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I Chiaroscuri – Tramonto del maschio?

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savagnone-3-small-articoloE’ di questi giorni la pubblicazione di uno studio scientifico della Hebrew University di Gerusalemme, riguardante Nord America, Europa, Australia e Nuova Zelanda, da cui risulta che dal 1973 al 2011 la concentrazione dello sperma maschile (ovvero il numero di spermatozoi per millilitro) è calata del 52,4% e il valore assoluto (spermatozoi presenti nell’eiaculato) del 59,3%. In meno di quarant’anni il numero di spermatozoi dei maschi occidentali è dimezzato.

«Lo studio israeliano conferma un dato che sospettavamo — dice Andrea Salonia, urologo e andrologo e direttore dell’Urological Research Institute dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano —. Finora conoscevamo i dati relativi ai Paesi scandinavi, dove i registri sulla salute riproduttiva maschile descrivono un costante calo numerico di spermatozoi». Gli autori israeliani arrivano a dire che, se il calo di spermatozoi continuerà a questi ritmi, sarà a rischio la stessa vita umana sulla Terra.

Il fenomeno riguarda anche il nostro Paese. «In Italia sette uomini su cento sono infertili, il rischio che la popolazione non riesca più a riprodursi è realistico» commenta Salonia. «Non sappiamo quali sono le cause del fenomeno» – dice Paolo Emanuele Levi-Setti, direttore dell’Humanitas Fertility Center di Milano – «anche se abbiamo dei sospetti, per esempio su alcuni inquinanti ambientali che possono avere un effetto negativo sugli ormoni maschili e sulla qualità oltre che sul numero degli spermatozoi».

Questo allarme riguardo alla progressiva impotentia generandi degli uomini occidentali non può non far riflettere sul contesto più ampio in cui questo problema si evidenzia e che manifesta abbastanza chiaramente un declino di quell’insieme di fattori non solo fisici, ma soprattutto psicologici e caratteriali che tradizionalmente venivano definiti “virilità”.

Sono ovviamente consapevole delle distorsioni maschiliste che questo termine ha rivestito per secoli e che, soprattutto nel Meridione, hanno dato luogo a una serie di drammatici equivoci riguardanti l’onore di un uomo. Ma il suo tramonto, nell’uso corrente, non è legato soltanto al felice superamento di quelle distorsioni e di quegli equivoci. C’è qualcosa di più profondo, che assume un significato epocale alla luce dell’affermazione del movimento femminista nei Paesi occidentali.

Perché questa affermazione, che ha cambiato radicalmente la concezione della donna, i suoi atteggiamenti e il suo ruolo nella società, non poteva non riflettersi sul modo in cui gli uomini vedono se stessi e si rapportano all’altro genere. Abituato da sempre a un predominio di genere, che prescindeva dalle qualità personali dei singoli e si fondava aprioristicamente sul possesso di alcune caratteristiche anatomiche, il maschio si è trovato, nel giro di pochi decenni, totalmente spiazzato dall’ascesa vertiginosa di donne sempre più capaci di rimettere in discussione il suo primato nel campo degli studi e del lavoro, ma anche in quello della vita sessuale ed affettiva.

Forse andrebbe cercato qui il nodo più profondo della tragedia dei femminicidi che, ormai con cadenza spaventosamente ravvicinata, scandiscono la cronaca nera dei giornali e delle televisioni. Alla base, nella maggior parte dei casi, c’è un disperato tentativo dell’uomo di riaffermare il proprio potere su una compagna che rivendica il proprio diritto a non essere solo un oggetto, ma una persona, libera come tale di fare le sue scelte. Se questa lettura è corretta, i crimini in questione sono anch’essi il segno di una impotenza, che si manifesta non nella incapacità di generare, ma in quella di accettare e di vivere la propria virilità in un mutato contesto relazionale.

Perché l’emancipazione delle donne non dovrebbe, di per sé, minacciare l’identità maschile, anzi potrebbe costituire un suo approfondimento, liberandola dagli stereotipi quasi macchiettistici che si accompagnavano all’immagine del “maschio”. La lotta multidecennale delle femministe contro una civiltà fallo-logo-centrica fondata sulla logica del dominio (nei confronti delle donne, ma anche della natura), su una interpretazione riduttiva della razionalità, su un individualismo che privilegia il successo rispetto alle relazioni umane, di per sé non è stata solo una rivendicazione unilaterale da parte di un genere contro l’altro, bensì un prezioso servizio ad entrambi.

Breaking-Down-the-Shame-of-Male-Depression-RM-722x406Se mai sono le sue involuzioni che, tradendone l’esigenza di fondo, hanno a volte fatto sì che, invece di aiutare gli uomini a vivere in modo più autentico la loro virilità e le donne la loro femminilità, in un contesto di reciprocità e di pari dignità, questa lotta si sia risolta talora in un indebolimento di entrambe, dando luogo a donne sempre più “maschilizzate” (nel senso peggiore) e a uomini sempre più effeminati (ancora una volta, nel senso peggiore). Da qui il modello sempre più diffuso di una “donna in carriera”, che insegue il successo sopra ogni altro valore, e di un uomo sempre più fragile, irresoluto, smarrito e – come logica conseguenza – violento. Di un uomo che, come apprendiamo dalla studio israeliano, anche a livello biologico perde terreno.

Si badi bene: come la vittoria delle donne non avrebbe dovuto essere una sconfitta degli uomini, ma la crescita di una relazione che avrebbe potuto arricchire entrambi, così il declino dell’uomo non è una vittoria perle donne, che sono le prime, oggi, a risentire e a soffrire, nella prospettiva di una vita di coppia, del vuoto di virilità che colpisce l’altro genere.

Chiaramente, sono i risvolti negativi di un processo che in sé, oltre ad essere necessario, ha costituito un progresso fondamentale rispetto al passato. Ma nella storia degli esseri umani i progressi sono di solito inscindibilmente legati a rischi e spinte involutive. In un tempo in cui si parla molto, giustamente, dei passi ancora da fare per riconoscere alle donne i loro diritti, forse sarebbe il caso di tenere presente che tra questi c’è anche quello ad avere di fronte degli uomini che siano tali.

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