in pieno giorno, davanti agli occhi del nipote di nove anni, rimasto fortunatamente illeso.

Leggendo quanto riportato dalla stampa, ciò che colpisce maggiormente di questa vicenda è il grande senso di devozione, di rispetto, di onore, tributato a quest’uomo. La folla che applaude all’uscita del feretro dal condominio dove Di Giacomo abitava, la presenza di giovani e vecchi, donne e bambini, il quartiere che si ferma “come se ci fosse la processione del patrono”, i commercianti partecipi nel loro lutto devoto, i cori all’arrivo alla chiesa della Madonna di Lourdes, in piazza Ingastone, tutti elementi che sembrano dipingere una scena d’altri tempi.

Verrebbe da interrogarsi sul complesso rapporto tra mafia e Chiesa, su quei gonfaloni della Confraternita delle Anime Sante che aprivano il corteo funebre, sulla ritualità mafiosa presa spesso in prestito dalla religione, sulla religiosità ostentata dai mafiosi, e sul bisogno che ha la mafia di avere l’appoggio della Chiesa per ragioni di appartenenza, di identità, di consenso sociale e territoriale.

Ma viene ancor più da interrogarsi sull’onore riconosciuto a questo presunto “uomo d’onore”, su quelle saracinesche abbassate, simbolo di una devozione verso chi, evidentemente, viene ritenuto così degno di onore. Tornano alla mente le tante storie di estorsione emerse in questi anni, le belle storie di denunce e di fuoriuscite da un sistema odioso ed avvilente, quello del racket, che mina alle basi la natura stessa del fare impresa e dell’essere imprenditore. Ma soprattutto tornano alla mente le numerose analisi, ricerche, indagini, che hanno mostrato come spesso e volentieri il racket delle estorsioni attecchisce in quanto non solo subito, non solo accettato, ma cercato, in quanto garanzia di protezione ma, soprattutto, in quanto mezzo per raggiungere vantaggi competitivi su altre imprese.

L’estorsione si è manifestata spesso nella richiesta di rapporti di connivenza, miranti a condizionare le scelte e l’autonomia degli imprenditori in relazione, ad esempio, alla scelta dei materiali da impiegare, dei fornitori cui rivolgersi, dei dipendenti da assumere, dei servizi di vigilanza da utilizzare, fino ad arrivare all’imposizione della compartecipazione societaria cui spesso segue l’appropriazione vera e propria dell’impresa da parte dell’organizzazione mafiosa. Gli imprenditori, in tali condizioni, hanno a volte trovato conveniente entrare in affari con l’organizzazione mafiosa, riscontrando in tale “partnership” una vera e propria fonte di vantaggio competitivo rispetto a quelle imprese che di tale “network” non fanno parte.

Gli imprenditori hanno spesso omesso di denunciare le estorsioni subite, se non addirittura negato l’esistenza delle stesse dopo che queste sono state scoperte, in virtù da un lato di un calcolo della sopportabilità dei costi del racket, a fronte della possibilità di convivere con un’organizzazione mafiosa “morbida”, se non a volte “amica” e, dall’altro lato, in virtù della pervasività sul territorio del racket stesso, di una sorta di meccanismo di “contagio” sociale. Spesso il racket delle estorsioni si diffonde in un territorio caratterizzato da illegalità diffusa, dove l’evasione o l’elusione fiscale, o l’impiego di lavoro “in nero”, risultano molto presenti. In un contesto del genere, l’imprenditore può trovare conveniente, oltreché culturalmente e socialmente “appropriato”, rivolgersi all’organizzazione mafiosa, e vedere lo Stato come un soggetto a lui lontano, se non addirittura ostile.

Anche in certi casi di denuncia delle estorsioni subite da parte di imprenditori, si è in seguito riscontrato che tali denunce erano in realtà motivate dalla perdita, per varie ragioni, di quei benefici di natura economica e sociale derivanti dalla “partnership” con l’organizzazione mafiosa; in molti casi gli imprenditori, dunque, non trovando più conveniente stare insieme ai mafiosi, hanno deciso di denunciarli. Tale quadro può essere in qualche modo confermato dalle difficoltà economiche cui vanno spesso incontro le imprese in regime di amministrazione giudiziaria a seguito di sequestro; tali imprese, infatti, sottratte al network criminale di appartenenza, immesse in circuiti di legalità, non trovano più quei fattori di vantaggio competitivo che avevano consentito loro di prosperare, ed entrano in crisi, a meno di non essere sottoposte a drastici interventi di ristrutturazione aziendale, non sempre peraltro possibili.

Ecco da cosa deriva l’onore tributato all’uomo d’onore, la devozione nei suoi confronti, in un miscuglio di sacro e profano, dove il piano umano, quello sociale, quello economico, si intrecciano inevitabilmente. Quanto è ardua, dunque, l’opera che tutti gli attori coinvolti a vario titolo nella lotta alla criminalità organizzata svolgono, se ancora oggi assistiamo a cerimonie e rituali che si pensava appartenessero ormai al passato.

 

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