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Introduzione alla lectio di Mc 10, 35-45

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Introduzione alla lectio divina di Mc 10, 35-45

Domenica 18 ottobre 2015 – XXIX domenica del tempo ordinario

 

di Raffaela Brignola

35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

Il brano evangelico presenta due parti, due insegnamenti.

Nella prima una preghiera di domanda: spesso ci avviciniamo a Gesù, per sue prestazioni a nostro servizio, con un sia fatta la nostra volontà. “Chiedete male” dice Giacomo (4,3), perché chiediamo “secondo gli uomini e non secondo Dio” (Mc 8,33).

Sulla strada per Gerusalemme, in una atmosfera già venata di angoscia, hanno ascoltato la terza predizione della passione, più sconvolgente perché più precisa delle altre, ma ugualmente rimossa: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’Uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà” (v. 33). Invece, una cosa hanno capito dall’allusione al figlio dell’Uomo. Vi hanno riconosciuto la figura escatologica del  predestinato a ricevere da Dio il potere di giudizio, il potere e la gloria sulle genti (Dn 7,14). Questo li ha abbagliati e sedotti. Li ha spinti a richiedergli direttamente i posti privilegiati nella gloria, che vogliono condividere con lui, logicamente insieme al potere, nel regno venturo. La passione appena annunciata è restata ignorata nello sfondo.

Se noi ci scandalizziamo di questo, lui no. Gesù non si scandalizza, prende sul serio questa domanda, la onora e va al fondo di ciò che vuole esprimere. E la confronta con un “Voi non sapete …”, cuore di un percorso di iniziazione al mistero, che, ormai al terzo insegnamento, non ha ottenuto ancora udienza. Insegna allora che è venuto non per distribuire posti ma cammini di svuotamento e di donazione. Con un “potete voi?”li mette in contatto profondo con la sua fine, legandoli intimamente alla sua persona, destinata a bere il calice e essere battezzata nella morte. «Lo possiamo» rispondono i due, miscuglio come tutti noi di infedeltà e di fedeltà, di incomprensioni plateali e di intuizioni vitali, di vigliaccheria e di eroismo che sarà confermato nella testimonianza finale.

Ma anche la spiritualità escatologica, il desiderio ultimo del cuore, sarà frutto di una piena immersione nell’umano da vivere nella spogliazione di un sé presunto, per la piena realizzazione del sé liberato. Perciò approfondisce di nuovo con i due fratelli la relazione di sequela (come dopo il primo annuncio: 8,34-37), svelandone, per loro e per noi, il destino penultimo: bere il calice dell’offerta totale di sé, esposta al dissenso e alla riprovazione, al rifiuto e, a volte, alla morte. Allora soltanto questa vita perduta diventerà paradossalmente piena e ricca, libera nell’amore, realizzata nella beatitudine della compagnia eterna con lui e fuori da superate dinamiche di prestigio.

Volevano essere i primi, i più vicini a lui nel Regno della gloria. Non avevano avvertito, perché in fondo ancora comunità pre-cristiana perché pre-pasquale, che il ribaltamento che si opera nella nuova comunità del Regno, come in cielo così in terra, prevede relazioni circolari in cui Gesù si pone sempre al centro e tutti gli altri, senza gerarchie verticali, si ritrovano alla stessa vicinanza dall’Amore.

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi”. Questa seconda parte vede tutti gli apostoli in tensione, perché la divisione è emersa tra loro:entrano in conflitto sia per lo spirito di appropriazione di posti di onore e di potere, che per la gelosia di vedersi emarginati. Ma Gesù “chiamatili a sé”, tutti vicini, porge di nuovo (9,35) il suo insegnamento: “chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. Servire è qui,  in radice, riconoscere l’altro come altro, non manipolabile, non calpestabile. E’ permettere che si esprima, che realizzi  quel progetto unico, conosciuto solo al suo Signore, che farà emergere in lui un’immagine esclusiva di Dio. E’ un insegnamento destrutturante a partire, questa volta, da un “Voi sapete …” ricordando qualcosa che, sì, conoscono molto bene, le dinamiche mondane del potere, fatto invece di prevaricazione e sottomissione. Ma qui, emergente come un faro, pone un nuovo precetto per la sua comunità, un “Non così però tra voi”.

A partire da un non così fondativo, quello che riguarda il suo messianismo appena riproposto, fatto di  offerta e di estremo servizio nell’amore come quello del Servo sofferente (Is. 53,10-12), “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”, è ora capovolta per i suoi tutta la prospettiva. Questo non così plasma e sostanzia globalmente le dinamiche dell’essere cristiani. Non così, segnati dalla bramosia dell’avere e del potere, del volere e del sapere, tutte categorie correnti di un’esistenza costruita sul diniego di una creaturalità destinata a una fine che in tal modo si pensa di esorcizzare. Non così tra noi che abbiamo creduto l’amore (1Gv 4,16 ) e ci sappiamo figli, avvolti per sempre da una cura infinita che è quella di un Padre.

Questa è la differenza cristiana: da un Dio onnidebole, che rovescia la sua onnipotenza, e da un messia servo che si offre, invece di un messia glorioso, nasce per i discepoli una logica paradossale che invita ad amare chi non è amabile, senza ritorno e reciprocità; ad invitare a pranzo chi non può ricambiare; a perdonare chi non chiede perdono; a primeggiare lavando i piedi agli altri; a vivere immemori di sé sino a vedersi servi inutili. Un non così che sovverte e supera ogni legge e ogni morale costituita, ogni giustizia aridamente retributiva per approdare alla giustizia sovrabbondante del regno.

Perché così è il nome della misericordia e perché così ha insegnato paradossalmente il Signore, gioendo di un peccatore ritrovato più che di cento giusti al sicuro, annullando graduatorie di meriti e demeriti, ricompensando pienamente impegni tardivi, servendo a tavola i propri servi, morendo per dei peccatori, perdonando i suoi uccisori.

 

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