“La disabilità vista secondo gli occhi del Dio di Gesù Cristo”: Michele si laurea in teologia e ci insegna a guardare oltre

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Alla “Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia”, qualche giorno fa, si è scritta una pagina nuova. Per la prima volta, uno studente affetto da SLA ha conseguito la laurea in Teologia. Si chiama Michele. E quello che è accaduto nell’aula accademica va ben oltre il traguardo personale.

Michele vive con la sclerosi laterale amiotrofica da diciotto anni. Non può parlare, non può muoversi, ma ha studiato. Durante e dopo la pandemia ha seguito tutte le lezioni da casa, accompagnato ogni giorno dalla moglie Stella e dai loro tre figli. Ha affrontato ogni esame, ha scritto la sua tesi, l’ha discussa. Come tutti gli altri. Ma lasciando qualcosa in più.

Il suo relatore, don Vito Crapanzano, racconta: “Conosco Michele da più di vent’anni. Eravamo seminaristi sotto lo stesso parroco a Barrafranca, in provincia di Enna. Poi le strade si sono divise, ma il legame non si è spezzato. Michele è diventato un segno vivente di speranza”.

Durante il lockdown, in piena incertezza globale, Michele ha deciso di riprendere gli studi. Voleva approfondire la propria fede, capirne di più, darle un linguaggio. “Dopo aver riconosciuto la malattia come parte di me – racconta – ho scelto di usare il tempo per comprendere meglio la fede cristiana, che a volte resta incomprensibile se non la si attraversa con gli strumenti giusti”.

Il risultato è una tesi dal titolo netto: “La disabilità vista secondo gli occhi del Dio di Gesù Cristo”. Una riflessione che sposta la domanda: non più “perché il dolore”, ma “da dove lo si guarda”.

Michele ha imparato a cambiare sguardo. E lo ha insegnato a tutti. “Essere cristiani è uno stile di vita – ha detto – non una teoria. È qualcosa che tocca il profondo, le midolla del vivere, non solo la testa”. Citando il Vangelo di Giovanni, ha aggiunto: “La verità vi renderà liberi. Ed io sono libero, nonostante la malattia”. Una frase che risuona, senza retorica. Michele non ha cercato pietà. Ha testimoniato che la libertà non dipende dal corpo. Che la fede, se è vera, abita anche la fragilità. Che si può smuovere il mondo anche stando fermi. La sua è stata una lezione per tutti. Non solo teologia accademica, ma vissuta. Una parola che si fa corpo, tempo, scelta.

Il poeta Rilke diceva: “La vita ha in sé tutte le risposte”. La storia di Michele ci obbliga a rivedere le nostre domande. E forse, anche il nostro concetto di felicità.

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