Senza categoria

“I giovani, cattolici e non, hanno bisogno di modelli”. Intervista a Massimo Borghesi

Loading

Massimo Borghesi: breve profilo

Sulla relazione fra cattolici e politica, abbiamo intervistato Massimo Borghesi. Borghesi è professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Perugia. Fra le sue tante pubblicazioni, segnaliamo: Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, edito da Jaca Book nel 2017; Senza legami – Fede e politica nel mondo liquido: gli anni di Benedetto XVI, edito da Studium nel 2014; Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson. La fine dell’era costantiniana, uscito nel 2013 per i tipi della Marietti. Di recente è apparso con Jaca Book il suo Ateismo e modernità. Il dibattito nel pensiero cattolico italo-francese.

L’assenza di un progetto politico comune, e la vittoria del ‘modello anglosassone’

  • Con la fine della lunga stagione democratico-cristiana, i cattolici italiani si sono ritrovati senza una casa politica comune. Non ancora pienamente digerita la lezione del Concilio Vaticano II, negli ultimi venti anni i credenti hanno alternato varie opzioni politico-partitiche quasi sempre fallimentari. A suo parere, la relazione odierna fra cattolici e politica in Italia quali criticità presenta?

La “criticità” dipende certamente dal modo in cui si è consumata l’esperienza storica della Democrazia cristiana. Il partito dei cattolici ha garantito in Italia, nel quadro del mondo diviso tra Est ed Ovest, mezzo secolo di pace sociale, libertà, democrazia. La sua liquidazione politica, al pari del Partito Socialista, coincide, paradossalmente, con la sua vittoria ideale nel momento stesso in cui, con la caduta del comunismo, le sue ragioni parevano affermarsi indiscusse. Il potere mondiale, scomparsa la minaccia comunista, non aveva più bisogno del partito di massa dei cattolici come “contenitore” democratico. D’altra parte la stessa figura del partito “unico” dei cattolici aveva ragion d’essere solo di fronte ad un avversario comune.

A partire dalla metà degli anni ’90 i cattolici si sono divisi tra destra e sinistra con una esigua rappresentanza di centro. La Chiesa, da parte sua, ha preso atto di questo processo e ha puntato sulla difesa di taluni valori “non negoziabili” come fattore qualificante dell’azione dei cattolici in politica al di là dei loro schieramenti. Ha dimostrato, come si suol dire, realpolitik. Questa prospettiva, però, è stata pagata con un impoverimento della dottrina sociale della Chiesa. La selezione dei valori – la difesa della vita, del matrimonio eterosessuale, ecc. – ha implicato la dimenticanza di altri valori, quelli attinenti alla sfera propriamente sociale, che, nel quadro del bene comune, hanno grande importanza.

Con ciò si è creata quella distinzione tra valori di “destra” e valori di “sinistra” che arriva fino a noi e costituisce l’eredità degli ultimi 30 anni. La DC aveva saputo unificare questi valori in una prospettiva dialettica ed unitaria ad un tempo. Poi questa sintesi è venuta a mancare ed anche il mondo cattolico ha seguito la china del manicheismo politico post-89, quello che vuole la lotta politica divisa tra progressisti e conservatori. È il trionfo del modello anglosassone.

La difficoltà nell’ attivare nuovi processi

  • Se è vero che diversi sono i lati problematici circa l’impegno dei credenti in politica è ancora più vero che la variegata opera sociale dei cattolici nel nostro Paese spinge a pensare che ci sono tutte le condizioni per – a dirla con Papa Francesco – attivare processi. Ma verso dove e, soprattutto, come?

Non sarei così ottimista. Esiste ancora, è vero, una certa base sociale ma questa si è tremendamente impoverita nel corso dell’era della globalizzazione. Tutta la rete di cooperative, di banche legate al territorio, che ancora negli anni ’70 avevano una loro vitalità, è stata spazzata via dalle nuove dinamiche economiche favorenti la concentrazione di capitale e il mercato finanziario.

Rimane la grande rete del volontariato ma questa, al momento, non è in grado di darsi una rappresentanza. Il settimanale “Vita”, che dà voce a questo mondo, è dovuto passare dal cartaceo all’edizione online. I processi, come dice lei, devono essere avviati e questo richiede tempi non brevi.

Si tratta, innanzitutto, di promuovere una consapevolezza della ricca e lunga storia del cattolicesimo sociale, in Italia e all’estero. Occorrono scuole di formazione. I giovani, ma anche i quarantenni, non sanno più nulla dell’impegno sociale e politico dei cattolici. Conoscono a malapena il nome di don Sturzo, De Gasperi, Moro. Di Toniolo non sanno nulla. Bisogna ripartire da qui, da scuole di formazione che facciano rete tra di loro. In questa prospettiva va apprezzata l’iniziativa della rivista “Il Regno” che il 27-29 settembre ha promosso, a Camaldoli, un convegno con questa finalità di approfondimento.

Testimonianze nel deserto

  • Da Toniolo a Moro, da Sturzo a La Pira, da Dossetti a De Gasperi, la storia dei cattolici italiani è ricca di testimonianze credibili e significative per la crescita della nostra nazione. Nello scenario politico attuale, perché è importante – specialmente per le nuove generazioni di credenti e di italiani – conoscere le peculiarità dei cattolici che tramite la politica hanno fatto la storia d’Italia?

