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“Quando però verrà lo Spirito”

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Introduzione alla lectio divina su Gv 16, 12-15

Domenica 22 Maggio 2016 

 

 

[12] Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. [13] Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non si esprimerà da sé, ma esprimerà tutto ciò che avrà ascoltato e vi riannunzierà le cose che avvengono. [14]  Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo riannunzierà [15] Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo riannunzierà.

 

La definizione dell’identità teologica della Trinità di Dio è stata oggetto di controversie e divisioni laceranti fra gli stessi Cristiani. La definizione ulteriore dell’identità e del ruolo specifici dello Spirito Santo si è rivelata spesso sfuggente e passibile delle più diverse interpretazioni.

 

 

La liturgia di queste settimane ci incoraggia a non fermarci sulla soglia di un dogma, ma ad appropriarci saldamente di una realtà fondamentale per la nostra fede e a riporre in essa la nostra fiducia di cristiani ‘pensanti’.

 

I quattro versetti si inquadrano ancora nel lungo discorso di addio ai discepoli, che più che un addio è un accompagnamento e una preparazione alla ‘lettura’ con gli occhi della fede di ciò che verrà. Nella constatazione iniziale, che i discepoli non sono in grado di portare ora tutto il peso delle “molte cose” che Gesù ha da dire, non risuona amarezza, né imputazione di una colpa: non ci sono verità esoteriche e straordinarie da rivelare a pochi iniziati, ma c’è una storia da interpretare, un filo da dipanare alla luce della ‘buona notizia’ già rivelata da Gesù stesso. Lo Spirito, infatti, non viene per fare cose nuove, ma per fare nuove tutte le cose già esistenti. E lo Spirito resta profondamente incardinato alla persona di Gesù Cristo: questa constatazione, che emerge con nettezza dal brano giovanneo, è ciò che ci differenzia da alcuni filoni spirituali orientali, molto diffusi anche nella cristiana Europa, i cui maestri si autodefiniscono e vengono riconosciuti quali incarnazioni odierne dello Spirito Santo.

 

I tratti che in Giovanni accomunano fortemente lo Spirito e Cristo sono schematizzati con efficacia dal teologo Leon-Dufour:

  •  entrambi sono Dono inviato dal Padre
  • Non sono accolti dal mondo, ma dai soli credenti
  • Sono visti soltanto dai credenti
  • Stanno con e nei discepoli
  • Non parlano di propria autorità
  • Rendono testimonianza
  • Insegnano
  • Conducono alla verità
  • Comunicano

 

L’ultima azione, il comunicare, nel senso di ‘svelare il senso’, ‘interpretare’, è espressa dall’evangelista col verbo ananghéllein, che compare anche nel nostro testo, in riferimento allo Spirito, e nel celebre incontro fra Gesù e la Samaritana: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci riannunzierà ogni cosa” aveva detto la donna al Signore (Gv 4, 25).

 

Ecco, allora, l’essenza dello Spirito: Ri-annunziare, ri-dire, ri-narrare, ma non solo il passato, bensì ciò che avviene, passo dopo passo, alla luce di quella Parola che Egli stesso ha ascoltato. Allo stesso modo Gesù aveva ascoltato e rinarrato le cose del Padre, così come il Padre si era posto in ascolto di tutta la vicenda umana del Figlio, in una comunicazione incessante eppure discreta.

 

In questo Ascolto obbediente e vicendevole si compie tutto il mistero della Tri-Unità di Dio, che si allarga a comprendere l’altro attore fondamentale, in quanto destinatario principale di tali parole: noi.

 

Infatti, “lo Spirito prende i tratti tipici di Cristo e li comunica a noi. Tratti che si riassumono in ciò che Cristo è, in ciò che desidera, in ciò che insegna. Amatevi come io vi ho amati (Gv 15, 12): questo è un tratto di Cristo. Lo Spirito non lo lascia giacere scritto, ma lo prende e lo annuncia dentro ciascuno di noi, trasformandolo in impulso ad agire, in proposta viva, incisiva, aderente alla nostra coscienza e al nostro cuore di carne” (Vanni, L’ebbrezza nello spirito, 2000, 85).

 

 Lo Spirito scruta e scandaglia le profondità di Dio e ce le comunica, cosicché noi, uomini spirituali, abbiamo il pensiero di Cristo (1 Cor 2, 10-16). Il che non significa, ovviamente, avere un filo-diretto con Cristo, né tantomeno pretendere di sapere cosa Egli vuole esattamente da noi, ma significa essere sempre pronti a una rilettura continua della storia, grande e piccola, tenendo gli occhi accesi sul mondo e le orecchie tese verso la Parola, nella coscienza umile, ma sicura, di rappresentare, pur negli affanni e nelle miserie della vita, i piccoli collaboratori che Dio si è scelto (1 Cor 3, 9).

  

                                                                                                                                                                                                                                                         Valentina Chinnici

 

 

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