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Green pass, vaccinazioni e altro: le responsabilità dei cittadini e quelle delle istituzioni

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A che punto siamo con la pandemia.

Sembra che la fine della pandemia sia ancora lontana, malgrado un anno e mezzo di sofferenza e appelli alla responsabilità.

Lo Stato non ha saputo far di meglio che puntare tutto sulla vaccinazione di massa, puntellata da azioni strategiche come il Green Pass e da appelli alla responsabilità individuale. Ma una buona fetta della popolazione resta recalcitrante: una parte di essi, anzi, ritiene che vaccinarsi – per tutte le fasce di popolazione ‘non vulnerabile’ – non sia una scelta necessariamente oculata dal punto di vista pratico e dunque che non si tratti affatto di una ‘responsabilità’.

Se ciò è indubbio dal punto di vista legale, bisogna capire come stanno le cose dal punto di vista ‘morale’ prima di esaminare più da vicino la questione Green Pass e e di chiedersi se, più in generale, le istituzioni – che pure fanno una continua paternale alla popolazione – stiano facendosi effettivamente carico di quelle responsabilità che sarebbero di loro esclusiva pertinenza.

Andando al dunque: esiste una responsabilità morale a vaccinarsi, nelle circostanze attuali?

Per tentare una risposta si può analizzare la questione da due punti di vista: quello strettamente personale e la ricaduta sul prossimo. È un dovere vaccinarsi per provare a risparmiare a sé stessi il rischio di sviluppare la malattia in forma grave? In breve, finché i dati non ci diranno che l’attuale vaccino presenta un rischio di effetti collaterali piuttosto significativo, la risposta è sì: perché così si contribuisce a tenere le terapie intensive vuote. Chiaramente questa considerazione ha una portata differente a seconda di quanto si è ‘fragili’ o esposti per età a rischi seri legati al covid-19.

Vaccinarsi è un dovere anche per ‘proteggere gli altri’?
Anche qui, stando ai dati che possediamo sembra che vaccinarsi sia la scelta migliore: il nodo centrale in questo caso ovviamente ha a che fare con la contagiosità dei vaccinati, specialmente nel caso della variante Delta che si appresta a diventare dominante. C’è ancora molto da capire sulla questione, ma sembra che i vaccinati possano effettivamente trasmettere di meno il virus, o quantomeno essere contagiosi per un periodo di tempo molto più ridotto (vedasi qui e qui).

Come forse è già intuibile da quanto ho scritto finora, secondo la mia impostazione filosofica quello che si qualifica come una ‘responsabilità morale’ dipende strettamente dalle conseguenze prevedibili di una nostra scelta possibile: ma tale previsione può mutare con l’accrescersi della nostra conoscenza ed il variare delle circostanze. Capiremo con certezza quanto vaccinarci protegga gli altri dalla variante delta solo col passare del tempo. Quanto sembra ragionevolmente valido e quindi ‘giusto’ oggi può, dunque, rivelarsi inutile o controproducente tra due settimane.

Come persuadere la massa dei ‘perplessi’ a compiere quella che attualmente sembra l’opzione più ragionevole, ossia vaccinarsi? Questa è tutt’altra questione.

E qui iniziamo a parlare delle responsabilità e delle scelte delle istituzioni. Un buon punto di partenza sarebbe quello di non sparare pallonate, di non nascondere eventuali ‘dati scomodi’ e di non gonfiare a sproposito le armi della paura: da questo punto di vista i mezzi d’informazione (soprattutto stranieri) e la divulgazione scientifica stanno facendo un lavoro tutto sommato abbastanza buono, decisamente meno buone invece le prese di posizione pubbliche dei nostri politici, incluse quelle del nostro podestà-premier. Si dirà che in tempo d’emergenza tutto vale, pur di salvare vite: cosa purtroppo falsa anche da un punto di vista strettamente pragmatico. La crisi di fiducia verso i vaccini è infatti una crisi di fiducia verso le autorità e verso i ‘controllori’ dell’operato delle aziende private, case farmaceutiche incluse: da una maggiore competenza, trasparenza e accuratezza dell’informazione da parte delle autorità la campagna pro-vax avrebbe, nel medio termine, solo da guadagnare. Non si tratta solo di mantenere il cosiddetto moral high ground: se il mio premier mi racconta bufale, se lo Stato e l’Europa si accollano contratti in cui le case farmaceutiche fanno la ‘parte del leone’, se le autorità del caso promettono assoluta sicurezza e invece vengono immediatamente fuori effetti collaterali gravi nei farmaci che propongo, a che titolo e con quale autorevolezza poi le medesime istituzioni possono chiedermi di fidarmi di loro anziché di UniversitàDellaStrada78 e dei suoi video complottisti su Youtube?

Alla necessità di ‘spingere’ i perplessi a vaccinarsi è, naturalmente, legata anche la scelta di introdurre il Green Pass.

Nel caso di questo ‘strumento’ legislativo le questioni si complicano ancora di più. A prima vista sembra essere un mezzo non solo efficace (di fatto introduce forti restrizioni, ed è prevedibile che fatti salvi i ‘no vax ideologici’ molti degli indecisi inizieranno a cedere, specie in autunno) ma anche lecito in quanto prevede possibilità alternative alla vaccinazione ed evita, dunque, di tradursi in un vero e proprio ricatto – purché gli strumenti di screening gratuito vengano offerte a tutti ed anzi potenziate.

In alcune regioni – come la Sicilia, da cui scrivo – e per alcuni settori (gli insegnanti e gli impiegati nella scuola, ad esempio) la tendenza sembra però esattamente opposta: tamponi gratuiti solo ai vaccinati, con conseguenze prevedibilmente disastrose dal punto di vista non solo etico, ma anche sanitario: il tracciamento e lo screening non possono che risultarne ulteriormente compromessi.

Tuttavia a ben vedere esistono ragioni di perplessità. Tralascerò a piè pari la questione Agamben-Cacciari sì/ Agamben-Cacciari no (se ne è già parlato ampiamente anche su queste pagine) e mi soffermerò direttamente solo su alcuni punti.

Primo: bisogna dire chiaramente che credere di essere in un luogo ‘sicuro’ quando si è tra vaccinati è un mito, con l’affermarsi della variante Delta. Si è visto che i vaccinati probabilmente contagiano meno e per meno tempo. Però può capitare che contagino. Lasciar credere alla signora Tina di Barrafranca, casalinga immunodepressa di sessant’anni e che magari si limita, fiduciosa, a dar credito ai telegiornali e ai pronunciamenti frettolosi e retorici dei nostri politici, di essere ‘al sicuro’ alla cena al ristorante con i nipoti “perché sono tutti vaccinati” è pericoloso, pericolosissimo per lei e per la ‘tenuta’ dell’intera campagna pro-vax e pro-‘responsabilità collettiva’. Dire alla gente che serve a far stare ‘al sicuro’ chi accede ai locali al chiuso è una bufala né più né meno (ed è peraltro una bufala potenzialmente killer).

Un altro fattore che rende il green pass uno strumento potenzialmente ingiusto è la totale deresponsabilizzazione dello Stato nel caso di effetti collaterali da vaccini. Ad oggi, infatti, lo Stato non prevede alcun risarcimento per eventuali effetti collaterali da vaccini anti-Covid, non trattandosi di vaccinazioni obbligatorie (vedasi qui e qui). È giusto dunque uno strumento che vuole ‘responsabilizzare’ i cittadini a fare ‘il proprio dovere’ nel combattere la pandemia e al contempo esonera totalmente lo Stato dal prendersi le proprie, di responsabilità? Con che legittimità uno Stato ‘spinge’ i cittadini (pena pesanti restrizioni, come si diceva) ad effettuare un trattamento sanitario di cui però si lava completamente le mani nel caso di esiti infausti?

Infine, perché e secondo quale criterio una Messa non è un assembramento tale da richiedere l’esibizione di un green pass, ma un museo, una proiezione cinematografica, ecc. ecc., invece sì? Si deve ammettere francamente che alcune scelte governative sono, ad oggi, veramente difficili da difendere dalle critiche degli scettici.

Allora il green pass è da bocciare in toto?

Per rispondere occorre ritornare a quanto dicevo all’inizio: dati alla mano, ad oggi sembra che vaccinarsi possa servire a ridurre il rischio del contagio, anche se non a eliminarlo. Di per sé dunque introdurre alcune restrizioni per chi scegliesse di non vaccinarsi – fermo restando che si può sempre fare un tampone per accertarsi della propria ‘non pericolosità’ – non è sbagliato né eticamente, né dal punto di vista pratico.

Tutto sta nel come si sceglie di impostare un simile provvedimento. Sembra che ad oggi questo green pass sia proprio stato fatto “all’italiana”: per renderlo invece uno strumento equo, e certamente più persuasivo nei confronti degli indecisi, lo Stato dovrebbe iniziare ad assumersi le proprie responsabilità e a farsi carico di eventuali, ed accertati, effetti collaterali gravi. Magari, se i cittadini vedessero che la collettività si preoccupa per loro, inizierebbero a preoccuparsi a loro volta della collettività. E chissà, forse, a fidarsi di più.

Tutto ciò costituirebbe però solo il primo passo. I fatti dimostrano che. in una situazione in cui moltissimi paesi non hanno quasi accesso ai vaccini, e con il diffondersi della variante Delta, non basta e non può bastare né il ricorso al green pass né vaccinare la maggioranza degli italiani per ‘uscire’ dalla pandemia. Le autorità che volessero davvero esser tali, dunque, non potrebbero più esimersi dal rendere efficienti e operative tutte quelle prassi che sarebbero state indispensabili già dodici mesi fa e che, malgrado il “Podestà rispettabile” e il “governo dei migliori”, ancora risultano ampiamente carenti (tracciamento, potenziamento dei trasporti, qualcuno ha detto “piano scuola”?, ecc ecc). Di più, dovrebbero inserire tutto ciò in un piano di medio termine plausibile, efficace e che non ci porti dritti dritti in una distopia in cui la salute della maggioranza dei cittadini e la tenuta della sanità pubblica dipende, a tempo indeterminato, esclusivamente e in toto dai richiami annuali di un vaccino di proprietà degli azionisti di una o più multinazionali del farmaco.

Ma di questo torneremo a parlare.

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