Il giorno della festa di Pentecoste volgeva al termine e i discepoli erano riuniti nel cenacolo insieme, quand’ecco che irrompeva qualcosa di straordinario e stupendo, atteso perché preannunciato ma sicuramente unico e inimmaginabile nella sua forma: il cenacolo degli apostoli fu improvvisamente investito da un vento impetuoso, un fragore inusuale e la luce del fuoco si posò su ognuno di loro.
Siamo davanti a una teofania prodigiosa di non facile comprensione per l’uomo. La Pentecoste, “Shavuot”, nell’antica società ebraica era inizialmente una festa agreste che celebrava il tempo del raccolto, quando tutti i lavori, le fatiche contadine divenivano frutto e ricchezza di primizie per coloro che avevano lavorato la terra; la festa cadeva cinquanta giorni dopo la Pasqua e si coniugava altresì con la memoria della consegna della Torah da parte di Dio a Mosè sul monte Sinai.
Due i temi su cui soffermarsi, “il raccolto” e la “consegna”; alla luce dei brani liturgici divengono rispettivamente metafora del compimento della missione di Cristo – il raccolto di quanto offerto ai suoi – , e del suo proseguimento, quando viene affidato loro il compito di andare per il mondo a dare testimonianza di quello che hanno ricevuto.
Gesù aveva preparto bene i suoi per essere inviati per e nel mondo a portare la sua parola che è parola del Padre. Tuttavia non vuole lasciarli soli. Per questo – ennesima manifestazione di amore e del dono di sé – invierà il “Paraclito”, che letteralmente indica il “difensore”, perché rimanga per sempre con loro.
Durante l’ultima cena Gesù aveva già detto: “Ricevete lo Spirito” e lo aveva alitato su di loro. Ora lo Spirito si manifesta, diventando protagonista nella vita di ciascuno alla sequela di Gesù.
L’immagine del vento rappresenta la sua potenza ma anche la forza del cambiamento e del rinnovamento per tutti gli uomini. Il vento è forza liberatrice, capace di spazzare via il vecchio, le forze frenanti che stanno in agguato nell’animo umano: l’indifferenza, la paura, la superficialità, l’egoismo e l’edonismo. Lo Spirito rende visibile e concreta la nostra fede, per acquistare la libertà di credere, di sperare e di amare.
Gesù dice che lo Spirito rimarrà per sempre, insegnerà ogni cosa e farà ricordare quello che lui ha detto. Come dice San Paolo nella lettera ai Romani “non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura ma lo spirito che vi rende figli adottivi”. Lo Spirito, insegna, rimanda al cuore di ciascuno la verità per farne nostra consolazione, affinché lo sconforto e la rassegnazione non prendano mai il sopravvento. Chi accoglie lo Spirito di Dio accoglie il suo conforto, unico nei momenti difficili delle prove, a cui Gesù non ci sottrae ma in cui ci sostiene.
La festa dello Spirito è la festa di una comunicazione che non è semplice flatus vocis, emissione di suoni, ma comunione intima di verità rivelata. Lo Spirito del Signore riempie l’universo; egli, che tutto abbraccia, conosce ogni linguaggio (Cf. Sap 1, 7). Per portare a tutti l’annuncio e la gioia del Cristo risorto ciascuno usa lingue e linguaggi diversi; abbiamo bisogno soltanto di accogliere il messaggio salvifico tenerlo vivo nella nostra esistenza per consegnarlo, quali ambasciatori dell’eterno re, a tutti coloro che incrociano il nostro cammino.
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