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Caro Roberto, la scuola non è morta e ti spiego perché.

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di Valentina Chinnici*

 

Caro Roberto Puglisi,

tu scrivi che la scuola è morta, e lo è anche per colpa dei docenti incompetenti, che avversano qualsivoglia riforma, chiusi nel loro corporativismo cieco.

Caro Roberto, voglio darti una bella notizia (o pessima, valuta tu): la scuola non è più morta di quanto non lo sia la società italiana, di quanto non lo sia la politica nostrana, o la magistratura, o la sanità, o la chiesa stessa, semplicemente perché la scuola, proprio come la politica e tutte le altre categorie che ho citato, rispecchia la società attuale, che ci piaccia o no.

Mi si obietterà che è un discorso qualunquista. Ebbene, allora sai che ti dico, Roberto? Parlare per categorie non ci aiuta proprio. Se proprio dobbiamo parlare di Scuola, parliamone come di una cosa sacra, con pudore, come si fa per le cose più intime e preziose. I docenti incompetenti sono tanti, e io li vorrei buttare fuori come te, ma già se dico questo mi metto nel novero dei docenti “bravi”. E io, Roberto, non ce l’ho per niente chiaro cosa sia un docente bravo. Beato chi, come te e come i nostri governanti, mostra invece di saperlo.

Spesso accade che un insegnante sia ritenuto bravo quando ipnotizza i suoi alunni recitando con trasporto i versi danteschi: questo è appunto il prototipo del “bravo insegnante” sbandierato tra gli altri dalla professoressa e scrittrice Paola Mastrocola, che tanto seduce taluni miei colleghi, come del resto pure te che hai condiviso su Facebook il suo illustre parere. Ebbene, anche io 12 anni fa, quando entrai a scuola, fresca di laurea-dottorato-pubblicazioni pensavo che il docente bravo fosse questo qui.

 Poi ho conosciuto la Scuola vera, e ho capito in fretta tante cose semplici. Per esempio che la nostra scuola, ancora improntata in larga misura sull’impostazione del Ministro Gentile, che ne voleva una fucina selettiva per la classe dirigente, ben distinta dalla forza lavoro, si è trovata negli anni Sessanta a reggere l’urto della “massa” alla quale veniva finalmente innalzato l’obbligo di istruzione. E si è trovata in gravi difficoltà, come gli otri vecchi del vangelo destinati a scoppiare a contatto col vino nuovo.

Però è qui la buona notizia, Roberto. La Scuola non è scoppiata, ha vacillato ma ha retto l’urto, è andata avanti, con fatica, passione, dedizione. Di pochi volenterosi, dirai tu. Può essere. Ma sai qual è il grande equivoco, Roberto? Che i veri nemici della scuola sono proprio quegli intellettuali, come la Mastrocola, che piace tanto a certi docenti, che ritengono che il problema della scuola sia stato proprio la fine del suo elitarismo, l’aver dovuto “abbassare il livello” per venire incontro a tutti.

Ecco, Roberto: noi insegnanti ci troviamo ogni giorno in bilico tra il valorizzare le eccellenze e il recuperare gli “irrecuperabili”, gli scarti della società, quelli che rovinano il Pil, alzano i tassi di disoccupazione, le pecore nere e le anatre zoppe che farebbe tanto comodo a tutti rimuovere dal tessuto sociale.

Noi siamo lì, Roberto. Ogni giorno. E io non avrò pace e non mi sentirò abbastanza “brava” fino a quando l’ultimo dei miei alunni che ancora in terza media legge sillabando non alzerà gli occhi dalle righe del libro che ha in mano dicendomi, finalmente, “l’ho capito da solo!”. Quello per me è un bravo docente. E io, grazie a Dio, ne ho conosciuti tanti. Intellettuali veri, capaci di “sporcarsi le mani” togliendo dalla strada decine di ragazzi e mettendoli su un palco a declamare (loro, i ragazzi!) Omero. Di fronte a questi uomini e donne, io e tu, Roberto, e la società tutta, dobbiamo inchinarci, perché non c’è stipendio che possa ripagare la loro altissima funzione civile e democratica (e infatti lo stipendio non li ripaga proprio!). Ma questi insegnanti, Roberto, non sono eroi solitari. Io li ho trovati laddove c’erano scuole che funzionavano come comunità, con presidi che non si sognavano neanche di sentirsi sindaci o dirigenti di chissà quale azienda, presidi che si sentivano per prima cosa i garanti della partecipazione del cuore democratico di una scuola, il collegio dei docenti, il Parlamento della Scuola, che oggi, non a caso, si vuole annientare. Una palude anche quello, come il Parlamento della politica. Sarà. Ma, come recita un detto africano (ohi ohi che citazione sfigata!), “chi vuole andare veloce va da solo, chi vuole andare lontano cammina insieme”.

Io ci credo ancora, Roberto, e voglio diventare una “brava” docente: l’unica condizione è quella di camminare insieme ai miei colleghi. Non uno di meno. Proprio come i nostri ragazzi.

 

*Lo scritto dell’autrice risponde idealmente a quanto Roberto Puglisi ha pubblicato su Livesicilia.it. v. http://livesicilia.it/2015/05/02/caro-prof-la-scuola-e-morta-ma-lhai-uccisa-anche-tu_622291/

 

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