Senza categoria

Libertà di espressione? Dipende…

Loading

 

di Giuseppe Savagnone

 

     In un passaggio dell’intervista a Panorama, Dolce aveva detto: «Non l’abbiamo inventata mica noi la famiglia. L’ha resa icona la Sacra famiglia, ma non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni».

Parole dure, certamente, ma per la verità sembrano esserlo non tanto nei confronti dei bambini, considerati le vittime («E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre»), quanto di coloro che danno loro la vita artificialmente, dimenticando  che «procreare deve essere un atto d’amore». Insomma, più che un insulto, una valutazione critica, che può essere o no condivisa. Come se avesse detto: «Dio è un’invenzione di chi ha paura della vita». Lo ha sostenuto Nietzsche, lo hanno ripetuto e lo ripetono in tanti, e nessuno pensa che la frase sia una bestemmia, se mai un’accusa a chi Dio se lo inventa. Anche il giudizio del noto stilista, pur contenendo un’espressione sicuramente troppo forte («bambini sintetici»), poteva essere letta così. Tanto più che a pronunziarlo era una persona notoriamente gay e quindi certamente non sospetta di omofobia.

E invece, apriti cielo! È stato una star famosa, il cantante Elton John, che ha due bambini ottenuti con la fecondazione in vitro con il marito David Furnish, a insorgere furibondo: «Come vi permettete di dire che i miei meravigliosi figli sono “sintetici”?».

 

Fin qui, niente di strano: il mondo è pieno di persone che si arrabbiano perché qualcuno pensa e dice cose che loro non condividono. Ma Elton John è andato oltre: non solo ha dichiarato che non avrebbe mai più utilizzato capi d’abbigliamento Dolce & Gabbana (e anche questo è un ovvio diritto di chiunque), ma ha lanciato sul web, contro la casa di moda, un boicottaggio a cui hanno aderito  altre celebrità, come Sharon Stone, Ricky Martin e Courtney Love. Quest’ultima ha addirittura affermato di voler fare un falò dei suoi vestiti firmati Dolce & Gabbana.

Ma è tutto il mondo dei vip che in questi giorni è oggetto delle pressioni delle organizzazioni per i diritti degli omosessuali. «Alla prossima annuale Media Awards Saturday Night ci saranno un sacco di ospiti e diremo a tutti loro che preferiamo non indossino capi di Dolce & Gabbana», ha detto Sarah Kate Ellis, dirigente di Glaad, organizzazione per i diritti gay. E Simon Halls, fondatore dell’agenzia di pubbliche relazioni dello spettacolo Slate PR, ha dichiarato: «Non credo che questa cosa passerà. Penso che la gente li costringerà ad affrontarla. Parliamo di famiglie. Di bambini».

Su questa scia si collocano le dimissioni del direttore responsabile di Swide.com, magazine online pubblicato dalla casa di moda, in polemica con i due stilisti, le cui affermazioni, spiega, sono «totalmente incompatibili con la mia coscienza di essere umano del mondo contemporaneo e incoerenti rispetto al mio impegno di cittadino che partecipa al dibattito politico».

E se avessero disegnato la Trinità cristiana, oggetto di adorazione e di culto da parte di più di un miliardo di persone, utilizzando una immagine porno di amplesso a tre, per di più caricando gli effetti sessuali con la maggiore volgarità possibile? E se avessero rappresentato il fondatore di una religione come l’Islam, che anch’essa ha un miliardo di fedeli, etichettandolo come un maiale (animale, tra l’altro, particolarmente impuro per i musulmani)?

Non abbiamo bisogno di immaginare la risposta a simili domande, perché queste cose sono state fatte dai disegnatori di Charlie Ebdo e hanno ricevuto dal mondo intero – al di là della giusta solidarietà per i morti – una solenne consacrazione come «libertà di espressione».

«Parliamo di famiglie. Di bambini». Già. Non di Dio. Ma davvero offendere il sentimento paterno è una mostruosità (anche se, ripeto, in questo caso è discutibile il confine tra offesa e critica), contro cui bisogna mobilitarsi per difendere qualcosa di “sacro”, mentre ciò che da sempre è considerato tale può essere deriso e vilipeso in nome della libertà di espressione?

Mi domando se il direttore di Swide.com ha considerato le vignette di Charlie Ebdo «incompatibili con la sua coscienza di essere umano del mondo contemporaneo». Temo di no. Contro le religioni si può dire, scrivere, disegnare  quello che si vuole e vantarsi, per questo, di essere anticonformisti. Ma se ci si azzarda a esprimere la propria preferenza per la famiglia tradizionale, si va incontro a un’ondata di indignazione che si traduce, spesso, in campagne di boicottaggio (ricordate il caso di Guido Barilla?), equivalenti a  una vera e propria censura, anche se non sancita per legge. Che ne è, qui, della libertà di espressione?

La ragione – non la fede! –  suggerisce una linea di condotta che sia almeno  coerente, affidandone il rispetto non ai tribunali, ma ad una sensibilità etica condivisa: insulti mai, sotto qualsiasi forma (neppure col facile alibi della satira, che può e deve essere mordace, ma mai offensiva) e verso chiunque (incluso Dio e i suoi rappresentanti), e spazio alla critica, in qualsiasi forma e verso chiunque (incluso il preteso diritto dei gay di avere figli). 

Con buona pace di chi ha già bruciato i suoi vestiti firmati Dolce & Gabbana.

 

{jcomments on}

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *