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Figure della follia nel Rinascimento

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Questa rubrica vuole porre all’attenzione dei lettori di Tuttavia la capacità della poesia e delle arti figurative di rappresentare l’immaginario delle varie epoche storiche e delle stagioni culturali che si sono succedute nel nostro Occidente a partire dal Basso Medioevo, cioè da quando si è andata costruendo la civiltà delle città e del ceto medio che in esse si è andato affermando. Abbiamo definito pittura e poesia “linguaggi dell’anima” per la loro capacità di coinvolgere in modo integrale chi ne fruisce, ovvero in modo da mobilitare, oltre alla dimensione razionale del comprendere, anche gli aspetti affettivi, emotivi e volitivi dell’esistenza.

A tale scopo saranno sottoposti quindicinalmente dei testi poetici e iconici paralleli, reinterpretati quali “oggetti culturali” per la loro capacità di esemplificare l’immaginario di un’epoca. Alla poesia e alla pittura potrà affiancarsi anche la musica, quando gli autori riterranno di proporre qualche fonte musicale, coeva oppure a noi contemporanea, capace di evocare efficacemente lo spirito dell’epoca trattata. Il parallelismo potrà anche strizzare l’occhio agli insegnanti – quali sono i due autori – che volessero istituire nessi più stringenti tra i vari linguaggi, nella convinzione che i ragazzi amano le contaminazioni e soprattutto si lasciano coinvolgere volentieri nello spazio della creatività e dell’interpretazione.


Il mostruoso tra letteratura e arte

Poesia e pittura testimoniano, attraverso l’esperienza poetica di Ariosto e l’opera pittorica di Dosso Dossi, la presenza, nell’immaginario rinascimentale, del tema della follia e della mostruosità. Qui offriamo alcuni passi emblematici dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e la Ninfa inseguita da un satiro di Dosso Dossi.

Ludovico ariosto: La follia di orlando e il volto oscuro

della ragione rinascimentale

(Dall’Orlando Furioso, 3^ ediz.. 1532)

L’ANNUNCIO DEL NARRATORE

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta mai in prosa né in rima
che per amor venne in furore e matto
d’uom che sì saggio era stimato prima;
[…].

(Of,  I, 2, vv.1-4)

L’EROE PERDE IL SENNO

Il quarto dì, da gran furor commosso
e maglie e piastre si stracciò di dosso

Qui riman l’elmo, e là riman lo scudo
Lontan gli arnesi, e più lontan l’usbergo
l’arme sue tutte, in somma vi concludo,
avean pel bosco differente albergo.
E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo

l’ispido ventre e tutto ‘l petto e ‘l tergo;
e cominciò la gran follia, sì orrenda,
che de la più non sarà mai ch’intenda.

(Of, XXIII, 132, vv. 7-8 – 133)

L’EROE RITROVA IL SENNO

Come chi da noioso e grave sonno,
ove o vedere abominevol forme
di mostri che non son, né ch’esser ponno,
o gli par cosa far strana et enorme,
ancor si maraviglia, poi che donno
è fatto de’ suoi sensi, e che non dorme;
così, poi che fu Orlando d’error tratto,
restò maraviglioso e stupefatto.

(Of, XXXIX, 58)

L’armonia era uno dei miti del Rinascimento. E piaceva immaginare l’uomo, a leggere gli scritti dell’epoca, quale soggetto partecipe di divinità e animalità. È ricorrente in quest’epoca la celebrazione della Ragione quale fattore di equilibrio, misura e compostezza, virtù che danno all’uomo quella dignitas che lo eleva al di sopra delle altre creature viventi. L’ambiente cortigiano che frequentava il nostro Ludovico Ariosto si nutriva di questi miti, e la pubblicazione di un poema cavalleresco capace di rievocare i valori cortesi e feudali poteva apparire come un omaggio alla nobiltà di sentire dell’epoca rinascimentale.

Eppure già il titolo getta un’ombra su questa visione. Il paladino della fede cristiana Orlando è caratterizzato da subito come colui che perderà il senno. Egli è il Furioso.

I versi che riportiamo sopra sono emblematici del modo in cui il poeta ferrarese concepisce il suo personaggio e lo stesso male che lo assale. Già fin dal primo canto, infatti, Ariosto annuncia il paradosso del suo capolavoro: come l’eroe dell’epica cavalleresca sia passato dalla saggezza alla pazzia, e come questo sia avvenuto “per amor”. L’amore: forza cieca ed incontenibile che farà crollare ogni mito legato all’equilibrio, all’armonia e al controllo delle pulsioni e farà entrare i lettori nello spazio oscuro e inquietante dell’animalità infernale.

Nel secondo dei brani entra in azione la follia: l’eroe si toglie i segni della sua dignità sociale, si denuda, e butta via tutto quel che lo costituisce esteriormente quale difensore della fede cristiana. La gelosia per Angelica eccede ogni possibilità di contenimento e produce la violenza più bruta che si possa immaginare, verso il regno vegetale (Orlando sradica alberi) e verso il mondo animale e umano (Orlando fa strage di animali e di umani). La furia incontrollabile dell’eroe resta osservata con sereno distacco, anche latamente ironico, dal narratore, che non cessa mai di sottolineare come tutto quel che sta accadendo sovverta ogni plausibile orizzonte di attesa dei lettori.

E il terzo e ultimo brano proposto fa provare questa meraviglia anche allo stesso eroe, che svegliandosi dal suo sonno profondo non riesce a credere ai suoi occhi davanti al prodotto della sua furia: restò maraviglioso e stupefatto.

È la meraviglia che sconvolge ogni visione dell’umano come essere razionale. La stessa meraviglia che percorrerà il secolo di là da venire, il Seicento, con le sue poetiche tutte volte a stupire. Ariosto precorre la modernità, con la crisi che seguirà al cadere dei miti rinascimentali di misura e decoro, di fronte all’imbarbarirsi delle vicende storiche, di fronte alle crudeltà perpetrate dall’uomo sull’uomo. Ariosto vede il profilarsi inquietante del lato oscuro dell’umano. Che segnerà di sé in vari modi i secoli a venire, fino al suo trionfo definitivo nelle mattanze del primo Novecento.

Dal web: La follia nell’Orlando Furioso

Dosso Dossi: parafrasi visiva della follia di Orlando

(Ninfa inseguita da un satiro, 1516ca.)

Il Cinquecento fu in Italia un secolo di contrasti: la Riforma protestante, la Controriforma cattolica, la perdita dell’equilibrio politico, le Grandi Guerre dopo la morte di Lorenzo. Coerentemente con questo clima, e parallelamente alla maturazione degli ideali estetici rinascimentali ad opera di Raffaello e Michelangelo, prendono vita esperienze artistiche di segno opposto, di rottura con i canoni classici, che sono però comprensibili solo se collegate all’acquisizione dei canoni stessi. Una sorta di eccentricità di alcuni artisti, che ha spinto la critica moderna a definire una corrente chiamata “sperimentalismo anticlassico”, caratterizzata dal rifiuto di concetti come armonia, equilibrio e simmetria, dalla marcata espressività, e dalle deformazioni anatomiche.

Secondo questo punto di vista, gli sperimentatori anticlassici dei primi decenni del Cinquecento, Amico Aspertini e Dosso Dossi in Emilia, Pontormo, Rosso Fiorentino e Domenico Beccafiumi in Toscana, sono, nei primi decenni del secolo, impegnati a contestare gli schemi classici seguendo influenze nordiche, pur restando subordinati ai modelli classici stessi, portati all’esasperazione. L’Orlando Furioso è un poema dalla grande fortuna visiva, perché la sua figuratività è vivacissima. Per la sua potenza Galileo ha scritto “Sfuma e tondeggia l’Ariosto”, esaltando l’abilità del poeta, definito dai contemporanei “poeta che colorisce”, nel dare vita alle immagini letterarie come se fossero dipinte, e giustificando un paragone con Tiziano.

L’interesse dell’Ariosto per le arti è determinato dalla sua attività presso Alfonso I d’Este, che comportava un rapporto stretto con i pittori allora a corte. Infatti il primo dipinto ispirato al poema è di Dosso Dossi, pittore di corte del duca Alfonso I d’Este, che aveva ascoltato le prime letture del manoscritto del Furioso di fronte al pubblico colto ed esclusivo della corte di Ferrara. Dopo l’ascolto dei versi, la decisione di Dosso è quella di modificare in corso d’opera l’Apollo e Dafne che stava dipingendo, per trasformarlo in un Orlando che come una scimmia impazzita insegue Angelica. Dosso Dossi non è un pittore narrativo. Egli piuttosto offre una parafrasi visiva della follia di Orlando, che evoca e interpreta liberamente un’atmosfera senza illustrare in modo didascalico il fatto; sostituisce dettagli caratterizzanti, utili a riconoscere il tema iconografico, con altri attributi, tanto che è impossibile identificare con certezza i due personaggi. Trasforma i protagonisti, come ha osservato Mauro Lucco, “con un’abilità che ha del magico, dello stregonesco”, ed è per questo tocco magico, capace di cogliere lo spirito dell’intera vicenda, che può essere considerato una sorta di Alter ego di Ariosto in pittura.

Da questo slancio si svilupperà un filone iconografico che renderà l’Orlando Furioso determinante nella storia del libro illustrato, nonostante nelle intenzioni di Ariosto ci fosse un libro senza illustrazioni, nell’intento di discostarsi dai “libri di battaglia” che gli editori, per accattivarsi il pubblico, presentavano con xilografie dal carattere cavalleresco, prive di valore artistico, e preferendo avvicinarsi invece ai classici latini, presentati senza immagini.

Innegabile è il legame tra l’Orlando Furioso e l’Opera dei Pupi, Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità dal 2008, su cui si propone il seguente articolo.

IN MUSICA: 750.000 anni fa, l’amore? del Banco del Mutuo Soccorso

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