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Dove sono finiti i cattolici italiani?

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di Giuseppe Savagnone 

 

Devo dirlo, anche se so che ci sarà chi non è d’accordo con me. Anzi, spero di essere subissato di documentate proteste e di smentite che, prove alla mano, smentiscano la mia affermazione: mi sembra che i cattolici, in questo delicatissimo momento storico del nostro Paese, siano spariti dalla scena pubblica.

Non parlo dei tanti laici e laiche, religiosi e religiose, preti, che lavorano nell’ombra, con estremo spirito di sacrificio, al servizio dei più poveri e degli emarginati. Non parlo neppure di quei vescovi che – anche se meno numerosi, in percentuale – sanno trovare stili nuovi di pastoralità, senza la pretesa di cancellare la tradizione, ma  consapevoli che essa deve incessantemente ripensare il passato alla luce del presente e nell’apertura al futuro. O forse parlo anche di loro, nella misura in cui il loro generoso impegno umano ed ecclesiale  non riesce – o non prova neppure – a sfociare nella sfera politica. Sicuramente parlo di tanti cattolici che, più o meno praticanti, più o meno fedeli alla morale proposta dalla Chiesa, si definiscono però credenti e che sono, al contempo, cittadini. Perché è la loro voce che, estremamente fievole e in larga misura strumentalizzata negli anni d’oro della Seconda Repubblica, sembra del tutto svanita nel tempo della sua agonia.

E sì che di questa voce ci sarebbe un estremo bisogno, in un momento che vede il discredito delle forze politiche sia di destra che di sinistra – anche per il disastroso bilancio della stagione che le ha viste protagoniste – e l’emergere di alternative ancora peggiori che a gran voce pretendono di essere le sole plausibili. Perché un’alternativa vera non può certo venire da un chiassoso quanto velleitario populismo. Ma neppure si può continuare a puntare su una classe politica squalificata sul piano etico, prima ancora che gestionale, e che comunque anche su quest’ultimo ha mostrato la sua inefficienza nel passato e continua a  manifestala nel presente.

Ciò che manca all’uno e all’altra, però, non è solo la serietà (è questa la prima parola che viene in mente, alla luce dell’estenuante controversia sull’agibilità politica di un personaggio condannato per frode fiscale e per aver organizzato un giro di prostituzione, coinvolgendo anche minorenni); non è solo  il senso di responsabilità (il suddetto dibattito si svolge mentre il Paese sta andando a picco); non è solo  la dedizione al bene comune  (la “casta” non riesce neppure ad averne quanto basta per ridursi – a tutti i livelli di governo e di sottogoverno – i sovrabbondanti compensi).

Sì, c’è qualcos’altro che è mancato e che continua a mancare, e sono le idee. I vertici di pensiero toccati nell’attuale dibattito politico riguardano la riforma elettorale (per carità, senza volerla veramente fare!), il problema delle tasse (sempre sulla base della premessa che bisogna fingere di non vedere gli evasori),  la recente distinzione tra berlusconiani e diversamente berlusconiani (questione senza dubbio appassionante, ma non risolutiva per il problema del lavoro). I mezzi, insomma, non i fini. E, spesso, le diatribe spicciole, non la visione di fondo della nostra convivenza civile e del nostro sistema economico.

Ora, è proprio sui fini,  è sulla visione di fondo, che i cattolici avrebbero un patrimonio di convinzioni da far valere, nell’estenuarsi dei meccanismi istituzionali  e nel fallimento del sistema neocapitalistico, per proporre strade nuove. Non formando un altro partito politico – ne abbiamo abbastanza di quelli che già ci sono – , ma aprendo un dibattito che coinvolga l’opinione pubblica e che può profondamente influenzare le stesse forze sia di governo che di opposizione. Nella dottrina sociale della Chiesa, che dovrebbe accomunarli culturalmente, al di là delle legittime differenze di parte, essi hanno di che contribuire, in modo decisivo, a un rinnovamento di orizzonti, che non può non comportare anche quello del personale politico.

Perché, allora, nessuno parla? Sono mesi che la sola voce significativa, nella Chiesa,   sembra essere rimasta quella di papa Francesco. Dov’è finita la CEI (per quanto riguarda il ruolo dottrinale)? Dove sono finiti i movimenti e le associazioni che si erano riuniti a Todi (per il lato operativo)? Anche se contiene innumerevoli spunti di ispirazione, non può certo – né deve – essere il magistero del sommo Pontefice a indicare delle prospettive che segnino una svolta nel dibattito politico italiano. È ora che le comunità cristiane parlino, a tutti i livelli a cui questo è possibile, ognuno con la sue competenza e nei limiti, ma anche con la forza, della sua vocazione. È ora che noi cattolici ci ricordiamo di avere delle idee e le mettiamo in gioco, per svegliare questo Paese. Prima che sia troppo tardi.

 

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