Senza categoria

L’abolizione del bonus maturità: giustizia è fatta?

Loading

 

 

di Giuseppe Savagnone 

 

Le polemiche di queste settimane su problemi ritenuti più essenziali, come l’abolizione dell’IMU e la cosiddetta “agibilità politica” di Silvio Berlusconi, hanno fatto passare in seconda linea la decisione del governo di abolire, nel settembre scorso, il cosiddetto “bonus maturità”, che era stato introdotto dal governo Monti sulla scia di una precedente iniziativa del ministro Fioroni.

La «valorizzazione della qualità dei risultati scolastici ai fini dell’accesso ai corsi universitari», nome burocratico del bonus in questione, era stata ufficialmente istituita nel gennaio 2008, con il decreto-Fioroni (Dlgs 21/2008) che prevedeva di distribuire 10 punti in base ai voti ottenuti dagli studenti negli ultimi tre anni delle superiori e nell’esame di Stato conclusivo.

A impedirne l’attuazione erano state le critiche che evidenziavano l’impossibilità di una valutazione omogenea,  per le troppe variabili che entrano in gioco da un istituto all’altro, da una città all’altra e forse soprattutto da un’area geografica all’altra (è noto che nelle regioni meridionali i voti tendono ad essere più alti che in quelle settentrionali), facendo sì che a preparazioni simili corrispondano talora voti molto diversi fra loro. Malgrado queste riserve, il bonus maturità era stato rilanciato dal Governo Monti, che aveva cercato di neutralizzarle introducendo il meccanismo dei «percentili», che relativizzava i risultati ottenuti alle medie dei singoli istituti e attribuendo 10 punti solo al 5% di studenti migliori di ogni scuola, riservando 8 punti al 5% attestatosi appena più in basso e così via, fino a negare il bonus agli studenti esclusi dal 20% più brillante.

 

Anche così non erano mancate discussioni e molte questioni, anche serie, rimanevano aperte. Così il ministro Maria Grazia Carrozza ha pensato bene di eliminare alla radice il discusso bonus, rimettendo tutti i candidati ai quiz su un piede di assoluta parità.

Due ordini di osservazioni possono essere fatte, a proposito di questa decisione. Una, di carattere strettamente giuridico, riguarda l’opportunità di cancellare  la norma proprio mentre si stavano svolgendo i test di ammissione alle facoltà di medicina. Candidati che erano entrati nell’aula, dove la prova si svolgeva, con un certo numero di punti – da 10 in giù – acquisiti per i loro meriti scolastici, ne sono usciti senza. Il ministro, davanti alla pioggia di proteste e alla minaccia di ricorsi al Tar, ha commentato che quella dei ricorsi è una «cattiva abitudine» degli italiani. A me, che non sono un giurista, sembra che uno Stato all’altezza della sua dignità non possa cambiare le regole in corso d’opera senza perdere la faccia. Violando, tra l’altro, quei “diritti acquisiti” che vengono sistematicamente sventolati quando qualcuno propone di diminuire, anche di poco, pensioni e stipendi astronomici  goduti da rappresentanti potenti della casta. A quanto pare la formuletta magica dei “diritti acquisiti” non valeva per gli sfortunati studenti che hanno perduto i loro dall’oggi al domani (preciso, a scanso di equivoci, di non avere alcun parente coinvolto e di parlare solo per amore di giustizia).

Ma è la seconda considerazione che in questa sede mi sta più a cuore, ed essa non è di ordine giuridico, bensì politico. La scuola italiana si trova da anni in uno stato di degrado che non si spiega solo con la inadeguatezza delle strutture, con il basso livello degli stipendi, con la necessità di aggiornare i programmi. Ciò che soprattutto l’ha avvilita è il suo decadere nella stima dell’opinione pubblica e nella rilevanza delle sue prestazioni rispetto alla vita sociale e culturale.  Gli insegnanti hanno sempre guadagnato poco e hanno lavorato in condizioni di emergenza, ma erano stimati come dei  “maestri”, persone di cultura che a volte erano anche chiamate a passare all’insegnamento universitario. Da diversi anni a questa parte, invece, si sono trovati a guadagnare sempre poco, ma, in più, ad essere considerati braccianti sfaticati, il cui peso intellettuale è nullo.

La decisione del governo di rimettere alla lotteria dei quiz l’ammissione dei giovani alle facoltà universitarie, piuttosto che tenere conto del giudizio – per quanto relativo e discutibile – di una scuola che li aveva seguiti per anni, è una terribile conferma di questo trend. Nessuno nega che potessero esserci dei problemi da risolvere, dei miglioramenti da apportare, ma la pura e semplice abolizione del bonus esclude, insieme agli uni, anche gli altri.

Hanno vinto l’uguaglianza e la giustizia? Ma davvero è così egualitario e giusto un meccanismo che permette ai ricchi di frequentare corsi di preparazione costosissimi per allenarsi, mentre i poveri non se lo possono permettere? Veramente è più equo affidare a questa logica mercantile e alla fortuna il futuro professionale di questi giovani e il bene comune del Paese, piuttosto che pagare il prezzo dell’inevitabile disparità di valutazione tra scuola e scuola? 

Non credo che la risposta sia dubbia. A me sembra che, alla fine, i soli vincitori siano gli affaristi che sul business dei corsi di preparazione ai quiz da anni lucrano somme ingenti. E a perdere sia stata la scuola. Ma forse anche il Paese.

 

 

{jcomments on}

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *