Un uomo tra gli uomini, sempre, anche nella sventura, anche nel dolore. Ecco in che cosa consiste la vita, questo é il suo compito (F. Dostoevskij).

Lino Buscemi

Lino Buscemi, avvocato, giornalista pubblicista, è professore a contratto di Teoria e tecnica della comunicazione pubblica presso l’Università degli Studi di Palermo. E’ autore di numerosi testi, saggi, monografie e articoli su argomenti di carattere storico, giuridico, antropologico e sociale. E’ esperto di diritti umani e di cittadinanza. Collabora con diversi quotidiani, settimanali e mensili a diffusione nazionale e regionale. E’ autore della rubrica settimanale “Palermo scoperta” pubblicata su “La Repubblica”. Opinionista di diverse testate televisive di Palermo e provincia.
Lino Buscemi

public-administration-e1426593187214Dal 23 dicembre 2016 tutte le amministrazioni pubbliche centrali e locali (comprese società controllate e partecipate, enti, aziende, fondazioni, ecc.), si sarebbero dovute uniformare, senza ulteriori rinvii, alle nuove regole sulla trasparenza contenute nel decreto Foia (Freedom of information act). Lo hanno fatto? Si, però, come avviene sempre, all’italiana: “teoricamente” ma non concretamente. Basta sentire gli umori dell’opinione pubblica per comprendere che ancora le cose, sul punto, non vanno per il verso giusto. Ritardi, disorganizzazione, scarsa professionalità, elusione dei diritti dell’utenza, sopravvivono ad ogni benefico “urto” normativo e all’esigenza di modernizzare davvero l’apparato pubblico.

Nondimeno la legge è chiara e non si presta a fraintendimenti o furbesche interpretazioni. Le medesime amministrazioni , senza “se” e senza “ma”, hanno il dovere di garantire l’accesso civico  pubblicando obbligatoriamente e in maniera comprensibile, sui siti istituzionali, atti , provvedimenti , dati e informazioni ( integri, aggiornati, completi, semplici da consultare, conformi ai documenti originali, di chiara provenienza, agevolmente scaricabili) riguardanti il complesso dell’attività pubblica a cominciare dagli appalti, dalle spese sostenute per il mantenimento delle strutture organizzative, dai concorsi, dalle opere pubbliche, dai redditi e patrimoni posseduti dai politici e dagli amministratori, dai compensi erogati agli organi politici, ai dirigenti, ai consulenti, ai componenti degli uffici di diretta collaborazione e così enucleando. Pesanti le conseguenze per chi non si adegua: sono previste salate sanzioni pecuniarie, quantificate e comminate direttamente dall’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione). A meno di ulteriori “colpi di coda”, si può affermare che pubblicità e trasparenza all’interno dei Palazzi non dovrebbero più essere soltanto belle parole.

Si volta pagina, dopo anni di attese, delusioni e ritardi. Proprio per questo, all’interno delle p.A. c’è chi storce il naso o fa finta di niente. Comportamenti che non bisogna sottovalutare, perché, nel breve e nel lungo periodo, possono rivelarsi assai pericolosi per boicottare quanto è stato immaginato e prodotto negli ultimi mesi. Quello che è avvenuto in passato, del resto, è assai illuminante. Nel 1990, in occasione dell’entrata in vigore la legge sulla cosiddetta “trasparenza amministrativa”, furono in molti ad enfatizzarne la portata “storica” e “rivoluzionaria”. Difettando, però, le risorse per farla funzionare, un diffuso impegno in tutte le sedi per la sua reale attuazione e, soprattutto, severe sanzioni contro “chi rema contro”, è emersa tutta la sua fragile natura di legge “manifesto”, inidonea a conseguire l’ambizioso obiettivo di rendere efficiente e leggibile l’elefantiaco ed antiquato apparato pubblico. Cittadini, imprese ed operatori del diritto, fra proteste e contenziosi, negli anni, hanno evidenziato limiti e ostacoli, prevalentemente con riferimento all’aspetto più importante della legge ossia al controverso diritto d’accesso ai documenti amministrativi. Quest’ultimo, mal visto sul nascere da certa politica e da non pochi alti e medi burocrati proni ai suoi voleri, è stato spesso ipocritamente sterilizzato e, dunque, ha prodotto scarsi effetti sul piano pratico. Anzi, lo straripante ottocentesco segreto d’ufficio (inconcepibile in una democrazia moderna) e la riconosciuta assurda supremazia, mista ad autoreferenzialità, della pubblica amministrazione, al servizio, spesso, del “potere” e non dell’utenza, hanno svuotato di contenuto ogni proposito riformatore.

Con simili chiari di luna, l’accesso agli atti (e alle informazioni) si è rivelato a tutti i livelli, e particolarmente in importanti regioni del sud come la Sicilia, insoddisfacente, parziale, fastidioso, limitato a pochi e non alla generalità dei cittadini, oneroso, pieno di improvvisati artificiosi “paletti” (si è invocato, spesso a vanvera, la tutela della privacy!) e capziosi trabocchetti. Insomma quasi una semi-burla che ha scalfito, appena marginalmente, l’impenetrabilità dei pubblici uffici, come dimostrano, anche, le copiose decisioni dei giudici amministrativi. Le sentenze dei TAR, spesso, hanno evidenziato un modus operandi della pubblica amministrazione più propenso a negare che a soddisfare il diritto d’accesso. Quanto poteva durare, ancora, tale anomalia tutta italiana, visto che in molti paesi europei, in materia, sono molto più avanti di noi? Anche se l’affermazione può apparire eccessiva, c’è voluta la non del tutto applicata  normativa anticorruzione (legge 190 del 2012 e decreto legislativo 33 del 2013), per mettere a nudo, dopo molti lustri, tutte le incongruenze e criticità di una legge e di un apparato amministrativo slegato dalla realtà, premoderno, distante dai bisogni e dalle attese della gente, miseramente avvitato su se stesso proprio mentre l’economia langue , la disoccupazione cresce vertiginosamente (in Sicilia il dato statistico è assai amaro) e la patologica questione morale ha unificato l’Italia più di quanto si creda. Si è compreso, finalmente, che la democrazia italiana forse si salva se la pubblicità e la trasparenza, all’interno delle istituzioni e negli uffici, avranno il sopravvento e costituiranno la vera occasione per inaugurare una efficace stagione dei diritti di cittadinanza.

