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Etica e politica nella guerra in Ucraina

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La politica non può essere separata dalla morale

Quando, il 24 febbraio scorso, le truppe russe invasero senza preavviso l’Ucraina, con l’evidente intento di soffocare la libertà di un popolo che in passato troppe volte era stato umiliato e schiacciato dai potenti di turno del Cremlino, un giusto moto di indignazione si sollevò da parte della grande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale.

Veniva smentita clamorosamente la tesi di Machiavelli, secondo cui la politica ha proprie regole, fondate non sul criterio del bene e del male, ma su quello dell’efficacia e dell’inefficacia, che la rendono indipendente dall’etica. In realtà l’unità dell’essere umano rende impossibile questa separazione. La guerra in Ucraina ne è stata una prova. Non possiamo valutarla soltanto nei termini asettici della realpolitik, mettendo tra parentesi la questione morale.

Ne sono una conferma le nostre reazioni di fronte alle atroci immagini di civili uccisi a sangue freddo a Bucha, che hanno contribuito a evidenziare la disumanità di questa aggressione. Da qui l’approvazione che dai più è stata data, fin dall’inizio, all’invio di armi che consentissero al coraggioso popolo ucraino, mobilitato in tutti i suoi strati sociali, di difendere la propria terra. Al di là di ogni logica di successo, questa scelta si è imposta perché è apparsa giusta.

Pacifismo e pace

Già in questa fase, per la verità, si erano levate delle voci di dissenso, in nome di un pacifismo che avrebbe preferito la resa incondizionata degli aggrediti ai sacrifici e ai lutti provocati dalla loro resistenza. Anche questa, peraltro, era una valutazione morale del problema politico. Solo che nasceva da una concezione molto riduttiva della pace, identificata automaticamente con l’assenza di guerra.

In realtà, proprio in una prospettiva etica, essa è molto di più. Lo spiegava papa Francesco durante l’Angelus del 4 gennaio 2015: «La pace non è soltanto assenza di guerra, ma una condizione generale nella quale la persona umana è in armonia con sé stessa, in armonia con la natura e in armonia con gli altri». Echeggia in queste parole la definizione che Agostino aveva dato del concetto di pace come «tranquillità dell’ordine». Dove “ordine” implica innanzi tutto libertà e giustizia. Senza di esse, lo si ridurrebbe a quello espresso nella famosa frase dal ministro francese Sebastiani, nel 1831, dopo la spietata repressione russa della rivolta polacca: «L’ordine regna a Varsavia».

Per questo, nel messaggio per la Giornata della pace del 1984, Giovanni Paolo II distingueva il significato di “pace” da quello di “pacifismo”: l’uomo di pace, osservava il pontefice, «ha il coraggio di difendere gli altri che soffrono e rifiuta di capitolare davanti all’ingiustizia, di compromettersi con essa; e, per quanto ciò sembri paradossale, anche colui che vuole profondamente la pace rigetta ogni pacifismo che equivalga a debolezza o a semplice mantenimento della tranquillità. In effetti, quelli che sono tentati di imporre il loro dominio incontreranno sempre la resistenza di uomini e donne intelligenti e coraggiosi, pronti a difendere la libertà per promuovere la giustizia».

Un pacifismo che rivendichi la ricerca della pace ad ogni costo dimentica che ci sono dei costi incompatibili con l’idea stessa di pace. E che vi è una legittima difesa che può richiedere il ricorso alla forza per contrastare la violenza.

La debolezza delle obiezioni utilitaristiche

La contrarietà alla mobilitazione in favore degli ucraini, però, oltre alle motivazioni etiche, ne ha avute anche altre, di natura molto più utilitaristica. Così, da parte di alcuni, si è insistito sui danni e sui disagi che le sanzioni avrebbero provocato alla nostra economia e al nostro tenore di vita. Si sono evocati scenari in cui il venir meno delle forniture di gas e di petrolio russi ci avrebbero costretto a soffrire il freddo d’inverno e il caldo d’estate.

Si è sottolineata la diversità d’interessi tra noi italiani e gli Stati Uniti. Si è parlato di una “guerra per procura”, combattuta dagli americani sulla pelle degli europei. A queste argomentazioni si è risposto, correttamente, che la difesa della libertà di un popolo vale più di tutti i vantaggi materiali a cui dovremo rinunziare e che, pur essendovi delle diversità d’interessi, vi è tuttavia con gli Stati Uniti una convergenza di fondo su valori essenziali che in questo momento la Russia sta calpestando.

L’invasione russa è moralmente legittima?

Più seria e più inquietante è stata e rimane un’obiezione che nasce da una più ampia visione geopolitica del conflitto in corso e che collega l’operazione militare di Putin all’espansionismo della Nato verso est in questi ultimi anni. Si sottolinea che, dopo la caduta del muro di Berlino, era stata data assicurazione verbale al presidente russo Gorbaciov che la Nato non avrebbe approfittato delle difficoltà della Russia per ulteriori espansioni, che invece ci sono state. A tal proposito è significativa la testimonianza diretta di Jack Matlock, ambasciatore americano a Mosca dal 1987 al 1991 in un’intervista rilasciata al «Corriere della Sera»  del 15 luglio 2007 e citata nel libro dell’ex ambasciatore Sergio Romano Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018).

«Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca», diceva in essa Matlock, «noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola». Così, nel 1999 Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca divennero a tutti gli effetti membri della Nato. Nel 2004 fu la volta di quattro Paesi ex membri del Patto di Varsavia: Romania, Bulgaria, Slovacchia e Slovenia, nonché di tre ex repubbliche sovietiche, Lettonia, Estonia e Lituania.  Nel 2009 aderirono Croazia e Albania. Nel 2017 il Montenegro. Nel 2020 la Macedonia del Nord. 

Questo quadro, si osserva, non poteva non allarmare la Russia e sollevare da parte sua forti resistenze all’ingresso nella Nato di un’altra ex repubblica sovietica, appunto l’Ucraina. Basta guardare la carta dell’Europa orientale per rendersi conto che quello che si sta verificando è un accerchiamento della Russia da parte dell’America e dei suoi alleati. Che tra l’altro mirerebbero, secondo questa lettura a imporre la loro cultura decadente e immorale. Da qui la legittimità etica dell’intervento del Cremlino e il pieno sostegno dato ad esso dalla Chiesa ortodossa, nella persona del patriarca di Mosca.

Per una valutazione critica complessiva

Neppure questa obiezione all’appoggio dato all’Ucraina dall’Occidente appare però convincente. Sono molti gli indizi che fanno pensare a un preciso disegno di Putin, volto a ricostituire i confini del territorio, o almeno dell’egemonia, dell’ex Unione Sovietica. Significative, a questo proposito, le sue dichiarazioni, all’inizio della guerra, sul fatto che russi e ucraini sono un popolo solo (ampiamente contraddette, poi, dalla strenua resistenza ucraina).

Ma anche a prescindere da questo, la via da percorrere avrebbe dovuto essere quella del dialogo, non un’invasione ai danni di un Paese libero, devastando sistematicamente i centri abitati e causando l’esodo forzato di cinque milioni di persone. Non è certo così che si difendono i valori morali che si dice di voler difendere. 

È vero, però, che il quadro offerto dall’espansione della Nato avrebbe potuto e dovuto essere, per l’America e per i suoi alleati, un motivo di riflessione e di negoziato, come lo era stato, nel 1962, l’invio di missili a Cuba, con il braccio di ferro determinatosi allora tra Russia e Stati Uniti e risolto con un accordo che segnò un rasserenamento dei rapporti tra le due potenze. Invece sia il presidente americano che quello ucraino, pur essendo al corrente dell’imminente attacco di Putin, non hanno fatto nulla per cercare di rassicurarlo su questo punto. Abbiamo già notato che probabilmente questo non sarebbe servito ad evitare l’invasione.

Ma è un dato di fatto che il Paese leader della Nato non ha messo, per evitare la guerra, neppure un briciolo dell’impegno che sta profondendo invece nel sostenerla. Perché è stato evidente l’atteggiamento di aggressività di Biden (con dichiarazioni così estreme da mettere in imbarazzo perfino i suoi collaboratori), in piena sintonia col presidente ucraino. Putin non ha voluto trattare, ma loro neppure. Così, l’iniziale intento di aiutare la vittima a difendersi dal suo aggressore, per arrivare a una onorevole pace, si è sempre più esplicitamente trasformato in quello di vincere la guerra.

E in questa direzione è andata anche l’escalation nella fornitura di armamenti sempre più pesanti all’esercito ucraino, incitandolo – come in questi giorni ha fatto il governo inglese esplicitamente – ad usarli anche per attaccare la Russia sul suo territorio. Qui non è più in gioco la difesa dell’Ucraina, ma uno scontro tra potenze che può terminare solo con la sconfitta e l’umiliazione del nemico. C’è da chiedersi se, a questo punto, sia ancora l’etica della pace a ispirare la politica, o non sia quest’ultima a servirsi dell’etica, sbandierandone i princìpi per i propri scopi. Machiavelli, allora, avrebbe vinto… 

Con effetti che potrebbero essere devastanti anche dal punto di vista strettamente utilitaristico. Perché è vero che la morale è una componente essenziale della politica. La menzogna e la prepotenza non portano fortuna a chi ricorre ad esse. Ne è una prova l’andamento disastroso, anche in un’ottica di costi e benefici, dell’assurda aggressione di Putin.

Ma questo deve mettere in guardia tutti. Sappiamo cosa è accaduto in Iraq all’indomani della schiacciante vittoria americana (allora erano loro gli invasori) e della trionfale dichiarazione del presidente George Bush Jr: «Missione compiuta». Un caos, da cui a stento gli Stati Uniti, dopo avere provocato quella catastrofe, sono riusciti a svincolarsi. La disfatta della Russia sarebbe molto più pericolosa. Per tutti.

La verità è che oggi, ormai, da una guerra non possono uscire vincitori, ma solo perdenti. Putin sarà costretto a rendersene conto. Ma anche l’America e i suoi alleati farebbero bene a ricordarlo.

 

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