Perché i giovani, cattolici e non, hanno disperatamente bisogno di modelli. Modelli di impegno integrale, ideale, che non separi il pubblico e il privato. Lo spettacolo offerto dalla politica nell’era della globalizzazione è stato quello di personaggi mediatici, venditori di sogni, tesi solo al proprio personale potere. Politici come attori e personaggi dello sport. La politica del sorriso stampato e della battuta.

È venuta meno una cultura politica e il senso di un impegno ideale. È venuta meno l’idea che l’impegno politico rappresenti una forma di testimonianza. La mia generazione si è letteralmente nutrita di questi testimoni, da John Kennedy, a Giovanni XXIII, a Robert Kennedy, a Martin Luther King, a Giorgio La Pira, ad Aldo Moro. Quattro di questi personaggi sono stati ammazzati, ammazzati dal potere.

La mia generazione, la gioventù degli anni ’60-’70, ha vissuto la speranza di grandi cambiamenti e la tragedia e la delusione della loro negazione. Oggi, nel deserto, umano ed ideale, che stiamo vivendo, la riscoperta di questi testimoni, la loro memoria, è condizione per aprirsi ad un futuro di pace, oltre i venti di guerra che soffiano da più parti.

La Laudato si’ e il rifiuto del modello tecnocratico

  • Alcuni commentatori hanno accostato la novità del messaggio sociale della Laudato si’ di Papa Francesco all’effetto che a fine diciannovesimo secolo produsse la Rerum novarum di Leone XIII. Secondo lei, perché è così importante per la geopolitica globale il messaggio dell’enciclica di Bergoglio?

Certamente lo ha fatto Lucio Brunelli in un bellissimo articolo su “L’Osservatore romano”.

Brunelli ha mostrato bene come Laudato sì non sia semplicemente una enciclica “ecologica”, ma costituisca un apporto qualificante alla dottrina sociale della Chiesa nel contesto odierno. Allo stesso modo Leone XIIX, il papa della Aeterni patris, che stabilì lo studio del tomismo nelle Facoltà pontificie e nei seminari, fu il medesimo che con la “Rerum novarum” allargò lo sguardo della Chiesa anche all’economia e alla società.

La Rerum novarum fu giudicata allora, dai liberali e dai conservatori cattolici, un documento rivoluzionario, filo-socialista. La storia si ripete e anche oggi liberali e cattolici conservatori accusano il Papa di essere di “sinistra”, di occuparsi di temi che non competono alla Chiesa. Probabilmente non hanno nemmeno letto il documento.

Se lo avessero fatto avrebbero visto che il punto essenziale è la critica al modello tecnocratico che si impone attualmente a tutti i livelli: economico, politico, antropologico. È il modello che sta dietro alle leggi sull’eutanasia, alla maternità surrogata, alla eliminazione dei feti con difetti genetici. È il modello che presiede alla eliminazione degli “scarti”. Tutto si tiene. La questione ecologica, del rispetto dell’ambiente, della casa dell’uomo, è solo un aspetto di una questione più complessiva che investe la dimensione antropologica in generale.

La fede come veicolo dell’identitarismo: i rischi del sovranismo

  • A suo parere, quali sono i pericoli maggiori prodotti dalle semplificazioni e dalle strumentalizzazioni del messaggio cristiano da parte dei populisti e dei sovranisti?

La posizione sovranista appresenta un pericolo sia sul versante politico che su quello teologico. I sovranisti esprimono una istanza giusta, quella di tutelare l’autonomia dei popoli e delle nazioni a fronte di una omogeneizzazione burocratica e violenta da parte dei grandi organismi sopranazionali. La democrazia ha un senso solo all’interno dei confini di uno Stato Nazionale.

Questa istanza giusta viene però stravolta in una direzione particolaristica che porta alla dissoluzione di tutto ciò che è universale. L’Europa non è solo un fantasma pilotato dai burocrati di Bruxelles. È stato ed è un fondamentale luogo di incontro tra nazioni che si sono fatte, nel corso del ‘900, due terribili guerre mondiali. Non possiamo distruggere la EU solo perché patiamo vincoli di bilancio o taluni Stati ottengono corsie preferenziali. Occorre lottare per affermare i propri diritti. Accade in ogni organismo comunitario. Il sovranismo non è la terapia della globalizzazione, è la sua patologia, la reazione al corpo malato.

Sul versante teologico poi costituiscono un pericolo perché i sovranisti tendono ad accreditarsi come sostenitori della radici cristiane contro un’Europa laica e secolarizzata. I protagonisti politici dei movimenti sovranisti sono visti dai loro adepti come altrettanti messia, come salvatori della civiltà cristiana di fronte ad un mondo avverso, irrimediabilmente perduto.

La fede, in tal modo, diventa la legittimazione di una posizione politica identitaria che trova nella lotta all’immigrazione a all’Islam il suo punto forte. La fede trova la sua realizzazione storica in una forma politica. In tal modo, per una sorta di eterogenesi dei fini, proprio le posizioni che più si oppongono alla secolarizzazione divengono parte del processo di secolarizzazione.

I cattolici sovranisti non esprimono solo una posizione politica, esprimono una “fede”, una ideologia totalizzante, salvifica. La confusione tra la teologia e la politica è massima ed i leaders sovranisti appaiono come salvatori della patria e, insieme, salvatori della fede.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *