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Barocco letterario e barocco figurativo

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Questa rubrica vuole porre all’attenzione dei lettori di Tuttavia la capacità della poesia e delle arti figurative di rappresentare l’immaginario delle varie epoche storiche e delle stagioni culturali che si sono succedute nel nostro Occidente a partire dal Basso Medioevo, cioè da quando si è andata costruendo la civiltà delle città e del ceto medio che in esse si è andato affermando. Abbiamo definito pittura e poesia “linguaggi dell’anima” per la loro capacità di coinvolgere in modo integrale chi ne fruisce, ovvero in modo da mobilitare, oltre alla dimensione razionale del comprendere, anche gli aspetti affettivi, emotivi e volitivi dell’esistenza.

A tale scopo saranno sottoposti quindicinalmente dei testi poetici e iconici paralleli, reinterpretati quali “oggetti culturali” per la loro capacità di esemplificare l’immaginario di un’epoca. Alla poesia e alla pittura potrà affiancarsi anche la musica, quando gli autori riterranno di proporre qualche fonte musicale, coeva oppure a noi contemporanea, capace di evocare efficacemente lo spirito dell’epoca trattata. Il parallelismo potrà anche strizzare l’occhio agli insegnanti – quali sono i due autori – che volessero istituire nessi più stringenti tra i vari linguaggi, nella convinzione che i ragazzi amano le contaminazioni e soprattutto si lasciano coinvolgere volentieri nello spazio della creatività e dell’interpretazione. 


Il seicento dei virtuosismi

Poesia e arti figurative testimoniano l’attitudine alle soluzioni virtuosistiche comunemente rubricate con la denominazione di Barocco. Si tratta di un’istanza culturale che vuole prendere le distanze dal classicismo rinascimentale e avviarsi su sentieri innovativi. Qui offriamo due componimenti poetici di Giovanbattista Marino ed una ricca serie di emblemi figurativi della nuova temperie culturale.

Giovanbattista Marino: culto del dettaglio ed eleganza formale

DONNA CHE SI PETTINA

Onde dorate, e l’onde eran capelli,
navicella d’avorio un dì fendea;
una man pur d’avorio la reggea
per questi errori preziosi e quelli;

e, mentre i flutti tremolanti e belli
con drittissimo solco dividea,
l’òr delle rotte fila Amor cogliea,
per formarne catene a’ suoi rubelli.

Per l’aureo mar, che rincrespando apria
il procelloso suo biondo tesoro,
agitato il mio core a morte gìa.

Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,
poich’almen fur, ne la tempesta mia,
di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro!

DONNA CHE CUCE

È strale, è stral, non ago
quel ch’opra in suo lavoro
nova Aracne d’Amor, colei ch’adoro;
onde, mentre il bel lino orna e trapunge,
di mille punte il cor mi passa e punge.
Misero! E quel sì vago
Sanguigno fil che tira
Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira
La bella man gradita
È il fil de la mia vita

Non si tratta di poesie celebri, né celebre è il suo autore, se per celebri si intendono figure come Dante, Leopardi o Manzoni. Però sono figure che comunque hanno fatto moda poetica e linguistica nel loro tempo, e la loro modalità espressiva ha trovato modo di ripresentarsi magari in esperienze successive, ivi inclusa la poesia di Leopardi o, in modo più evidente, la poesia futurista.

È come se la forma trionfasse sul contenuto, se il giocare con parole e immagini prevalesse sulla sincerità dei sentimenti o sullo spessore etico del messaggio. Il napoletano (non casualmente?) Marino, vissuto tra il 1569 e il 1625, è un poeta che viene definito barocco, anzi è il massimo esponente di questo linguaggio – non solo poetico – che si caratterizza per il desiderio di giocare con le immagini, di sorprendere il lettore con accostamenti strani e inattesi, un po’ come fa anche la nostra musica leggera, e lo si potrà vedere in coda. Infatti è proprio la musicalità del poetare ciò che si accampa come necessità primaria.

Nelle due donne rappresentate dal poeta napoletano è possibile vedere un condensato di questo gusto, appunto barocco, ispirato ad un’istanza di leggerezza e di virtuosismo formale. L’amore è ben presente, anzi sarebbe proprio il tema dominante, ma si avverte un cedere della profondità dei sentimenti al desiderio di creare immagini sorprendenti.

