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Chi ama la propria vita, la perde – Gv 12, 20-33

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Introduzione alla lectio divina su Gv 12, 20-33

22 marzo 2015 – V domenica del tempo di Quaresima (Anno B)

20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24 In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27 Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28 Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. 29 La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. 30 Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31 Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32 E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. 33 Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

                             

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    La voce dal cielo, James Tissot, 1886-94

  Brooklyn Museum, New York

 

Quasi a conferma della frase dei farisei: “tutto il mondo gli corre dietro” (Gv 12,19), tra i pellegrini saliti a Gerusalemme si trovano anche alcuni Greci, non-giudei, desiderosi di vedere Gesù. Non è semplice curiosità la loro, ma desiderio di conoscere e di credere. Non riusciranno a vederlo nell’immediato e non seguirà alcun colloquio, ma la loro richiesta diventa per Gesù un segno che la sua ora è giunta e un’occasione per spiegare e approfondire il senso della sua morte imminente.

È l’ultima fase della sua vita, la fase finale: il confronto con la morte, la sua morte. Nella sua esistenza ha incontrato, in diverse forme, tante morti, ma adesso il confronto è con la sua morte. Come viverla, cosa farne? Vivere la morte davanti a Dio, farne un atto, un evento di obbedienza alla volontà del Padre o tirarsi indietro? È l’ora della scelta decisiva. È l’ora della glorificazione del Figlio dell’uomo e la presenza dei Greci tra quelli che lo cercano prelude alla salvezza universale che scaturirà dalla sua morte in croce.

 

Apparentemente la domanda dei Greci viene ignorata, in realtà il discorso di Gesù va al cuore del problema. Egli rivela contemporaneamente se stesso e la via che il discepolo, e chiunque vorrà conoscerlo, dovrà percorrere nel seguirlo. Ai Greci che vogliono vederlo, viene detto indirettamente che lo potranno vedere soltanto quando sarà innalzato, quando attirerà tutti a sé. È sotto la croce che si può comprendere chi è Gesù e credere in lui. Gesù richiede al discepolo una fede che lo porti a seguirlo fin nello scandalo della croce e sappia riconoscere nell’Uomo sulla croce il Figlio di Dio.

Il cammino verso la glorificazione è reso più chiaro dall’immagine del chicco di frumento. Diversamente dai sinottici in cui il seme è la Parola di Dio, nel quarto vangelo il chicco di frumento è Cristo stesso e l’immagine intende illustrare il senso della sua morte. Con essa rivela il culmine e il significato ultimo della sua missione. Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito nel mondo perché il mondo avesse la vita per mezzo di lui (cf. Gv 3,16-17; 1Gv 4,9). Egli è la Vita per la salvezza del mondo ed è venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Ma perché nasca una nuova vita occorre che “il chicco di grano muoia”.  È il dinamismo intimo della vita. Solo morendo il chicco di grano può liberare tutta l’energia vitale che contiene e produrre il suo frutto. Per dare vita occorre dare la vita. È la logica di Dio che Gesù ha pienamente incarnato e reso visibile nella sua esistenza. Un Dio che in Gesù non è centrato su se stesso ma arriva alla rinuncia di sé per la salvezza degli uomini (cf. Fil 2,6-8) E questo avviene nella libertà e nell’amore. Il Figlio dell’uomo è come il chicco di frumento, che messo sotto terra muore, ma per questo porta molto frutto e diventa nutrimento, Pane di vita, per chiunque abbia fame.

Ed è sempre il Figlio dell’uomo colui che odiando, cioè non essendo attaccato alla propria vita in questo mondo, la offre per la salvezza di tutti. Così anche il discepolo è posto di fronte a una scelta: amare/odiare e perdere/conservare la propria vita. Il problema di fondo è individuare la priorità. Quanto è prioritario l’attaccamento alla propria vita rispetto alla sequela di Gesù? Il modo di intendere l’esistenza fa la differenza. Un’esistenza intesa come spazio privato, chiuso in se stesso, scivolerà via, si perderà come l’acqua che sfugge tra le mani. Una esistenza intesa, invece, come dono ricevuto da un Altro, da lasciare scorrere nella relazione con gli altri e nella relazione con Dio, accettando di morire ogni giorno a se stessi per servire e seguire Gesù, ecco che essa si conserverà, diventando vita eterna, vita in abbondanza. E la vita eterna non è altro che la comunione con Dio.

Non è un cammino semplice. E lo dimostrano le parole di Gesù di fronte alla sua morte: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora». In questo “Getsemani giovanneo”, nell’ora decisiva della sua vita, Gesù, vero uomo, mostra angoscia. La paura della morte, il vuoto, la solitudine abissale, neanche Gesù ne è esente. L’ora della morte diventa il momento del confronto decisivo con tutta la sua esistenza e l’adesione piena al Padre. In “quest’ora” tutta la sua vita si rivela e si riassume. Ma nel momento di maggiore debolezza, il suo sguardo continua ad essere rivolto al Padre e alla sua glorificazione. «Per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». E in questo abbandono alla volontà del Padre, decisione presa, come dirà la lettera agli Ebrei, con «forti grida e lacrime», Egli diventa «causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,9). Nella Pasqua di Gesù, la morte si trasforma misteriosamente in gloria. E la croce, luogo della debolezza e dell’annientamento, diventa paradossalmente luogo, trono della gloria, della presenza di Dio.

Non sarà diverso il percorso del cristiano. La strada del Figlio dell’uomo è anche la strada del discepolo. Seguire Gesù, stare dietro a lui, vuol dire assimilare l’ottica del chicco di grano, prendendo la strada della debolezza e del decentramento da sé. L’orizzonte è il Padre, al quale come Gesù si è invitati, superando le paure e le resistenze e facendo emergere il desiderio di relazione e comunione che ci abita, a consegnare la propria vita.

 

Giustina Tocco

(Comunità Kairos)

 

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