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Chi è cristiano e chi no

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   di Giuseppe Savagnone

 

       Dopo che, negli ultimi decenni, lo scontro fra la Chiesa istituzionale e lo Stato italiano è stato determinato dall’approvazione di leggi come quella sul divorzio e quella che legalizza l’aborto, per la prima volta si profila un conflitto  su un nuovo fronte, questa volta del tutto estraneo al tema dei «valori non negoziabili», che è quello dell’accoglienza ai migranti sul nostro territorio nazionale.

    In un recente passato, l’insistenza sulla difesa della vita biologica (contro l’aborto e l’eutanasia), aveva dato l’impressione che il magistero, più che della vita umana dall’inizio alla fine, si preoccupasse della vita nel suo inizio e nella sua fine, lasciando in ombra ciò che accade tra questi due punti estremi.

       Un’impressione rafforzata dallo scarso appoggio ricevuto da mons. Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti, quando, nel 2009, aveva vivacemente protestato contro la politica dei respingimenti forzati verso la Libia, adottata dal ministro Maroni, col pieno appoggio del premier Silvio Berlusconi (politica condannata duramente dall’ONU come contraria ai diritti umani). Una nota del Vaticano aveva addirittura precisato, in quella occasione, che mons. Marchetto parlava a titolo personale e non esprimeva il punto di vista della Santa Sede.

     Oggi le cose sono molto cambiate. Senza trascurare i temi più tradizionali, papa Francesco insiste soprattutto, però, sul rispetto della dignità dei più poveri e sui doveri di giustizia nei loro confronti. E, quanto alla politica dell’accoglienza, nell’agosto del 2015 ha stigmatizzato duramente i respingimenti: «Respingere gli immigrati è un atto di guerra», ha detto, non perdendo poi occasione per ribadire che non si può essere cristiani se si pensa a costruire muri tra se stessi e il proprio prossimo nel bisogno. Qualcuno ha protestato: con quale diritto stabilire  chi è cristiano e chi no?

     Intanto, sulla scia del pontefice, mons. Galantino, segretario della CEI, ha in questi giorni bocciato l’idea di istituire controlli su navi che selezionino in anticipo chi deve sbarcare sul nostro territorio e chi no. Aprendo un contenzioso con il governo che, invece – anche per esigenze elettorali – , si sente obbligato a tener conto delle preoccupazioni crescenti di una parte consistente dell’opinione pubblica, allarmata dalle proporzioni del fenomeno migratorio.

     Non intendo entrare nel merito tecnico della questione. Personalmente ho l’impressione che allo Stato italiano, peraltro lasciato solo dagli altri governi europei, vada forse rimproverata l’incapacità di gestire l’emergenza in modo più organico e razionale. Ci sono troppi sprechi di risorse pubbliche, a vantaggio di speculatori privati (italiani) che si stanno arricchendo con  le sovvenzioni destinate a chi ospita degli immigrati, risorse solo in minima misura effettivamente impiegate a loro favore. Col risultato collaterale di creare, in questo modo,  una assurda disparità rispetto agli aiuti che vengono dati agli italiani indigenti e di dare adito, così, ad una falsa alternativa tra aiutare loro oppure gli stranieri. Non si tratta, in questo senso, di negare l’ospitalità agli stranieri, ma di renderla razionale.

      Detto ciò, il vero problema non è la soluzione tecnica che si darà  – né deve essere la CEI a determinarla – , ma l’atteggiamento di fondo a cui qualunque soluzione si adotti deve ispirarsi . È su questo che, come dice giustamente papa Francesco, si gioca il seguire o il non seguire il Vangelo.

    Emblematica la  linea della Lega, già a suo tempo realizzata da Maroni e anche recentemente espressa in un articolo del quotidiano «Libero» dello scorso 20 maggio, firmato da Vittorio Feltri. Ne riporto alcuni passi significativi:

   «Le invasioni barbariche», scrive Feltri riferendosi alle attuali correnti migratorie verso il nostro Paese,  «sono inevitabili (…) ma andrebbero governate per evitare che i barbari vincano subito. Cerchiamo almeno di rendere la vita dura agli invasori, così come fecero gli antichi romani. I quali (…) combattevano con tutte le forze allo scopo di non farsi dominare dagli stranieri incivili». Invece, noi, «anziché respingere i pretendenti asilo, li andiamo a prelevare (per spirito caritatevole) direttamente nei pressi di casa loro; dopo di che, quando sbarcano, ci tocca fornirgli il necessario per campare. Succede spesso che essi non gradiscano la nostra cucina e si ribellino, perché non amano i maccheroni e preferiscono altre pietanze. Bisognerebbe accontentarli? Certamente, sarebbe bello. Ma se non abbiamo soldi, che possiamo fare? Vendere i nostri averi per soddisfarli? Non tutti sono disposti a sacrificarsi per andare incontro ai gusti alimentari dei barbari». Perciò, «non abbiamo altra scelta che agire come gli antichi romani (…). Il discorso è semplice. Dichiariamo solennemente, urbi et orbi, che i posti in Italia sono esauriti e che non siamo in grado di inviare nostre navi a raccattare naufraghi. Diciamolo con fermezza e atteniamoci al proposito senza tentennamenti. Non appena i profughi sapranno che attraversare il mare comporta il pericolo di crepare annegati, se ne guarderanno dal salpare. Indubbiamente si tratterà di tenere duro per qualche settimana, dopo di che nessuno più oserà puntare la prua sulle nostre coste. Chi eventualmente si azzarderà a farlo, saprà di rischiare la morte per annegamento».

       Già il considerare i naufraghi – povera gente che viene a cercare la salvezza per sé e per i propri figli, fuggendo dalla guerra, dalla persecuzione, dalla fame, dalle malattie –  come «invasori», e per di più incivili» (spesso hanno alle spalle grandi tradizioni culturali e a volte sono laureati!), a cui rendere dura la vita, è una falsificazione della verità. E’ evidente che chi ha scritto questo articolo (ed è un personaggio ben noto nella cultura della destra) non sarebbe favorevole a spendere soldi per questi “nemici” neppure se li avessimo. Quanto al banalizzare il problema della loro integrazione riducendolo al fatto che a loro non piacciono i maccheroni (ma chi l’ha detto?) e che dovremmo vendere  nostri averi per accontentare i loro capricci, è uno scherno di cattivo gusto, che lascia trapelare un grande disprezzo verso dei disperati. Non stupisce, a questo punto, la soluzione proposta: lasciarne annegare un certo numero (quanti? Feltri non se lo chiede, ma non gli interessa), per convincere gli altri a desistere. Ecco: chi pensa e parla come  l’autore di questo articolo – quali che siano le ragioni tecniche per essere perplessi su un’accoglienza indiscriminata – non può seriamente sostenere di farlo da cristiano.

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