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I mercanti nel tempio – Gv 2, 13-25

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Introduzione alla lectio divina su Gv 2, 13-25

08 marzo 2015 – III domenica del tempo di Quaresima (Anno B)

[13] Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. [14] Trovò nel tempio quelli che vendevano buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. [15] Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, [16] e ai venditori di colombe disse: “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”. [17] I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. [18]Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. [19]Rispose loro Gesù: “Distruggete questo santuario e in tre giorni lo farò risorgere”. [20] Gli dissero allora i Giudei: “Questo santuario è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. [21] Ma egli parlava del santuario del suo corpo. [22] Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. [23] Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. [24] Gesù però non si fidava di loro, perché conosceva tutti [25] e non aveva bisogno che qualcuno testimoniasse sull’uomo, egli infatti sapeva quello che c’è nell’uomo.

 

cecco_caravaggio.jpg              

Cecco del Caravaggio (Franceso Buonieri) Cacciata dei mercanti dal tempio 1610-15

 Berlino, Staatliche Museen

 

 

Il brano di questa settimana trova dei corrispettivi anche nei sinottici (cfr. Mt 21, 12-13; 26, 59-62; Mc 11, 15-17; 14, 55-58; Lc 19, 45-46), in cui però è collocato quando già la vita pubblica di Gesù è già di gran lunga avviata. Giovanni, invece, pone l’episodio all’inizio del suo Vangelo e subito dopo il segno delle nozze di Cana e ciò per mettere in evidenza già in apertura come la missione di Gesù sia annunciare “il tempio nuovo che è lui stesso nella sua umanità” (Léon Dufour, Lettura dell’evangelo secondo Giovanni, p. 339).

Già la cornice spazio-temporale del brano è di per sé significativa: il tempo è quello di Pasqua, festa importante per il popolo di Israele in cui si ricordava la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto; il luogo è il tempio di Gerusalemme, sede centrale del culto in cui ci si recava in pellegrinaggio proprio per celebrare la Pasqua. In questa collocazione spazio-temporale non qualunque si situa l’episodio narrato da Giovanni che, in un climax anche terminologico dal tempio come edificio (hierón) al santuario (naós), luogo della presenza di Dio, è rivelativo del sostanziale cambiamento apportato da Gesù nella relazione con Dio: da una dimensione legata al culto ad una relazione profonda.

La situazione trovata da Gesù nel tempio, in cui stavano i venditori di animali per i sacrifici e i cambiavalute, gli offre la possibilità di richiamare l’attenzione sul significato del tempio e, di conseguenza, sul tipo di religione praticata. Ciò che viene trovato è un “luogo di mercato” (cfr. Zc 14, 21) in cui la relazione con Dio si basa su un do ut des. Ecco il tipo di immagine di Dio che Gesù viene a destrutturare: una visione di Dio, e dunque una mentalità “religiosa”, basata su una logica sacrificale come mezzo per imbonirsi la divinità. Dietro queste pratiche cultuali, c’è infatti un’immagine di un Dio da doversi “comprare” attraverso i sacrifici per non incorrere nei suoi castighi.

Al di là di qualsiasi logica di misericordia e di gratuità c’è invece una relazione di tipo retributivo in cui per l’uomo la via da percorrere sembra essere quella dell’autosalvezza. Naturalmente, se nel tempio di Gerusalemme questo tipo di mentalità sacrificale trovava una sua realizzazione concreta in quanto luogo di mercato, anche oggi è possibile leggere in tanti atteggiamenti dei credenti una tendenza a non riuscire ad accettare pienamente un Dio che gratuitamente ci salva e che misericordiosamente ci perdona a prescindere dai nostri meriti o dalle nostre “buone azioni” con cui, ancora in una logica di tipo sacrificale, vogliamo guadagnarci la salvezza, dato che un Dio così buono sembra quasi far paura. Questa mentalità va smontata perché possa trovare spazio il volto del Padre che Gesù vuole comunicare e l’annuncio di un Regno che vede la vicinanza di Dio all’uomo. Ecco dunque che il percorso che viene delineato in questo brano parte da una destrutturazione delle nostre certezze basate sull’autosalvezza perché possa avvenire quell’affidamento a un Dio che in Gesù si è fatto vicino all’uomo.

Il gesto compiuto da Gesù dà luogo a due posizioni da parte di coloro che vi assistono: quella dei discepoli che lo interpretano grazie al ricordo delle Scritture (sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà Sal 69, 10) come un gesto messianico, proprio per il contesto in cui avviene, e quella dei Giudei che chiedono a Gesù un “segno” per trovare la giustificazione del suo operato. I giudei ripropongono un altro atteggiamento difficile da smontare: la necessità di un qualcosa di eclatante perché possano credere in Lui come nel Messia.

Differentemente dai discepoli che si affidano e che ricostruiscono sulla base delle Scritture ciò che non riescono a capire, i Giudei non comprendono e pongono condizioni per affidarsi. A questo punto la risposta di Gesù diventa spiazzante per i Giudei e i loro piani del discorso non si incontrano più: Gesù invita i Giudei a ripensare in un percorso di conversione la loro idea di Dio e la loro relazione con il Padre. In questa prospettiva sono chiamati a spostare da una sede fisica alla stessa persona di Gesù il luogo in cui si realizza la vicinanza con Dio, reso ancora più difficile da accettare in quanto Dio che si fa vicino all’uomo nella debolezza.

I Giudei rimangono sul piano del discorso legato all’edificio, Gesù parla del “santuario del suo corpo” ma neppure i discepoli comprendono cosa Gesù voglia dire nel momento in cui parla. Ciò avverrà soltanto dopo la resurrezione, quando si ricordarono di ciò che aveva detto e credettero. E’ la Resurrezione che diventa chiave ermeneutica dell’esistenza di Gesù e delle Scritture ed è a partire dalla Resurrezione che si fonda la fede che viene alimentata dal ricordo, grazie all’azione memoriale compiuta dallo Spirito.

 

Luisa Amenta

(Comunità Kairòs)

 

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