Tuttavia, dal 2013 ad oggi, gli interventi amministrativi non sono stati all’altezza delle chiare indicazioni contenute nella legge anti corruzione. Sono state accampate scuse, talvolta risibili, per giustificare lo scarso uso degli strumenti informatici nei rapporti con il cittadino, o per alleviare la durezza dei rilievi sulla non “idoneità” di non pochi siti web istituzionali, causa non secondaria della scarsa azionabilità dello “accesso civico” (a differenza dal tradizionale diritto d’accesso, non è oneroso e può essere attivato da chiunque senza spiegarne i motivi). Fortunatamente, dopo massicce dosi di chiacchiere e promesse, si è preso atto che l’Italia non poteva fare a meno del Foia e il governo, attraverso decreti legislativi, dopo oltre un quarto di secolo dalla legge sulla trasparenza del 1990 e altre normative di settore, ha eliminato, sia pure con qualche ritardo, “il troppo e il vano” e, soprattutto, ogni scudo protettivo usato da quanti hanno, con artifizi e furbizie, ridicolizzato le legittime aspettative dei cittadini. Un fatto positivo messo in discussione, forse, dalle recenti Linee Guida Anac sugli obblighi di pubblicazione (ivi comprese le eccezioni all’accesso generalizzato), che lasciano intatti margini di discrezionalità (un non senso giuridico!) agli uffici, potendo i medesimi effettuare “valutazioni” caso per caso che non tutti sono e saranno in grado di fare per svariati e diversi motivi.

Insomma un eccesso di “prudenza”, non riscontrabile in altri più evoluti Paesi europei, che nuoce non poco alla portata innovativa del Foia. Comunque non bisogna demordere perché si è in presenza di una occasione assai rara di reale cambiamento, dall’indubbio valore etico e civile, proprio mentre avanzano populismi e demagogia. In attesa di vere riforme e di buone leggi elettorali, con il Foia ci sarebbe materia per far sentire i cittadini meno marginali e più partecipi. In tutti gli uffici, dall’Alto Adige alla Sicilia, i responsabili per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza, unitamente ai responsabili per la pubblicazione dei contenuti sui siti web, si attrezzino, superando ritardi e ingiustificati tentennamenti, a svolgere ruoli meno formali o protocollari. La qualità della democrazia, perché no?, potrebbe migliorare anche in funzione della loro prestazione , a patto che sia molto dinamica, imparziale e più al servizio del cittadino . E Dio solo sa, ad esempio, dopo le fasulle promesse “rivoluzionarie”, quanto sia urgente che ciò si verifichi prevalentemente nella nostra bistrattata e malgovernata Regione.

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One Response Comment

  • vittorio  maggio 16, 2017 at 1:45 am

    Egr. avvocato Buscemi,
    potrei commentare il suo accorato appello alla trasparenza della Pubblica Amministrazione, che negli uffici regionali tocca il summit dell’opacità, semplicemente con le parole della nota canzone di Jovanotti “Questo è l’ombelico del mondo…dove le regolano non esistono, esistono solo le eccezioni”. Avvocato, la sua analisi è come sempre lucida e tagliente, ed infatti la dura realtà, purtroppo, è che in questo Paese mentre i professori del “diritto” (o, forse, è meglio dire del “rovescio”) e gli scienziati della “cultura”, novelli azzeccagarbugli, blaterano nozioni e scrivono libri, una schiera di ignoranti al soldo del potere politico dettano come accedere e negare il diritto alle informazioni. Ormai non stupiscono neppure più di sorprendere le modalità con cui i legislatori di turno mettono in atto le proprie intenzioni in senso opposto a quello sbandierato con tanta enfasi. Fatto, ultimo in ordine di tempo, il Foia, “finalizzato a rafforzare la trasparenza amministrativa”, eccolo trasformato, con tutti i limiti introdotti, in inFoia, per cui la presunta casa di vetro della Pubblica Amministrazione rischierà di rimanere, purtroppo, con i vetri smerigliati ed oscurati, dove l’arbitrio che si è dichiarato di volere far uscire dalla porta (limitando la discrezionalità dell’Amministrazione), finisce per rientrare dalla finestra. Non parliamo del Foia in salsa sicula o del normale accesso agli atti, dove “la regola generale è la trasparenza mentre la riservatezza e il segreto eccezioni” è ancor meno di un miraggio da deserto magrebino. Del resto, la “Cantona” regionale (trattandosi di sesso femminile), cioè la responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza, ricopre anche l’incarico istituzionale che sul sito web del Cantone nazionale è definito senza equivoci incompatibile con l’altro. Egregio avvocato, ripeteva Peppino De Filippo a Totò nel noto film : e con questo ho detto tutto!

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