Nel primo caso i capelli pettinati dalla donna sono paragonati ad un mare solcato da una navicella (il pettine), e tale metafora consente al poeta di introdurre il tema del proprio sentimento amoroso come navigazione tempestosa e naufragio “ricco”. Nessuna tragicità petrarchesca, ovviamente, in questo sentire, ma soltanto un cullarsi frivolo tra le onde del mare, in un rapporto tra amore e morte che, pur vantando una lunga tradizione letteraria, qui non ha niente di veramente minaccioso.

Anche il madrigale con la donna che cuce coglie una dimensione quotidiana dell’elemento femminile, ma il testo piega l’immagine, in sé alquanto banale, ad un gioco letterario molto cerebrale, per il quale piuttosto che la dimensione interiore viene sollecitata la dimensione intellettuale. L’ago diventa freccia d’amore che ferisce e fa sanguinare, in un trionfo di parole accumulate allo scopo di ingombrare la mente di lettore di infinite possibilità immaginifiche: la ragnatela, l’atto del cucire, il sangue, il filo, il tagliare, annodare, attorcigliare e girare, ed una mano, cioè un particolare corporeo, che addirittura viene a significare il fil de la mia vita.

Che valore può avere per noi contemporanei rievocare questo linguaggio poetico?

Credo che il barocco, il barocchismo, l’esuberanza formale ed il desiderio di accumulo linguistico faccia parte dell’umano in ogni tempo. Le arti figurative e la musica – appunto i linguaggi dell’anima – sono capaci sempre di corrispondere a questo desiderio di navigare tra le forme, senza lasciarsi troppo coinvolgere sul piano esistenziale ed etico. È appunto in gioco l’istanza di leggerezza, di navigazione in superficie (sì, proprio la metafora oggi usata per il web), di presa di distanza, se vogliamo, da schemi troppo razionali, lineari e logici, quel che caratterizza questo linguaggio. Che ci fa sentire, in alcuni momenti della vita, tutti un po’ barocchi.

Dal web: Il Seicento letterario secondo Giulio Ferroni

Barocco in arte: stupire con effetti speciali

Baciccio, Trionfo del nome di Gesù, Chiesa del Gesù a Roma, 1672-1679.

Il trionfo della forma sul contenuto nel messaggio poetico trova corrispondenza, nelle arti figurative del periodo, in una sorta di scissione tra forma e funzione, tra apparire ed essere, che è tipica dell’età barocca. Non per niente oggi si tende a definire “barocco” non solo uno stile del periodo storico in questione, ma una categoria estetica universale che indica tutto ciò che è bizzarro, ridondante, e che privilegia l’aspetto esteriore all’interiorità.

Nel Seicento il concetto di conoscenza razionale attraverso i sensi, valorizzato dall’Umanesimo, è messo in crisi, e quindi l’arte, da strumento di verità, diviene spesso mero strumento decorativo. Del resto, quello del decoro inteso come apparenza è un concetto di fondamentale importanza per la rappresentazione di sé nella società, e anche l’arte diviene in questo periodo status symbol ed emblema del potere del singolo o di un gruppo.

L’obiettivo di committenti e artisti è stupire con effetti speciali, anche portando la materia marmorea agli estremi delle sue possibilità espressive, mutandone la consistenza, come fa Bernini nel Ratto di Proserpina o in Apollo e Dafne. Come nei versi poetici di Marino incontriamo onde dorate e flutti tremolanti, in scultura e architettura constatiamo andamenti sinuosi, intrecci geometrici indecifrabili, curve policentriche, horror vacui ed effetti illusionistici, sia nell’uso abbondante di dorature, stucchi e marmi policromi per conferire sembianze preziose, sia negli sfondamenti prospettici degli affreschi, che ci calamitano in spazi virtuali.

La prospettiva era utilizzata alle origini del Rinascimento per rendere intellegibile lo spazio rappresentato, ed è adesso utilizzata con virtuosismo estremo per generare l’illusione di spazi inesistenti, attraverso la tecnica del Trompe-l’oeil, di cui vediamo qui un bellissimo esempio, e su cui si baseranno nel XX secolo Muralismo, Iperrealismo e Graffitismo. Probabilmente all’epoca della diffusione del Trompe-l’oeil si sarà provato un tipo di coinvolgimento simile a quello di oggi con la realtà virtuale. Questo fa pensare che il binomio realtà-apparenza, basato sull’ambiguità della rappresentazione (valida tanto per il linguaggio verbale quanto per quello visuale), sia una questione sempre attuale, e fa interrogare su quanto, in una civiltà della comunicazione e dell’immagine, sia possibile assuefarsi alla verosimiglianza, perdendo il senso della realtà e del giudizio critico.

IN MUSICA: Balla di Umberto Balsamo 

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