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38 Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente.39 Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, 40 e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42 Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Nell’Antico Testamento la santità di Dio implica la sua alterità: solo riconoscendo la distanza ontologica che separa Dio dall’uomo è possibile entrare in comunione con Dio. La santità di Dio è epifania del suo irriducibile mistero, che implica la necessità di amarlo nella sua insondabile libertà.
La tentazione per ogni uomo è quello di farlo proprio, di plasmarlo secondo il nostro desiderio, dimenticando che la comunione autentica necessita il riconoscimento dell’alterità. Dio è “altro”, dove l’alterità non significa lontananza ma appartenenza. Dio, “il Santo d’Israele”, nella sua alterità ha voluto stringere una relazione di alleanza con un popolo piccolo e peccatore.
Anche il popolo è condizionato dall’alterità di Dio: non può essere come tutti gli altri popoli, ma dovrà abbandonare gli idoli per appartenere esclusivamente a Yhwh. Un popolo santo non può essere idolatra. La ragione di questa separazione nasce quindi dall’esperienza della figliolanza, dell’appartenenza al Dio santo e santificatore.
Anche la pericope del Vangelo di Matteo rimanda al tema della santità, ma cosa significa “essere perfetti come il Padre celeste?”.
“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,44-45).
Questa massima va compresa innanzitutto alla luce del contesto che parla dell’amore per il nemico: esso è la chiave più importante per comprendere il discorso sulla perfezione/santità. Il Padre è perfetto perché ama gratuitamente tutti, per questo “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni”. L’evangelista invita i cristiani a farsi imitatori di Dio, imitando la sua magnanimità e la sua bontà con tutti.
Si tratta di un radicale superamento della legge del taglione, che nell’antichità serviva a limitare la vendetta arbitraria: la reazione cristiana a un torto subito non segue la legge del contrappasso, cioè non risponde con la violenza alla violenza.
Non si tratta di accettare passivamente l’ingiustizia, né di subire il male e la violenza in maniera inerte, ma di non rispondere all’ingiustizia patita con un’altra ingiustizia, aprendosi alla provocazione di un amore che non è volontà di potenza e dominio sull’altro, quanto piuttosto amore gratuito e incondizionato capace di amare perfino chi non ti ama.
Per i discepoli di Gesù anche il nemico che perseguita è “prossimo”. Gesù consegna un modello di amore che non è quello simmetrico, ma un rapporto libero di amore fattivo che orienta positivamente la vita verso gli altri: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. Essere perfetti come il Padre significa allora partecipare al suo amore verso i nemici, significa esercitare il comandamento dell’amore in maniera illimitata e incondizionata, così come mostrato da Gesù.
Nella sua passione Gesù ci ha insegnato che a salvare non è la sofferenza, ma l’amore di cui essa è linguaggio e di cui noi siamo chiamato a farci imitatori. E proprio questo amore folle, gratuito e incondizionato, calato dentro il mondo violento, custodisce la potenza capace di interrompere la catena della violenza che lacera la storia e di rigenerarla come possibile storia fraterna.
Amando i nostri nemici e persecutori diveniamo fratelli perché: “figli del Padre celeste che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.
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