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Il Paese smemorato

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Non finisco di stupirmi della mancanza di memoria degli italiani quando è in gioco la politica. Un esempio. Si sente invocare, oggi, da più parti, la costituzione di un “governo del presidente” fondato su “larghe intese”, giustificato dall’emergenza economica del nostro Paese. In concreto: un governo guidato da una personalità non compromessa con questa o quella parte politica, sostenuto, da tutte o quasi le forze parlamentari, sinistra (PD), destra (PDL) e centro (Scelta civica). Suo obiettivo sarebbe di lavorare per far ripartire l’economia e, intanto, di fare delle riforme istituzionali – prima fra tutte quella elettorale – in vista di possibili nuove elezioni che rendano possibile finalmente una stabile maggioranza.

Un progetto sensato, in linea di principio, che un marziano venuto in visita sulla terra non avrebbe difficoltà ad approvare. La mia meraviglia non nasce dunque dal suo contenuto, perfettamente razionale, ma dal fatto che esso costituisce una fotocopia di quello da cui nacque, il 16 novembre 2011 (poco più di un anno fa), il governo Monti. Stesse circostanze: impossibilità di avere una maggioranza univoca, essendo venuta meno quella di centro-destra che aveva vinto le elezioni e non essendo in grado la sinistra di sostituirla; grave crisi finanziaria ed economica, che rendeva urgente la formazione di un governo stabile; impegno del capo dello Stato per arrivare a questo esito, evitando nuove elezioni; evidente favore del centro (allora era l’Udc) per questa soluzione, che trovava l’appoggio anche del PDL, reduce da una evidente prova di incapacità a governare la crisi economica e finanziaria e di condurre in porto la legislatura. Il PD era perplesso, perché in quel momento sarebbe stato facile per la sinistra vincere le elezioni, ma l’insistenza di Napolitano e le obiettive ragioni di urgenza ebbero la meglio.

Quale fu il risultato? La situazione finanziaria migliorò molto, per la credibilità personale del presidente Monti a livello internazionale, quella economica no, anche per i suoi errori nel puntare sul risanamento senza concedere nulla al rilancio del mercato del lavoro e all’equità (vedi rifiuto di fare un patrimoniale). Ci furono timidi accenni a combattere in modo più deciso l’evasione fiscale e a mettere un tetto ai super-stipendi. Le forze politiche in Parlamento non riuscirono, sebbene questo fosse il compito che si erano riservate specificamente, a fare la riforma elettorale, perché ognuna mirava a farla nel modo a sé più conveniente. A un certo punto il PDL fece venire meno il suo appoggio al governo e rese necessarie quelle nuove elezioni che erano state sempre deprecate da tutti come attentato alla solidarietà nazionale.

Una cosa singolare, che non è un’accusa ma una costatazione, è che tutta la campagna elettorale del suo leader, Berlusconi, fu impostata sulla critica più violenta al governo Monti, che il PDL aveva sostenuto per tutta la sua durata, e alle misure che questo governo aveva adottato con i voti di tutto il fronte delle “larghe intese”, quindi anche dello stesso PDL. Tanto da puntare sulla promessa di disfare quello che era stato fatto – di comune accordo – nei mesi precedenti, annullando l’IMU e anzi restituendo quella già pagata, e promettendo il condono fiscale agli evasori e la sanatoria agli abusi edilizi. Al termine di questa campagna, il PDL ha recuperato in larga misura il distacco che la sua precedente gestione del potere, prima di Monti, aveva determinato e reso nuovamente impossibile, con la sua affermazione parziale al Senato, la formazione di una maggioranza parlamentare stabile. Nel frattempo, però, le “larghe intese”, impedendo sia alla destra che alla sinistra che al centro di portare avanti un programma politico univoco, per il gioco dei veti incrociati, aveva evidenziato agli occhi dell’opinione pubblica la paralisi delle forze politiche tradizionali e ingigantito il distacco della gente dalla politica parlamentare, consentendo al movimento “5 stelle” un successo elettorale eclatante.

Si badi bene, questi sono semplicemente fatti da ricordare, non interpretazioni da condividere o meno. E a me sembrano così eloquenti che preferisco astenermi dal darne di mie (ne avrei tante), per non rischiare di inquinare con opinioni soggettive e dunque discutibili dei dati sulla cui sostanza nessuno può avanzare dubbi. Alla fine ripropongo la domanda: le larghe intese possono essere una buona soluzione per l’Italia? La risposta dei marziani già l’abbiamo vista. Ora non resta che sperare che ci pensino su, almeno per un momento, anche gli italiani.

 

Giuseppe Savagnone

 

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